L'antica guida della città di Brescia alla metà dell'ottocento.

Testo di Federico Odorici con la descrizione dell'ambiente cittadino del 1800, visita guidata ai monumenti antichi e moderni, arte e resti storici con commenti..


 F. ODORICI
GUIDA DI BRESCIA

RAPPORTO ALLE ARTI ED AI MONUMENTI ANTICHI E MODERNI

testo riprodotto dalla

SECONDA EDIZIONE RIVEDUTA DALL'AUTORE

BRESCIA
STEFANO MALAGUZZI, LIBRAIO-EDITORE
1882

Stab. Stereo-Tip. Di G. Bersi e C.


 PREFAZIONE.

Come al solito di tutto le Guide monumentali che, mutate più o meno col volgere dei tempi le condizioni edilizie dei luoghi dalle medesime descritti, avvertono il bisogno di essere alla volta loro, ed a norma dei seguiti cambiamenti qua e colà modificate, così avveniva della GUIDA DI BRESCIA da me pubblicata già dal 1853.
E però, desiderando il Malaguzzi ripubblicarla, pregommi di quelle rettificazioni che fossero volute dallo stato presente delle cose. Ecco l'intento, di questa nuova edizione.
Era quindi necessario, a me lontano dalla patria, che qualche gentile versato nella storia dei nostri monumenti, provvedesse alle aggiunte ed alle modificazioni seguite nel corso di mezzo secolo, dal lato edilizio in questa città, ed a quelli che ebbero la cortesia di assumere questo compito, porgo le più sentite mie grazie.


 INDICE

PARTE PRIMA:

MONUMENTI PUBBLICI. Sacri.

Camposanto Pagina 141
Carità Pagina 41
Il Carmine Pagina 105
Le Consolazioni Pagina 104
Duomo nuovo Pagina 29
Duomo vecchio Pagina 18
Episcopio Pagina 39
B. V. dei Miracoli Pagina 77
B. V. di Mercato Lino Pagina 76
Orfanotrofio della Misericordia Pagina 115
La Pace Pagina 87
S. Afra Pagina 63
S. Agata Pagina 88
S. Agnese Pagina 86
S. Agostino Pagina 35
S. Alessandro Pagina 67
S. Ambrogio Pagina 90
S. Barnaba Pagina 62
S. Benedetto Pagina 40

 


 

S. Carlo e Casa di Dio Pagina 77
S. Chiara Pagina 102
S. Clemente Pagina 42
S. Corpo di Cristo Pagina 54
SS. Cosmo e Damiano Pagina 85
S. Domenico Pagina 71
S. Eufemia Pagina 60
S. Faustino in riposo Pagina 103
S. Faustino maggiore Pagina 99
S. Filastrio Pagina 26
S. Francesco Pagina 83
S. Gaetano Pagina 61
S. Giorgio Pagina 97
S. Giovanni Evangelista Pagina 107
S. Lorenzo Pagina 73
S. Luca Pagina 69
S. Maria Calchera Pagina 59
S. Maria del Solario Pagina 51
S. Marco Pagina 41
S. Maria delle Grazie Pagina 111
SS. Nazaro e Celso Pagina 79
S. Pietro in Oliveto Pagina 54
S. Rocco Pagina 111
S. Salvatore Pagina 49
S. Zeno Pagina 43
S. Zenone Pagina 91

CIVILI

Archivio Notarile Pagina 95
Arnaldo (Monumento) Pagina 57
Ateneo Pagina 38
Bagno Comunale Pagina 103
Biblioteca Queriniana Pagina 35
Broletto Pagina 33

 


 

Casa di Dio Pagina 77
Casa d'Industria Pagina 61
Castello Pagina 55
Cavallerizza Pagina 87
Congrega Apostolica Pagina 38
Corso Teatro Pagina 74
Curia Ducale(avanzi) Pagina 93
Curia e Foro Pagina 44
Giardini Pubblici Pagina 58
Loggia o Palazzo Municipale Pagina 91
Mercato Grani Pagina 57
Monte di Pietà Pagina 95
Museo Civico Pagina 48
Ospitale Pagina 69
Ospitaliere Pagina 74
Palazzo Pretoriale Pagina 90
Pallata (La) Pagina 87
Piazza del Duomo Pagina 15
Pinacoteca Tosio Pagina 115
Porta Bruciata Pagina 104
Porta Matolfa Pagina 140
Porta Pile Pagina 102
Porta S. Alessandro Pagina 141
Porta S. Giovanni Pagina 142
Porta S. Nazzaro e Stazione Ferrovia Pagina 141
Porta Torrelunga Pagina 57
S. Eufemia (Caserma) Pagina 61
Teatro Grande Pagina 76
Teatro Guillaume Pagina 76
Teatro Antico (rovine) Pagina 43
Tempio di Vespasiano (rovine) Pagina 45

 


 PARTE SECONDA:

MONUMENTI PRIVATI.

Albergo del Gambero Pagina 152
Casa Averoldi Pagina 151
Casa di Lattanzio Gambara Pagina 151
Casa Lechi Pagina 154
Maggi della Gradella Pagina 151
Martinengo Cesaresco Pagina 150
Martinengo del Novarino Pagina 151
Martinengo della Fabbrica Pagina 152

 


PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE DEL 1855

AI SUOI CONCITTADINI

L' AUTORE.

Esaurita l'edizione della Guida del Sala, che sulle anteriori dell'Averoldo (1),del Paglia (2), del Chizzola (3) e del Brognoli (4) per severa critica e squisito sentire dell'arti è a porsi in cima, fu manifesto il bisogno d'un'altra, la quale, facendo nota dei mutamenti gravi, moltiplici, svariati, che in tutte cose della città da vent'anni a' dì nostri veggiam seguiti, levando ciò ch'era a' tempi del Sala, ma che adesso non è più, ponendovi per quella vece quanto d'allora in poi s'aggiunse a far più bella, e per dirla con altro stile, più interessante la già sì bella ed insigne città di Brescia, sopperisse al desiderio degli stranieri non solo, ma di voi stessi. Ecco lo scopo di queste pagine. Risparmiando ai gentili che mi leggeranno i soliti sommari dí

(1) Le scelte pitture di Brescia, Brescia 1700 per Rizzardi.

(2) Giardino della pittura. LI integrale manoscritto conservasi nella Queriniana.

(3) Le pitture e scolture di Brescia, Brescia 1760 per Bossini.

(4) Nuova Guida di Brescia, Brescia 1826 per Nicoli Cristiani.

 


storia patria, i quali nelle Guide particolarmente, credetelo a me, si saltano a piè pari, ho creduto arrestarmi un po' più sull'origine dei luoghi, dei monumenti, e narrarne le vicende, onde il luogo stesso diventi testimonianza, e sveli per così dire al passeggiero la storia sua.
Oltreché un compendio di storia municipale non riescirebbe che vana e servile imitazione di quello non mai bastevolmente lodato del Nicolini e d'altri già pubblicati, dai quali dissentendo assai volte, dovrei rendere ragione di questo mio dissentire, ed, allora.... addio Guida.

Né di questi cangiamenti voluti dalla condizione dei tempi e delle cose mi son fatto debito soltanto; sì ben anco degli errori e delle omissioni, gravissime alcuna volta, nelle quali parvemi incorsa la Guida del nostro Sala (1). Ma di rincontro, quanti errori egli stesso non avvertì nelle Guide informi che lo precedettero, quante futilità non tolse, quante nozioni preziosissime non aggiunse! Benedetta sia dunque la dolce sua memoria.
Questo moveami alla compilazione del volumetto che vi si porge, che il nostro Cavalieri mi ha suggerito, e che di buon grado gli ho offerto. Vogliate dunque un po' di bene al libro, e a chi lo scrisse.
E tanto più glielo dovreste, in quanto che s'è argomentato di rendervi più accetto il suo libricino col soffermarsi a qualche descrizioncella de' più leggiadri monumenti delle arti nostre. Né crediate per altro che siasi


(1) Pitture ed altri oggetti di belle arti in Brescia, Brescia 1934 per Cavalieri.


Il fatto ad invocare le ispirazioni del Vidalini (1) e dell'Averoldo. La sua povera musa, la musa pedestre di Orazio, non potea risolversi, descrivendo a mo' d'esempio una tela di tragico subbietto, a macinare i più vivi cinabri inzuppati nel sangue della trucidato, barbarie ottomana, o mischiare gli oltremarini più vivi col sudore stillato nella conquista di più provincie, onde poi farne un impasto eterno, da stancare gl'impegni del secolo avvenire (2); ma dolcemente si arresta dinanzi alla risurrezione del Vecellio od agli esuli di Parga con quel senso ineffabile di meraviglia cui sogliono spirarci i monumenti più insigni del genio italiano

(1) Poesie nel Giardino del Paglia.

(2) Averoldo, op. cit. prof. dedicatoria,


PARTE PRIMA:

MONUMENTI PUBBLICI.


La Piazza del Duomo.

Quest'area quale vi si presenta dinanzi, ristretta un tempo a più angusti confini, ma non pertanto chiamata grande, fino dal secolo XII, dicevasi ancora di S. Pietro de Dom (1) dalla cattedrale di quel nome ch'ivi stette fino al principiare del secolo XVII. Il monastero dei SS. Cosma e Damiano, la chiesa di S. Agostino, la grave fabbrica del Broletto, la basilica di S. Pietro, la chiesicciuola dei SS. Crisanto e Daria, i portici dell' Arrengo, la magnifica Rotonda, e rimpetto a S. Pietro, il battistero di S. Giovanni, erano edifici co' quali conterminava.
A' giorni gloriosissimi dei municipi lombardi, quando la città nostra reggeasi a popolo, la campana del comune dall'alto della torre, che ancor del popolo si chiama, radunò talvolta su questa piazza col suo profondo reboato i consoli, la plebe, la nobiltà; epperò qui si discutevano

(1) Zamboni, Fabbriche più insigni della città di Brescia, Brescia per Vescovi 1778. - Capo 1. Magistrature di Brescia nei tempi della sua libertà.


popolarmente le alleanze lombarde o forestiere, i modi a soccorrere le amiche città minacciate dagli eserciti dell'impero, gl'interessi municipali, le cose della pace e della guerra, tutto che il decoro, la salute, lo splendore della repubblica volesse (1); il perché fu chiamata parecchie volte la piazza della concione (2).
È però singolare che dai tempi dei Carolingi sino al secolo XIV, e corrono a un bel tratto più che sette secoli, fosse questo piazzale il massimo della città.
Nel 1145, secondo il Doneda, veniva allargato (3).
Dire gli avvenimenti cui fu teatro nelle passate età, sarebbe lo stesso che narrarvene i più importanti di tutta la storia nostra avvenuti nel cerchio delle nostre mura. Chi non sa che la piazza è il campo, il convegno del popolo ne' suoi tumulti, il luogo prediletto in cui suole accogliersi ne' rumorosi trasporti dell'ira sua e delle sue letizie?
Nobilissimo tra i cittadini sollevamenti, pe' quali corse il popolo in armi a questa piazza, fu, per esempio, l'avvenuto nel 1319 a cagione d'un'avvenente fanciulla; l'infelice Landriola di Negro dei Poncarali, la quale, colta di notte dalle guardie della città presso il cadavere di un giovinetto bresciano, fu tradotta innanzi all'Acquabianca vicario di re Roberto, che allora ci governava. Ardendo

(1) Malvetii, Chron. in Rev. It. Scrip. t. XIV.

(2) A. 1223. Platea Concionis Brixiae, Statuti Municipali del secolo XIII depositati nella Queriniana.

(3) Notizie della zecca di Brescia, Brescia 1755 per Rizzardi pag. 98 nota 12 al passo della cronichetta di S. Pietro in Oliveto - MCLVI..... ceptum est mercatum Broli.


colui per la fanciulla di colpevole amore, osò palesarglielo. Ributtò la Poncarali quelle infami proposte, e forse il legato le avrebbe fatto scontare a prezzo di sangue il suo rifiuto, se Negro il padre suo con quanti poté raccogliere a sé d'intorno non avesse levato il popolo a rumore; il quale irrompendo con fragore grandissimo nella piazza di S. Pietro de Dom, sfondate le porte del Broletto, lo invase, per cogliervi l'Acquabianca, e punirlo, chi sa forse, con una di quelle suo giustizie manesche e speditive: ma il Vicario poté sottrarsene colla fuga (1). Gli storici nostri dicono l'estinto giovinetto amante di Landriola mortole a caso nel domestico o giardino (2). Più castigato, ed è pur molto, il Boccaccio lo disse invece suo sposo (3): e fu gentile pietà; perché reso alla infelice quel casto velo che la inesorabile asperità della storia le avea strappato, ne facea sacro l'amore e la sventura (4).
La statua sulla fontana della piazza è di Antonio Caligari e rappresenta Brescia armata. Ove ora trovasi il caffè Denotti, e precisamente sull' angolo di esso era un tempo l'antichissima rotonda di S. Giovanni Battista, che vollesi da taluno del settimo secolo, e che fu distrutta

(1) Malvetii, Chron. cit. dist. IX, CLIX in R. Ital. Script. t. XIV. Ben fa sorpresa come il Malvezzi, che la dovea sapere un po' più pel minuto, finga meravigliarsi della rivolta come avvenuta senza motivo. Tacque lo storico dinanzi alla superstite famiglia.

(2) Capreolus, Hist. brix. lib. Vil - Cam. Madii , Hist. de rebus patriae, cod. Querin. t. 14.

(3) Decamerone, giorn. IV, nov. VI.

(4) Odorici, Storie bresciane del secolo XIV.


 
nel XVII. Se n'è perduta ogni traccia, ed io debbo al caso l'aver trovata in una botteguccia di commestibili la pianta di quel prisco battistero bresciano, col quale e colle colonne disegnate in un prezioso codice Queriniano potremmo a un bel di presso ricomporne il concetto antico (1).

Il Duomo Vecchio, detto la Rotonda.

Un errore tradizionale, ricopiato dagli storici municipali, e sostenuto nella credenza altrui dall'assentirvi del Biemmi (2), del Zamboni (3), del Doneda (4), del Sala (5), del Niccolini (6), dirò breve, dei più severi scrittori nostri, sì è l'opinione che la rotonda di cui parliamo sia dell' epoca longobarda. Il documento più antico, che ci dia notizia dell'insigne edificio, dato che a questo precisamente si riferisca, non è anteriore al IX secolo, ed è un sermone del vescovo Ramperto (7). Il nostro vescovo narra la solenne traslazione del corpo di S. Filastrio da esso fatta nell'anno 838 dalla chiesa di S. Andrea fuori le mura

(1) Monum. ant. Urbis et Agri Brix. Cod. Quir. A. II. 8. Un'iscrizione recataci dal Nassino Cod. Quir. C. 3, 15 lo dice riedificato tempore Bonifacii q.dni Castellanii potestatis Brixiae DMCCLIIII.

(2) Istoria di Brescia, Brescia 1748, t. II pag. 9.

(3) Nelle citate Fabbriche bresciane. - Capitolo ultimo: Della cattedrale.

(4) Notizie delle chiese di Brescia. Nel diario bresciano del 1774 pag. 40.

(5) Guida di Brescia cit. - Duomo vecchio pag. 39 e seg.

(6) Discorso proemiale Premesso al vol. 1 del Museo bresciano illustrato.

(7) Galeardus, Collectio patruum Brixiana Ecclesiae. - B. Ramperti, ermo de Trans. S. Philastrii.


in matrem ecclesiam hiemalem nostram penes altare sanctae, Dei genitricis Mariae: dove lasciate le sante reliquie più giorni alla venerazione dei fedeli, vennero poscia seppellite «marmoreo recondentes antro» (forse la sotterranea basilica di S. Filastrio). Detto poi di più miracoli, racconta di un'inferma, che portata presso il feretro in basilica sanctae Dei genitricis perennis Virginis Mariae... dopo fervorose preghiere, risanata nelle attratte membra, levossi, e preso il bastone, cominciò «huc et illuc templi ambitus testudinem perambulare».
Ma la basilica accennata nella narrazione in stampatello del vescovo Ramperto (?) è l'attuale rotonda e il nome stesso di basilica non designa forse chiaramente una chiesa di altra forma, sulla quale più tardi sia stato edificato il singolare edificio?
Nella speranza di un ristauro giusta le forme primitive vennero, non ha guari, praticati lo scrostamento delle pareti interne, e diversi scavi, onde si rivelarono alcuni fatti, pei quali forse riuscirà meno difficile di stabilire a quale epoca appartenga questo sacro edificio.
Dopo lo scrostamento, l'opera tutta apparve di getto : si vide chiaro che l'ampia volta è contemporanea all'edificio, e lavoro contemporaneo allo stesso era l'alta torre, crollata nel 1708, la quale sporgendo verso la piazza, elevavasi dove presentemente esiste il principale ingresso.
Il piano della rotonda risultò presso a poco l'originario; e originario quello dell'ambulacro, più alto dell'altro circa settanta centimetri.


Nei pilastri si scopersero alcuni massi di pietra, reliquie di edifici più antichi; uno poi, dall'ornato potrebbe giudicarsi frammento di un lacunare del tempio di Vespasiano, o di annesso edificio. Nel terzo pilastro a destra entrando, in un masso di calcare, usato a far muro, v'è scolpita una palma a basso e incerto rilievo, fattura quasi indubbia dell'VIII secolo, e di certo proveniente da altro edificio. Nessuna decorazione alle pareti, meno brevi e semplici risalti, forse modinati, all'imposta degli archi, e al cominciamento della volta, tagliati più tardi e forse quando le pareti si copersero di intonaco.
Ora la scoltura dell'VIII secolo incastrata nel pilastro, non è prova che l'edificio è posteriore a quell'epoca?
Il significante dislivello tra l'ambulacro «ove esistevano gl'ingressi al duomo» e il sommo delle volticelle della sotterranea basilica di S. Filastrio, non è chiaro indizio che tra l'una e l'altra edificazione dovettero correre molti e molti anni perché il piano esterno potesse di tanto rialzarsi ? L'essere la grande torre che sorgeva a difesa del sacro edificio contemporanea a quello, e non essendovi esempi di simili torri prima del X secolo, non giustifica forse l'attribuire alla stessa epoca l'edificazione di tutto il monumento?
La nudità delle pareti interne, la decorazione esterna del tamburo, uno forse dei primi tentativi della lombarda architettura quasi vigorosa all'XI secolo, ci sembra confortino questa nostra convinzione, cioè che il duomo vecchio sia opera degli anni intorno al mille.


 Non è a confondersi la Rotonda propriamente detta colle sue grandi cappelle e col presbitero, aggiunte indubitabili di secoli posteriori. V'ha chi le tiene del secolo XIV. Evidentissimo ad ogni modo risulta l'allungamento del presbitero e del coro in due riprese: il primo viene congetturato dal nostro Zamboni al 1300; il secondo è lavoro non dubbio del secolo XV (1). Si sa come nel secolo appresso (1571) le laterali cappelle venissero ricostruite ampliandole con altre forme da Giammaria Piantavigna architetto bresciano.
Al primo entrare veggasi di fronte l'Assunta, mezzaluna del bresciano Giuseppe Tortelli.
Sceso il ramo a destra delle due scale laterali, il primo altare ha un tizianesco dipinto di Pietro Rosa, bresciano anch'esso, ch'ebbe grido minore del merito, e n'è prova questa tela rappresentante S. Martino.

SECONDO ALTARE. - Angelo Custode di Bernardo Gandini altro nostro pittore. Nel vicino marmoreo monumento, con bassi rilievi del secolo XIV, giace il nostro vescovo Lambertino da Bologna, che morì nel 1349. Tra quelle scolture sono a notarsi due cavalieri ai lati di un vescovo . Io li suppongo i nostri martiri Faustino e Giovita, col santo vescovo Apollonio. Se così fosse, come penso, l'antica lite sulla provenienza dell'abito militare di questi martiri dalle tradizioni dell'assedio del 1438 sarebbe tronca. Però mancano argomenti tuttavia per stabilire quando e perché fosse lor dato quell'abito guerresco.

(1) Provis. Municip. 31 mart. 1489. Qtiod capella S. M. Majoris amplietur et prolungetur. - Prov. Civ. Brix. in Com. Archiv.


Dal celebre prospettico Tommaso Sandrini di Brescia era dipinta la cupola del braccio destro non ha guari ridipinta. Alcune figure dì Francesco Zugno, bresciano esso pure, esistono in parte ancora. Sulla porta della contigua sacrestia Francesco Maffei dipingeva la traslazione di quattro ss. vescovi da S. Pietro in Oliveto alla Rotonda, ivi rappresentata colla primitiva sua torre di fronte.

TERZO ALTARE. - S. Liborio vescovo, dipinto dal Tortelli.

QUARTO ALTARE (del Sacramento). - All'ingresso i due vangelisti Matteo e Giovanni di Francesco Barbieri da Legnago, e la raccolta della manna in due tele di Gerolamo Romanino bresciano. È nell'interno una serie di sei dipinti del nostro Moretto. Alessandro Sala il disse tra i più valenti discepoli di Tiziano, e disse male: noi lo vedremo creare da sé quella scuola che francamente nomineremo bresciana.

Soggetti di quelle tele - La mistica offerta di Melchisedecco - I vangelisti Luca e Marco - Il convito dell’agnello pasquale - Il redentore - L'Elia dormente - Il sacrificio d'Isacco.

Coperto da cristalli, è imminente alla mensa un G. G. flagellato, opera di non volgare pennello ma molto guasto.

ALTARE MAGGIORE. - L'Assunta del nostro Moretto (Alessandro Bonvicino) da lui compiuta nel 1526 (1), magnifica tela maestrevolmente ristaurata non ha molt’anni dal bravo Aless. Sala. Il busto di Papa Alessandro VIII

(1) Nel qual anno (5 nov.) gli si fa il saldo ejus mercedis pigendi Anconam S. M. de Dom. Bull. 1 della Fabb. del Duomo c. 77.


(Pietro Ottoboni già vescovo di Brescia), e i due puttini in marmo che lo fiancheggiano, sono scolture di Orazio Marinali. I due quadri laterali all’Assunta, rappresentanti la nascita della Vergine e la Visitazione, sono lavoro del franco pennello di Girolamo Romanino (1).

Sotto i due quadri del Romanino si vedono due altri pregevolissimi dipinti ambedue su tavola. Quello a destra opera diligente del Giorgione, secondo alcuni, a giudizio d’altri del Bonifacio, rappresenta l'adorazione dei Pastori. Quello a sinistra la salita dì G.C. al Calvario si attribuisce pure alla scuola del Bonifacio, ed è quadro di robusto colore e ben conservato.

Antichissima è la mensa e degna che non passi inosservata, cui fa sostegno una serie di colonnette binate, le quali accusano i primordi dell'arte lombarda. Si sa che prima della sua consacrazione (1342), levata dal luogo antico, fu collocata nel nuovo prolungamento del presbitero (2).

SESTO ALTARE (delle SS. Croci). - Di Grazio Cossali dagli Orzi Nuovi, ed Antonio Gandini sono le due grandi tele ai fianchi della cappella. È del primo l’apparizione della croce a Costantino. È del secondo la favolosa tradizione del Duca Namo, che fa dono delle sante Croci ai magistrati di Brescia.

Quelle croci s’acchiudono con gelosa cura nei raddoppiati cancelli di questo sacrario: e conviene dedurre che

(1) Boll. cit. pag. 101 a. 1541.

(2) Indicto altari quando motum fuit. Florentinus, Series Ant. Br.


assai grande ne fosse la devozione fino dal secolo XIII, se uno statuto del 1285 stabilisce che racchiuse da sette chiavi, consegnate a sette tra i più integerrimi concittadini, vengano religiosamente, custodite (1).

È tradizione con qualche fondamento asseverata, che una di quelle croci a noi si recasse dal vescovo Alberto reduce dopo il 1246 dall'oriente, in cui lo vediamo condottiero dei crociati bresciani (1221) nell'assedio di Damiata (2), patriarca d'Antiochia dopo il 1226, e legato apostolico nella Siria (3). Ma dov’anco si ritenesse vera la tradizione, non è men vero però che la forma di quella croce a doppie braccia trasversali non può risalire che all'ottavo od al secolo nono (4), e che la sua testimonianza migliore non istà che nell'argentea teca ov’è racchiusa, anaglifo non più antico esso ancora del secolo XII, le cui figure (Elena e Costantino da una fronte, il Crocifisso, la Madonna e S. Giovanni dall'altra) vennero dottamente illustrate dal sacerdote Brunati. La Croce del campo, quivi egualmente custodita, vuolsi la stessa che i padri nostri portavano con sé, quando si governavano a comune, sul campo delle battaglie. Serbasi ancora in questa cappella deposito delle nostre più venerande reliquie, il pedo pastorale di S. Filastrio vescovo di Brescia nel secolo IV.

(1) Statuta Civit. Brixiae. Cod. Perg. presso l'Arch. Com.

(2) Bernard Thaesauri de aquist. Terrae Sanctae. In Rer. I. S. t. VI col. 842.

(3) Gradenigo, Brix. Sac. p. 243 e seg.

(4) Brunati, Di un' antica Stauroteca istoriata della Cattedrale di Brescia 1839.


La cupola di questo braccio sinistro fu dipinta da Gaetano Bacinelli con figure di Pietro Deorazio.

Poggiato sulla trabeazione della porta murata che lo chiude è ad ammirarsi l’avello in marmo di Berardo Maggi vescovo, non principe di Brescia (1); ma tale per altro che, senza averne il titolo, con inaudita fermezza sbarazzatosi de’suoi rivali, s’era fatto arbitro e quasi donno della città.

E dì che modo! Sentito questa. «Scacciato Tebaldo, si tenne Berardo.... acquistata la signoria, il che essendo, ma tardi, conosciuta dai cittadini Ghelfi, cercarono di opprimerlo; et egli.... postosi la corazza et la spada sotto al Piviale, comparve all’improvvista con la croce innanzi, con larga schiera di soldati nella pubblica sala del Consiglio. Fece prigioni nove dei congiurati, et speditamente facendoli buttar dalle finestre, si sottrasse al pericolo, et con elegante oratione ragionando alla plebe, etc.» (2). Che ve ne pare ?

Il vescovo è rappresentato giacente, coperto degli abiti pontificali; ed argomento di storiche ricerche intorno alle loro significanze sono gli altri, né al tutto spregevoli, rilievi che adornano quest’urna, il cui lato opposto non può vedersi che salendo per una scaletta a tergo del monumento ; e merita bene che l’indagatore dei monumenti

 

(1) Multa congerit Gradonicus ut Berardo asserat verum Brixiae Principatum, sed frustra. Così quel dotto uomo del P. Luchi nelle sue preziose postille alla Brixia Sacra. Cod. Quir. C. V 31. Il titolo di principe scolpito sul mausoleo, egli stesso non lo ha mai assunto in atto alcuno. È un’adulazione del secolo XIV.

(2) Rossi, Elogi storici. Berardo Maggi pag. 102.


lombardi vi si conduca, e vi contempli scolpito l’istante solenne in cui, ricondotti per l’autorità di Berardo a vicendevole concordia, guelfi e ghibellini giuravano sull'altare di S. Giovanni Battista di non turbarla mai più (1). Ed ancor questo fu inutile giuramento.

Vedi a lato il mausoleo del card. Morosini altro vescovo di Brescia, e prima di giugnere al settimo altare, quello di Domenico de Dominici, che tenne il seggio episcopale intorno alla metà del secolo XV. Il monumento Morosini è fattura del patrio scultore Antonio Carra

SETTIMO ALTARE. - Beata Vergine di Pietro Marone bresciano.

Ai fianchi del pulpito sono due statue di Alessandro Vittoria; rappresentano la Fede e la Carità, e prima della caduta dell’alta torre, che abbiam ricordata, decoravano il monumento sepolcrale del vescovo Bollani. Al di sopra di quel pulpito è una mezzaluna coi SS. Faustino e Giovita, ed è del Tortelli, e i cassettoni della gran volta sona dipinti da Pietro Pupilli.

Basilica di S. Filastrio.

A fianco del quarto pilone a destra della Rotonda si apre nel pavimento una scala. Essa conduce nel tempio sotterraneo di S. Filastrio, diviso a più navi sostenute da moltiplici colonne reggenti lor volte a croce e gli archi

(1) Un informe abbozzo, un arbitrario disegno di quel bassorilievo singolarissimo è a vedersi nelle citate Fabbriche di Brescia illustr. dal Zamboni pag. 34. Più fedelmente fu da noi riprodotto nelle Storie Bresc. Vol. VI.


a tutto sesto, vario di marmi, di basi, di proporzioni, di capitelli, e quale tronca del plinto, e qual sopperita da sostruzione murata per manco di lunghezza. I capitelli poi, romani la maggior parte, alcuno, per mio sospetto, dei tempi di Teodorico, gli altri probabilmente di longobarda età, mi annunciano una fabbrica del settimo o dell’ottavo secolo. È il più intatto e più prezioso edificio che a noi di que’ tempi oscuri risparmiassero le umane, vicissitudini: ed io, che pazientemente ne ho rilevati i piani, le sezioni, le forme moltiplici e svariate dei capitelli e delle basi, disegnati gli affreschi preziosissimi che vi si conservano tuttavia, per indagini ed esperimenti ho potuto suadermi, o luce non ricevesse quel tempio che dalle sacre lampade, o l’avesse per aditi e per fenestre aperte nelle volte a mo’ di lanterne, del che per altro non è traccia sicura.

Certo è che i loculi a tutto sesto e a lati paralleli praticati nelle muraglie laterali, non erano fenestre; perchè, la muratura che ne li chiude si lega ed immorsa a tal segno colle muraglie da persuaderci essere costrutta ad un tempo. Se poi sedili pei sacerdoti, o ripostigli, non so. Oltrechè i sepolcreti da me scoperti al di sopra di quelle nicchie anteriori certamente all’edificio e de’ quali ho già detto, dileguano ogni dubbio. Quante quistioni non termina alle volto un colpo di martello!

Che poi dalla Rotonda per altre scale si discendesse al santuario, come ad una cripta, è indubitato; e gli atti della invenzione solenne delle ceneri di S. Fi-


lastrio, or fanno quattro secoli avvenuta, ne sono testimonianza (1).

Le navi, conformemente al carattere delle basiliche di quel tempo, sono terminate da tre absidi semicircolari, gli altari più non esistono, ma tu vi ti accosti colla egual riverenza e con maggiore mestizia. L' abside di mezzo è divisa dalle minori per due lesene i cui capitelli romani s’improntano di quelle forme castigate e gentili che si direbbero piuttosto del primo che del secondo secolo dell’era nostra. Non così gli affreschi di quell'abside, opera di qualche artefice del nono o decimo secolo, rude sia pure, ma preziosissima per la deficienza di artistici monumenti di una età sventurata, che si distingue a stento per quelle deboli tracce dell'arte lombarda, le quali appena bastano a confermare la indarno combattuta sentenza di Scipione Maffei: In Italia si dipinse sempre. E quell' affresco ti rappresenta il Salvatore con allato le imperiali imagini (se io non erro) di Elena e Costantino. Altre pitture che cuoprono la volta del prossimo interlocutorio e la crociera cui vien suddivisa, si direbbero del secolo XIII, e danno le venerate effigi di tre vescovi bresciani e dell'arcangelo Michele. Sotterranea era dunque la basilica nostra; e questo fatto singolarissimo mi ricorda le parole di S. Zenone: Chi ha creato il sole non ha bisogno della sua luce.

(1) Provisiones Civit. Brix. in Arch. Municip. a 1456. Plurima de invent. exuviae B. Philastri Episcopi. Quod fiat in dicta capella una alia scala ultra illam q. nunc est.


Vuolsi che qui, dell'875, si tumulassero i resti di Lodovico II pronipote di Carlomagno. Veramente la cronaca di Andrea Prete, pubblicata dal Muratori, parrebbe assicurarcelo (1) ma quelle spoglie rimasero per poco presso di noi, perché realmente dall’arcivescovo di Milano si trasportavano colà (2). Certa è per altro la predilezione di quell’augusto per la città di Brescia (3).

Sollevatasi un giorno contro Bertario suo messo, Lodovico vi entrava irato (865) con un intero esercito a sé dintorno, e nel cuore la voluttà della vendetta; ma vedutosi prostrato il popolo dinanzi, e in capo ai supplichevoli Gisla sua figlia monaca di S. Salvatore, e il vescovo Antonio, respinto il brando nella vagina, cennò che si levassero e perdonò.

Duomo Nuovo.

Ergesi press’a poco dove da prima sorgeva la cattedrale di S. Pietro de Dom (4), e venne fondato nel 1604 sopra disegni del nostro architetto Giambattista Lantana. La sua cupola, tenuta per la maggiore dopo quella del Vaticano e di S. M. del Fiore a Firenze, fu ideata da Ba-

 

(1) Et posuit Antonius episcopus eum in sepulcro in Eccl. S. Mariae ubi corpus S. Philastrii requiescit. Chron. Andreae Pr. in Antiquit. it. M. Avi, t. I. col. 50.

(2) Cron. cit.

(3) E noto come Gisla sua figlia presiedesse al bresciano cenobio di S. Salvatore, e come Ansilperga sua moglie, patronessa di quel sodalizio nostro, vi facesse testamento.

(4) Zamboni, nelle ricordate Fabbriche, cap. ultimo.


silio Mazzoli di Roma, ed ebbe compimento nel 1825 sotto la direzione dell'architetto Rodolfo Vantini. La gran croce che spiccasi dal culmine vi fu piantata in quell'anno, e il nostro Arici così ne salutava con sacra letizia l’elevazione solenne.

Benedetta dal bacio di pace,

Fra il divoto degli inni concento

Sali, o Croce, di gloria argomento,

Desiderio d'ogni alma fedel.

Sali, e il tempio nov’astro vivace

Orna, e santa ne afferma la mole.

Splendi, o Croce, nel raggio di sole

Della terra decoro e del ciel (1).

Il busto del card. Quirini già vescovo di Brescia, che tiene il sommo della porta principale, è lavoro di Antonio Caligari. La colossale Assunta in sull'apice del frontone fu modellata da G. B. Carboni, scolpita da Pietro Possenti. I SS.MM. Faustino e Giovita 
a tergo del coro sono di Antonio Carra, e del Carrara due dei quattro evangelisti nei peducci della cupola. Vasta ed ardita è la mole del nostro tempio; ma il greve disegno accusa gli errori del proprio secolo.

PRIMO ALTARE. - S. Antonio di Padova; tela di Giuseppe Panfilo.

Appoggiato al vicino pilone è il monumento di Gabrio Maria Nava tolto al seggio episcopale di Brescia nel (1)831, e la cui memoria mai che si desti nell'anima no-

(1) Poesie Sacre. Brescia.


stra senza che dolcemente non sia tocca da un senso ineffabile di venerazione e di amore. Dettata con venustà di lapidario stile e morcelliana eleganza è l'epigrafe dell'archeologo insigne Giovanni Labus scolpita sul basamento: la Carità che vi sta sopra male risponde per altro al casto simbolo di quella del nostro Nava. Avremmo desiderato che colla verecondia di quell'atto materno dovesse pure simboleggiarsi la verecondia della carità evangelica, la quale ti dona e si nasconde, ti soccorre e tace con quell’umile silenzio che è carattere essenziale di chi benefica ed è cristiano. Monti di Ravenna fu l'autore del mausoleo.

All'opposto pilone si trova quello del vescovo Ferrari. È lavoro di Giovanni Emanueli, scultore bresciano di assai bella fama, e lo adorna la statua sedente della Teologia.

SECONDO ALTARE. - Gesù Cristo che risana gli infermi, dipinto del veneziano Gregoretti. Intonazione armonica, robusta. Del resto evidente il nesso materiale di vari studi d'alcuni quadri notissimi delle antiche scuole per farne uno solo. È però singolare che non un Hayez, non un Diotti, non un Podesti, non altra mano di simil vaglia si osservi nelle nostre chiese, mentre si ambirono da quelle di Chiari e d'Iseo. L'altare è disegno del Vantini, e le due statue colossali poste ai lati, rappresentanti la Fede e la Speranza, sono la prima di Seleroni da Cremona, l’altra di Emanueli; è in ambe assai magistero di esecuzione, forse migliore quella dell’artefice bresciano.


TERZA CAPPELLA. - È occupata dall’arca marmorea del santo vescovo bresciano Apollonio: bello ed aggraziato lavoro, del secolo XV, con assai finiti adornamenti e rappresentanze ad alto rilievo di alcune gesta del vescovo (1).

QUARTO ALTARE. - L'angelo custode : dipinto di Luigi Basiletti bresciano. Le statue che adornano l'altare sono di Antonio Caligari; ed è notevole il tabernacolo ricco di lapislazuli e di bronzi dorati.

ARA MASSIMA. - Assunta di Giacomo Zoboli, per quanto dicesi diretta dal Conca: quadro lodato per grandiosità di pensiero e larghezza d'impasto; ma in quelle gigantesche figure sì evidente risulta il corretto e fiero disegno del Conca, che sarei per dirle tutte sue. Le -due statue dei SS. Gaudenzio e Filastrio sono del Caligari, e il busto del Querini è fattura del romano Bartolammeo Pincellotti.

SESTO ALTARE. - I SS. Carlo e Francesco in atto dì venerare col vescovo di Brescia Marin Giorgi, e la Vergine, sono di Palma il giovane. Sopraquadro, Antonio Gandini.

SETTIMO ALTARE. - Il popolo bresciano, desolato dalla peste del 1630, ne implora da Dio la cessazione. Qui la Madre di Dio spreme dal seno verginale alcune stille di latte che ricadono sul popolo  
supplicante. Fu citato, per quanto dicesi, questo capriccio di Giuseppe Panfilo a scusare la Carità del Monti.

(1) L’iscrizione incisa sotto l'arca ci ricorda che nel giorno 5 maggio 1674 furono nella stessa riposte le ossa dei ss. vescovi Apollonio e Filastrio ivi trasportate dal Duomo Vecchio.


OTTAVO E NONO ALTARE. - Destinato il primo alle SS. Croci il secondo a S. Gaudenzio altro vescovo di Brescia, nella parete di quest'ultima cappella venne provvisoriamente collocato un altro grandioso dipinto del Romanino - Lo Sposalizio della V. M. - Contiguo al Duomo trovasi l'archivio canonicale ricco di pergamene della Chiesa Bresciana e di altri codici. È da notarsi fra questi un’opera canonica, inedita fin ora, di Bonizone vescovo di Sutri che scrisse nell'XI secolo (1): è la più completa dei due esemplari a noi noti, e ne parla il Manso nella prefazione ai supplementi del Labbè, il Trombelli ed il Gradenigo (2).

Il Broletto.

Forse un Broletto esisteva già fino dal 1146 (3) pressor l’antica piazza di S. Pietro de Dom (4). Certo nel 1187 (5), a monte di questa chiesa, si eresse nuova sede alle bresciane magistrature, e probabilmente come guerresco baluardo l'alta e massiccia torre che denominasi del popolo (corrottamente del pegol). - Due anni dopo sotto il consolato di Villano veniva aggiunto un portico detto, per

 

(1) Bonizonis Episcopi de SS. Patrum authenticis canonibus ad Gregorium Presbyterum.

(2) Brixia Sacra, 1755, pag. 443. Monitum.

(3) MCXVI coeptum est Mercatum Broli. Cronichetta Bresciana pubbl. dal Doneda nelle notizie intorno alla zecca di Brescia.

(4) Zamboni, cit. Fabbriche, capo 1 pag. 4.

(5) Nel qual anno seguiva il saldo di un fondo super quam est Palatium Comunis constructum. Lib. Poteris Brix. in Com. Archiv. pag. 8.


l'uso a cui serviva, dell'Arrengo. Sull'area di queste fabbriche, (che i documenti ci direbbero costrutte in legname) (1) e di altre case e fondi, nuovamente acquistati, il comune nel 1223 dava principio all'erezione del lato meridionale dell'attuale Broletto, e pare che fosse compito nel 1227. Pochi anni dopo veniva edificato anche il lato di mattina; di cui un prospetto guarda verso il grande cortile, e l'altro è mascherato da costruzioni molto posteriori. – Questi due corpi di fabbricato, benché distinti, erano uniti dalla scala ascendente che s'apriva tra l'uno e l'altro, e di ciò abbiamo sicuro argomento nella sentenza del 9 settembre 1253, data: super area scale inter Pallacium maius novum Comunis Brixie, ed inter Pallacium novum minus.

Il prospetto minore verso la piazza del Duomo del lato meridionale aveva un pergolo le cui mensole erano fregiate da scolture d’alto rilievo, ora raccolte nel Museo civico a S. Giulia. I due edifici, barbaramente manomessi, pure serbano ancora l'impronta di quella solida e grave architettura lombarda che ammiriamo negli edifici italiani della ferrea ma virile età dei nostri comuni.

Altri acquisti e aggiunte seguirono nel 1284 a monte del grande cortile, ma nulla ci rimane che ricordi quell'epoca. La piazza d’arme che là s'apriva, l'alta muraglia merlata che la recinge, solo ornata da gentile corniciatura in cotto: il cavalcavia che adduce alle pendici del castello sembrano opere della seconda metà del XIV se-

(1) Laubia 1ignorum - in un atto del 1195, e del 1214 - Palatium lignorum - in atto del 1206.


colo, dominanti i Visconti. Anche il lato di sera del grande cortile, ove la ghiera delle grandi finestre del prospetto esterno è ornata da fregi e cornicette in cotto alternati con pezzi di calcare, può ritenersi della stessa epoca, meno la parte inferiore.

La grande porta sotto i portici a oriente, ornata da colonne bugnate, è opera del XVI secolo.

Al XVII spettano la parte esterna a sera e a mattina, la loggia del gran cortile e lo scalone.

S. Agostino.

L'elegante facciata della piccola e distrutta chiesa di S. Agostino scorgesi ancora nel fianco occidentale del Broletto (vicolo di S. Agostino). Questa chiesuola appartenne al palazzo stesso, ed era forse la medesima che il Malatesta faceva dipingere a Gentile da Fabriano nei primi anni del XV secolo. - Già prima del 1149 era sommessa ai canonici della Cattedrale e del 1589 se ne deplorava nei documenti patrii la desolazione.

Biblioteca Civica Queriniana.

Fondata nel 1750 dal cardinale Angelo Maria Querini, dal medesimo arricchita di cimeli, di codici, di manoscritti, di libri moltissimi e dotata di un reddito per l’acquisto di nuove opere, venne sempre più aumentando di libri, dotazione e locali per doni e lasciti privati e per assegni municipali.


Ora possiede circa mille volumi manoscritti di opere e raccolte di documenti illustranti la patria istoria, di libri classici, scientifici, liturgici, biblici, teologici, di collezioni d'autografi ecc.; meritano speciale menzione

a) L’Evangelario:
l'uno dei quattro più celebri a noi noti, serba l'antica forma quadrata. Bel codice gallicano del IX secolo, che ricordaci a primo tratto i rappresentati nel Menologio di S. Basilio (1) e sui mosaici cristiani (2), del pari che i codici, dipinti di Ercolano e di Pompei contiene i quattro Vangeli secondo l'antica versione italica, ed ha principio coi canoni d'Eusebio, scritti gli uni gli altri sul fare dei celebri Evangelari di Verona, di Vercelli e di Corbeja (3), sopra pagine di pergamena porporina con mica aurea ed argentea. Fu illustrato dal Garbelli e dal Bianchini (4), e proviene dall'antico ed or soppresso cenobio di S. Giulia.

b) Il Codice diplomatico bresciano:
è una collezione di diplomi ed altri antichissimi documenti pergamenacei dall'ottavo secolo fino al decimo terzo, de’ quali parte stanno inserti e trascritti in fogli legati a volumi in fol. mass.; parte conservati in cartelle. I documenti del secolo VIII superano per numero gli Ambrosiani raccolti dal Fumagalli.

(1) Meno]. Graec. Saec. IX.

(2) Allegranza, Mons. Sac. - Ciampini, Monum. antiq. et de sacris. aedif. - Furietti, de Musivis. - Cancellieri, la Sacrestia Vaticana, ecc

(3) Labus, Fasti della Chiesa, t. VIII p. 56-

(4) Evangelium Quadruplex.


c) Eusebio:

Concordantia Evangelistarum et Evangelia Codice membranaceo bizantino del secolo X con preziose miniature conservatissime.

d) Libro liturgico e di sacre offerte del monastero di S. Salvatore, prezioso codice membranaceo.

e) Liber Poteris Brixiae:
Due codici membranacei del secolo XIII, che si completano a vicenda, e contengono ciascuno in più di mille pagine i più importanti documenti municipali, che dal secolo XI al XIII sienci rimasti, inediti quasi tutti.

f) Statuti bresciani:
del XIII al XVI secolo in vari grandi codici membranacei.

g) Salterio Davidico:
Codice membranaceo con finissime miniature di scuola tedesca del XV secolo.

h) Libri corali:
membranacei di gran mole legati con assicelle, corame e grosse borchie, ornati di belle miniature; i più furono commessi da Francesco Sanson da Brescia generale dell'ordine dei minoriti, e miniati dal frate Sassone Evangelista Germano nel 1430.

La Queriniana possiede inoltre più di 500 volumi di edizioni del secolo decimoquinto, e fra esse sono da notarsi vari libri di Ore di Jehannot, Hardouyn, Kerver e Gigouchet, e più che tutti un Petrarca (Venezia, 1470) con illustrazioni miniate marginali, che ricordano la maniera di Sandro Botticelli. Notevole anche la collezione degli incunaboli della tipografia bresciana conservata in apposita vetrina.


A circa 60000 sommano gli altri volumi stampati, fra ì quali ve ne sono molto rari e rarissimi ed è assai considerevole la raccolta di edizioni bibliche.

Ateneo.

È suo scopo promuovere e diffondere, particolarmente nella nostra provincia, le scoperte e le cognizioni che si riferiscono all’agricoltura, al commercio, alle scienze, alle lettere ed alle arti, e giovare alla publica istruzione. Tiene adunanze e pubbliche esposizioni di produzioni artistiche ed industriali; distribuisce premi e sussidi, pubblica colle stampe i commentari annuali de’ propri atti: per legato del benemerito co. Francesco Carini conferisce premi a bresciani benemeriti per opere filantropiche; amministra l’eredità del pittore G. B. Gigola destinata a decorare il Camposanto di monumenti a bresciani illustri.

Nelle sale sono libri, modelli di macchine, stampe, plastiche, minerali e fossili della provincia: nella sala delle letture, oltre ad alcuni marmorei busti d'uomini insigni, trovi parecchie tele che altri ne rappresentano, eseguite da bresciani artisti dell'età nostra, e un paesaggio del conte Nava.

Congrega Apostolica.

Da un istituto scientifico passiamo al vicino elemosiniere fondato sul cominciare del cinquecento, e nel quale un’eletta di cittadini dispensa soccorsi al povero tutte le domeniche dell’anno. Nella cappella è un Redentore


che ammaestra i discepoli, di Pietro Rosa. In alto i SS. Faustino e Giovita del Panfilo. Il marmoreo busto del cardinale Querini è di Bortolammeo Pincellotti.

Episcopio.

Di un episcopio è cenno già fino dal cominciare dell'XI secolo, avvegnachè Landolfo intorno al 1025 prope sedem episcoii sui facesse trasportare le spoglie del santo vescovo Apollonio (1), come si nomina in altri documenti del secolo XI e dei consecutivi (2). Si sa che ad esso era unita la chiesa di S. Martino, per modo che in un atto del 1178 lo si dice, senz'altro Palatium Episcopi S. Martini (3). Egli è quel medesimo che vien chiamato domus Episcopi nel 1087 (4), Laubia Episcopi nel 1149 (5), e così via, e che del 1316 i guelfi ponevano a sacco senza misericordia (6), e cui Francesco Marerio vescovo riedificava nel 1437, Domenico Bollani altro vescovo ampliava nel 1570, cangiandone le forme con disegni di Giammaria Piantavigna.

In un elenco di bresciane chiese del 1150 (7), od in quel torno, al santuario episcopale di S. Martino è ag-

(1) Lezionario perg. Queriniano dell’XI secolo A l. 8 pag. 148.

(2) Gradonicus, Brixia Sacra, pag. 187 ecr.

(3) Gradonicus, Brixia Sacra, pag. 226.

(4) Op. cit. pag. 187

(5) Miscell. perg. Quirin. F. VI. 3.

(6) Odorici, Storie Bresciane del secolo XIV, pag. 28

(7) Desunto da un codice comunicato dal Doneda all'ab. Trombelli di Bologna, e pubblicato dal primo nelle Osservazioni al primo volume delle Storie Bresciane del Biemmi.


giunto il titolo de Dom, che lo fa supporre vicino, o di spettanza della cattedrale di S. Pietro, che come si sa, distinguevasi anch’essa col titolo suddetto. Forse il titolo di S. Martino nella Rotonda è traslazione dall'antico.

Abbiam veduto sin qui una serie brevissima di monumenti: ma poi che a quella serie appunto, che è quanto dire alle Cattedrali, all'Episcopio, al Broletto, alla Congrega, alla Queriniana, all'Ateneo sembrerebbe, quasi dissi, dai padri nostri affidata una qualche rappresentanza, e come a dire un simbolo delle nostre condizioni politiche, morali, scientifiche e religiose, ho creduto non indarno allargarmi, notandone poco meno che le minuzie. Se non che, progredire con questo metodo sulle tracce del Sala, obbligando il forestiere a starsene col mento in aria ad ogni quadraccio, ad ogni cherubino del Ferretti e del Cignaroli, non sarebbe pietà.

Soffermiamoci dunque per l'avvenire ai monumenti che onorano l'arti nostre, o che almanco non le degradino; e non profaniamoli coll’affrattellarli alle oscure produzioni di qualche scalpellino, o di qualche imbratta tele: chè i mediocri, o peggio, non meritano distinzioni.

S. Benedetto.

Antico sacello ricordato nei documenti del monastero Leonense al quale spettava già fino dal 958(1), sendone

(1) Zaccaria, dell' antichissima Badia di Leno. Docum. n. VI.


a que' monaci confermata in quell'anno la proprietà da un imperiale diploma. Nulla più rimane di vetusto.

La Carità.

Secondo ci narra il co. Francesco Gambara ne' suoi Ragionamenti (1), Laura Gambara sarebbe la fondatrice del monastero delle Convertite e dell'unitovi tempio della Carità, l’uno e l’altro innalzato a di lei spese dal 1481 al 1531; il Sala per quella vece avvertirebbe quel ritiro e quel tempio stabilito sino dal 1538, e a pubbliche spese ricostrutto nel 1730 (2).

Le due colonne di granito che fiancheggiano la porta spettavano probabilmente con altre ventidue agli intercolonii della basilica di S. Pietro de Dom, tolte già prima, se crediamo al Rossi (3), a’ portici del Foro Arrio.

TERZO ALTARE. - I SS. Sebastiano, Rocco ed Antonio di Padova Francesco Paglia bresciano.

S. Marco.

Oratorio antico, probabilmente del XIII secolo; nelle forme esterne conservatissime è tutt’ora il carattere severo dell’arti del suo tempo. Ha un quadro del Marone col santo titolare, e S. Antonio abate.

(1) T. I, Ragionam. di cose patrie. Brescia 1839. Rag. l p. 26, ma qui non facea che riprodurre le parole del Brognoli.

(2) Guida cit. pag. 54.

(3) Mem. bresciane, pag.16 e 46.


S. Clemente.

Chiesa bresciana ricordata in un documento del 954 (1), ed in altri del XII e XIII secolo. Distrutto dai veneti nel 1517 il convento di S. Fiorano assieme con altre fabbriche suburbane, alle quali solevano appoggiare i nemici le loro fazioni contro la città, i monaci, ch’erano Domenicani, ottennero questa chiesa, con qualche abitazione vicina. Verso la metà del secolo XVIII se ne tolsero, e venne convertita in una Rettoria.

Il passaggiero che viene a questo tempio sente di avvicinarsi ad un luogo doppiamente sacro, e per la religione, e per le arti, che sono anch’esse un’ispirazione del cielo; e chinata la fronte dinanzi a Dio, non può a meno di non accostarsi al monumento di Alessandro Bonvicini col rispetto di chi si appressa all'altare. Fu gentile pensiero quello di collocarlo qui, perché la ricordanza di un tanto uomo non sia disgiunta dalle sue ceneri, che dormono ‘in mezzo all'opere stupende per le quali s’è fatta imperitura; qui le circondano quasi angeli tutelari, e destano un palpito di orgoglio nel nostro cuore; deh non sia indarno l'esempio e la memoria!

Il busto in marmo è lavoro del Sangiorgio.

Cinque tele dell'insigne Moretto adornano il tempio. Le SS. Cecilia, Barbara e Lucia in un altare a destra; S. Orsola colle vergini compagne; l'offerta di Melchisedecco, e S. Gerolamo nei tre altari a sinistra; il S. Clemente colla B. V.

(1) La citata donazione di Bernardo prete, 24 ag. 954 nel Cod. Dipl.


ed altri santi nel maggiore altare. Quanta varietà di condotta, di concetto, d'intonazione, di tinto quasi dissi ad, ogni quadro! Tizianesca robustezza ne’ gravi soggetti e tocco vigoroso e concentrato; morbidezza e fusione soavissima, quale non può dirsi maggiore negli aggraziati e gentili; in tutti una squisita intelligenza del vero, una padronanza dell’arte, una franchezza maravigliosa e quello che manca in mille tele - Amore.

Noteremo ancora un’Annunciata, che è tempera probabilmente del Romanino offerta alla chiesa coll’angelo Gabriele in altra tela dall'arch. Vantini.

S. Zeno.

Abbiamo memorie di questa chiesa da sette secoli addietro, e fu chiamata fino dalla metà del XII di S. Zeno del Foro, per le rovine amplissime del Foro Nonio, tra le quali probabilmente si alzava, nè già per testimonianza, dell'elenco del Totti, di dubbia data (1), ma per quella di un documento del 1150 (2).

Le pitture sono moderne, diremo col Sala, né di molta considerazione. Il tempio attuale fu ricostruito sull’antico luogo nel secolo passato.

Rovine del Teatro antico.

Se ne veggono le reliquie insigni nel cortile di casa Gambara (ora caserma dei carabinieri) vicino a S. Zeno,

(1) Gradonicus, Brix. sacra, pag. XXXIII

(2) Doneda, Osserv. al I. vol. delle Storie Bresc. del Biemmi.


dalle quali si rileva come poggiasse col dosso della curva alle radici del colle Cidneo. Del 1173, lo ho notato altrove (1), vi si accoglievano i consoli bresciani (2) pel disimpegno della cosa pubblica. Il raggio dell'emiciclo esterno risulta di quarantadue metri; il più breve di trentadue. Veggonsi ancora alcuni pochi avanzi dei vomitorii, ,del proscenio, dei corridoi; e bene fu osservato essere più vasto di quello di Ercolano, ed uguale in ampiezza ai celebri di Catania e Taormina (3).

L'unica tradizione di quel romano edificio a noi rimasta fino al secolo XVI fa nel nome di una chiesicciuola spettante al monastero di santa Giulia, che ancora a’ tempi, del Rossi chiamavasi di S. Remigio del Teatro (4). Vuolsi consacrata da Landolfo vescovo del X secolo (5); eravi aggiunto uno spedale dalle pie monache istituito, e della sua fronte rimangono tuttavolta i resti nel vicolo del Fontanone.

Avanzi della Curia e del Foro

al Beveradore ed al Novarino.

Ed eccoci ad altre reliquie. Che spettassero alla curia municipale (però che dubitar non è dato che tra noi non

(1)Brescia Romana illustrata. Brescia 1851, pag. 34.

(2) In theatro civítatis Brixiae super gradum in quo morantur consules. Carta del 1173, Cod. Dipl, Bresc. t. V delle storie n. 127.

(3) Vantini nel Museo Bresc. illust. t. I. pag. 33.

(4) S. Remigio che dicesi del Teatro: hora è come una piccola stanza profanata dai servi di quelle monache di S. Giulia). Rossi, Historia di Brescia, Cod. Quirin. C. 1, 6.

(5) Gradonicus, Brix. sac. pag. 142.


sorgesse pel senato bresciano, cioè per l'ordo brixianornm dei nostri marmi) non abbiamo che induzioni, di tal valore, però da non poterle combattere sì di leggieri. La magnificenza della costruzione, che manifestava nella curia la dignità del municipio; la nessuna analogia del suo carattere colla basilica, colle carceri, coll’erario; l'essere isolata, rettangolare, prossima al foro, sono circostanze che la fanno congetturare una curia antica.

E poi che abbiam nominato il foro Nonio, è indubitato che largamente si aprisse nella vicina piazza del Novarino (Nonio Arrio) che tutta la comprendeva; e che fiancheggiato da portici sontuosi, fosse chiuso dall'una fronte pel magnifico prospetto del tempio di Vespasiano, sulle cui restanze fu eretto il Museo Patrio, dall'altra per quello della curia. Per quasi duecento metri noi riscontriamo la sua lunghezza, e ne’ luoghi terranei delle case propinque, alla piazza possono ammirarsi ancora le indubbie restanze (1).

Rovine del Tempio di Vespasiano e Museo Civico.

Età Romana.

Nel 1822 per avventurata proposta di Luigi Basiletti pittore bresciano si cominciarono alcuni scavi intorno ad una colonna che fino dai tempi di Ottavio Rossi emergeva, indizio d'una fabbrica romana. Largamente sovvenne il municipio a quegli scavi, e si scopersero le vestigia di un tempio, sulle cui reliquie, serbato il concetto e gli spartimenti antichi, fu eretto il Patrio Museo. L'epigrafe

(1) Museo bresc. illust. Il Foro, t. 1, pag. 93, tav. XXII, XXIII, ecc.


dedicatoria, ch'era scolpita nel fregio del grandioso pronao, ci apprendeva od innalzato o ristaurato quel tempio da Vespasiano l'anno 72 di G. C. (1); e i resti di un altro edificio, sul quale fin d’allora fu costruito, lo facevano dubitare riproduzione di quest’ultimo, diviso anch’esso in tre  
celle da due consimili ambulacri come può suadersene chi scende in un anditello scavato al di sotto dell' edificio (2).

Seguendo il nobile esempio dei padri nostri, i quali fino dal 1480 primi e soli dei popoli lombardi decretavano la conservazione dei monumenti antichi, e ne decoravano come di pubblico museo la loro piazza (3), e noi pure accogliemmo di scritte lapidi e di rilievi antichi quanto dalla cittadina munificenza venivasi offerendo al Museo patrio, e ne risultò una raccolta insigne di monumenti bresciani, che l’un dì più che l’altro si dilata e si abbella.

Sala massima. - Lapidi.

Nel mezzo del pavimento, è un mosaico prezioso scoperto in Brescia nel 1820, e sovra un tronco di colonna, è un vaso etrusco venuto dagli scavi di Cavalupo del principe di Canino (4). Da un lato i Dioscuri armati della dop-

 

(1)Labus. Antichi Monum. scoperti in Brescia, 1823, pag. 114.

(2) Museo bresc. ill. t. 1, pag. 57 e seg. tav. II, III, IV e seg.

(3) Provisiones Civit. Brix. 1480, 13 ott. Captum fuit.... quod lapides laborati nuper sub terra reperti.... et qui in futurum reperientur, conservari debeant etc. - Apud Arch. Com. Brix.

(4) Antichità etrusche degli scavi del principe di Canino. (Viterbo, per Monarchi 1829, pag. 46 n. 710), classificate dal principe coll’assistenza, del suo collaboratore ed amico (sono parole di Luciano Bonaparte) R. P. Maurizio da Brescia.


pia lancia, e di fronte Tindaro e Leda: dall’altro è un Ercole che, presente Minerva, atterra il leone Nemeo; fu dono munificentissimo del c,). Paolo Tosi.

Si leggono a sinistra le epigrafi sacre; le storiche di fronte; stanno le onorarie a destra; rimpetto alle storiche le funerarie (1).

Sala II - Lapidi funerarie. Cippi miliarii. Frammenti figurati ed ornamentali.

In quattro scaffali lungo le pareti si trovano bronzi, lucerne, utensili, vasi fittili, vetro, il tutto di epoca romana.

Nelle vetrine in mezzo alla sala è riposta una raccolta di monete antiche d’argento e d’oro, e fra quest'ultime un aureo tremisse di Rotario re dei Longobardi, forse l'unico pervenuto a noi di quel re per confessione del conte di S. Quintino (2), e in altra piccola vetrina si è avviata una raccolta di oggetti preistorici.

Sala III - Scolture.

Da un pavimento antico di marmi numidici, lunensi, di Grecia e della Frigia, in tutta la pompa della sua venustà si leva il simulacro della Vittoria, emersa nel 1826 dalle macerie di un ambulacro di questo tempio istesso, quasi a coronare di se medesima gli scavi nostri. È una statua muliebre in bronzo fuso, in atto di scrivere sopra uno

 

(1) Tutte le sacre e qualcuna delle storiche sono già illustrate dal cav. Labus nel dottissimo volume : Marmi bresciani classificati ed illustrati in corso di stampa.

(2) Della moneta longobarda. Veggasi il Progresso, fasc. XVI 1834.


scudo, ed è forse la più portentosa che vantino fra le metalliche dell' arte antica i tempi nostri (1).

Due scaffali contengono bronzi, marmi, vetri, in genere tutti gli oggetti rinvenuti in luogo quando si fecero le escavazioni.

Bassi rilievi istoriati del romano impero; sono particolarmente da notarsi i due rappresentanti un baccanale e la battaglia di Maratona (2).

Protome di bronzo dorato della grandezza del vero, scoperte Sul luogo (3).

Avanzi diversi ornamentali, e di statue antiche, ecc.

Museo civico (Età cristiana)
ex Chiesa di S. Giulia.

La cui marmorea fronte scorgesi a tramontana delle precinzioni esterne dell’ex convento, fu compiuta con palladiana eleganza sulla fine del secolo XVI.

Il Municipio di Brescia, compreso della necessità di procurare sede conveniente e decorosa ai molti oggetti antichi e del risorgimento che stavano a disagio accumulati nel Museo Romano, diede opera alla istituzione di un nuovo Museo valendosi a tale scopo di questo grandioso edificio. Si vanno ora mettendo a posto marmi cristiani, medievali e del risorgimento e nelle vetrine saranno distribuite le pregevoli collezioni di vetri, vasi, bronzi, armi ed

(1)Museo bresc. illustrato, tomo I, tav. XXXVIII, XXXIX, XL.

(2) Illust. dal cav. Labus nel cit. Museo, tomo I, tav. XXXVII e LI.

(3) Citato Museo, tomo I, in diverse tavole.


il medagliere provenienti per la maggior parte da lascito del benemerito cittadino Camillo Brozzoni. Vogliamo notare in particolar modo che il presbiterio è tutto dipinto a fresco da egregi artisti bresciani del secolo XVI quali furono Fl.° Ferramola, Foppa il giovane e Paolo Zoppo, e che nel presbiterio stesso fu testè collocato il mausoleo di Marc’Antonio Martinengo, uno de’ più ammirabili monumenti dell'arte italiana nell'aureo secolo XVI. Facciamo voti che il museo venga mano mano arricchendosi per generoso offerte di privati e di corpi morali, di maniera che l’importanza delle collezioni archeologico-artistiche sia pari alla grandiosità dell'edificio, e rappresenti degnamente lo splendore delle arti bresciane.

Basilica longobarda di S. Salvatore.

Dell' antico monastero di S. Michele Arcangelo e di S. Pietro, eretto da Desiderio nativo di Brescia e re dei Longobardi intorno al 754, cui poscia aggiunse il titolo e la basilica di S. Salvatore; del claustro, in cui si chiusero e morirono tante figlie, sorelle, vedove di re, di duchi, d’imperatori, non è più traccia, fuorchè la basilica di cui parliamo, che’ serba le forme 
gli spartimenti , il concetto delle antiche basiliche cristiane (1).

È divisa in tre navi da due ordini di colonne varie di 
marmi, di proporzioni, di basi, di capitelli, due dei quali mirabilissimi da me scoperti nel farli spogliare de-

(1) Cordero, Archit. ital. durante la long. dominazione, Brescia 1829.


gli stucchi onde furono involti nel secolo XVIII. Sulle colonne impostano archi a tutto sesto e la navata centrale, a volto di costruzione molto posteriore, era terminata da un’abside. Sotto all’abside e a parte delle navate sta la cripta sorretta anch’essa da moltiplici colonnette, alcune delle quali coi sovrapposti capitelli istoriati si conservano attualmente nel Museo superiore. Adducono a quella cripta due scalucce: di fronte alla sinistra era un’imagine di S. Ipimeneo, scema del capo, diligentissimo affresco del Romanino: io lo ricordo, perché quella testa ch’erami parsa un capolavoro inimitabile per la soavità delle castigate forme, e per un non so che di celestiale cui s'informava, m'ebbi il dolore di vedermela cadere a terra, staccatasi col cemento su cui era condotta per la inavvertenza di chi avea meco pei rilievi che mi andava compiendo della basilica e de’ suoi monumenti. Assai dipinti a fresco del Foppa il giovane si conservano nella cappella a sinistra; e forse alcuni del Foppa il vecchio sono pure del Romanino, e tratteggiati con largo stile i mirabili affreschi relativi a S. Obicio nella cappelletta di sostruzione al campanile.

Dire del pregio di questo monumento longobardo sarebbe soverchio dopo il molto che se n’è scritto (1). Basti ripetere essere uno dei rarissimi a noi rimasti di quei secoli miserandi, sia per la conservazione delle sue forme, sia pe’ rilievi di assai capitelli, che vanno fra le più rare

(1) Cordero, Sacchi, Sala, Romagnosi, ecc. Veggansi ancora le mie Antichità Cristiane, pag. 25 e seg. e tav. I, II e III.


testimonianze del grado a cui era discesa nel secolo di Desiderio la longobardica scoltura.

S. Maria del Solario.

Di fianco al soppresso cenobio di S. Giulia, ora fatto stanza militare, è un lato dell'antico sacello di S. Maria del Solario, già nei limiti claustrali di quel monastero. Dissi altra volta che debbe considerarsi non del secolo VIII, siccome scrivevano i fratelli Sacchi, ma piuttosto dell'XI o XII, forse eretta sulle rovine di un tempio dedicato al Sole presso all'antico solario o meridiana che dir si voglia (1).

È monumento prezioso dei più intatti a noi rimasti di quella forte e massiccia architettura lombarda, che non disgiunta da certa semplicità e grandiosità di stile, par testimonio ancora della tempera vigorosa dei nostri comuni (2).

Il santuario è a due piani: l'inferiore è a volte, sorrette nel centro da un gran cippo dedicato al Sole. Quadrilatera è la cappella sovrapposta e coperta da volta emisferica, che corrisponde alla galleria esterna.

Nel lato di mattina si aprono tre absidi dipinte con affreschi che si direbbero della scuola del Luino e sono i più conservati e pregevoli dipinti della cappella: di epoche posteriori e di merito mediocre sono gli affreschi delle altre paretì.

(1) Antichitá Crist. pag. 40.

(2) Ant. Cr. tav. IV, ove sono le sezioni, le planimetrie ed il lato esterno sudd.


Il Ravarotto.

Chi per la contrada di S. Giulia progredisce fino a che la via si termina dalle mura, giunge al sommo di un torrioncello così detto del Ravarotto. In luogo di quel torrione, rimpetto a quella via era una volta l'antichissima porta di S. Andrea, nominata in alcuni documenti del X secolo (1), così detta da una basilica a pochi passi e di fronte alla porta stessa, in cui riposavano fino dai tempi del b. Ramperto (838) le ceneri di S. Filastrio. Deserto è il luogo e melanconico per tristi casolari che vi stanno al piede; ma celebre nei fasti municipali per l'assalto ivi respinto dai padri nostri di tutto lo sforzo dell’armi di Filippo Maria Visconti, nella ossidione del 1438.

Era la mattina del 30 novembre, giorno di S. Andrea. Nicolò Piccinino, scaricate ad un punto con fragore immenso tutte le artiglierie, perchè i vortici del fumo avvolgendo i suoi movimenti ne togliessero la vista ai difensori, s’avanzò con doppio esercito, all’uno de’ quali pose in capo Taliano del Friuli e l'altro egli stesso guidò ; spingeva il primo sotto cantone Mombello, al Ravarotto il secondo. Còlti i nostri di Mombello quasi alla sprovveduta, per una torre che i nemici avevan guadagnata, fu tale accanito e disperato combattimento , che per più ore bastò. Avresti veduto, esclama Cristoforo Soldo, prode bresciano, che in mezzo a quella mischia con soldatesca ilarità si ravvolgeva (2), gli uomini d’arme

(1) An. 824. Amizo presb. prope portam S. Andrea. Cod. Diplom. Querin. Sec. IX, pergam. autograf.

(2) Soldo, Cronache pubbl. dal Muratori negli scritt. delle cose d'Italia.

traboccar giù per quel terraglio con quei loro pennacchi ch'era una consolazione. Di bombarde, di verettoni, di sassi parea che l’aria si oscurasse; parea che tutto il mondo s’aprisse di tamburri, di trombette, di grida, di campana-martello.

Finalmente la vittoria fu nostra; ma intanto che più ardeva la mischia, continuava la pugna insistente e sanguinosa al Ravarotto, dove mancò piuttosto la luce omai sul tramonto, che il furore degli uomini. L’una dopo l'altra facea scendere il Fortebraccio nelle insanguinate fosse le proprie schiere, ma l’una dopo l’altra ferocemente ributtavano i cittadini, finchè lacere, affrante, scompigliate fu lor duopo desistere; e fu allora che, sendo già notte, veduta la sconfitta del Ravarotto, si tolse il Taliano da cantone Mombello, e suonò a raccolta. Quaranta dei nostri spirarono trafitti sul contrastato Mombello, ma duecento nemici rotolarono estinti dai nostri spaldi. E tra quel vasto e rumoroso ribollimento, e il tuonare incessante delle batterie, si mescolavano animose le nostre fanciulle, recando materiali a’ guastatori, medicamenti ai feriti, cibo agli affranti, a tutti ove più fossero ì perigli, come fosse lor dato, sovvenimento; e Brigida Avogadro innanzi a tutte, apparsa come una visione del cielo tra il fumo e le rovine delle cadenti rocche (1).

E gli intrepidi bresciani, fra l’orrido rimestamento, caldo il cuore di quella fede che santifica l'amore della

(1) Molte cose racconta il Gambara di questa nostra eroina nel sua i Ragionamenti, ma cose da romanzo.


terra natia, nell'ardore delle credenze che fanno sì bella e affettuosa la religione, vedevano calarsi dall’alto due luminosi guerrieri, e piantati nel mezzo del campo respingere i nemici, poi risalirsene tranquillamente al cielo; e ai nostri martiri Faustino e Giovita collocavano riconoscenti al Ravarotto un monumento (1) testimonianza delle gesta gloriose che vi ho descritte, la cui memoria sorvisse orgoglio dei posteri, e forse non morrà.

S. Corpo di Cristo.

Ristaurato intorno a due secoli fa, rimane l'antica sua fronte con qualche affresco di Pietro Marone. Il quale dipinse pure alcune pareti claustrali, e nel refettorio. Fino dal 1468 chiesa e convento erano dei Gesuiti, a' quali nel 1669 succedevano i Riformati di S. Francesco.

SECONDO ALTARE. - La nascita del Redentore e due quadri Laterali dì Pietro Maria Bagnadore.

TERZO ALTARE. - Quadri laterali di F. Paglia.

S. Pietro in Oliveto.

So che alcuni dotti riferiscono al 1112 la sua fondazione (2), e il Malvezzi al 1101. Nel lato esterno verso mattina si vede tuttora un abside minore appartenente alla chiesa primitiva e sembra opera del secolo XII. Il tempio fu rifatto in più larghe proporzioni nel XVI secolo,

(1) Ora nel Museo a S. Giulia.

(2) Doneda, Notizie delle chiese di Brescia nel Diario dei 1774. Astezati, in Comment. Manelm. Vincent. pag. 36.


e gli altari decorati da scolture ornamentali palesano lo stile elegante dell'epoca. Questa chiesa fu già ricca di preziosi dipinti del Foppa il vecchio, del Moretto, del Galeazzi, del Richino ecc. ma tutti quei dipinti furono trasportati parte all'episcopio e parte al Seminario, quando gli Austriaci occupavano militarmente la chiesa e l'annesso convento. Si possono vedere tuttavia alcuni affreschi del Foppa il giovane in uno dei chiostri vicini alla Chiesa.

Il Castello.

Abbiam detto altrove (1) come il Sala errasse nel dire essersi costruito questo ridotto militare per la prima volta dai duchi Visconti, e come dai romani tempi ivi si alzasse quella rocca, o dirò meglio, quel Campidoglio bresciano, al quale sembra alludere Catullo colla celebre frase - Specula Cydnea (2). Ricordammo il castello maggiore col titolo di S. Pietro (serbatosi poi pel monastero di cui fu detto), nominato in un sermone di Ramperto dell’838; ma non abbiamo avvertito che a quelle parole altre sono aggiunte, che fanno quel propugnacolo esistente fino dai tempi d'Ansoaldo vescovo, cioè dal secolo VIII (3). Dell’XI secolo (4) ne parla un documento del cod. dip. quir., del

(1)St. bresc. del secolo XIV, lib. II e Brescia romana cit. -IL Campidoglio.

(2) Brixia Cydnea supposita in specula. - Catul. Eleg.

(3) Sed et temporibus sanctae memoriae Ansvaldi Episcopi, dum quidam. custos tituli S. Petri, qui sistus est in Castro majori etc. - Sermo, b. Ramperti de Translat. b. Philastrii ep. In Patrum Brix. Opera omnia Galeardo edictore.

(4) Gisilberto de loco Castello. Carta del 1041 Cod. Dipl. p. II n. 52


XII i documenti giuliani, l'uno de’ quali (n. 117) cita un Guarto pittore, abitante presso il castello(1); del XIII i queriniani (2), ed altri infiniti. Vero è bensì che Giovanni e Luchino Visconti nel 1343 tali opere v' aggiungevano da renderlo tutt'altro; che la repubblica veneziana d'altre assai, specialmente del secolo XVI, lo muniva e rimarginava : ma un castello ebbimo sempre, e le più volte per nostra sventura, perchè i presidii nemici vi si trinceravano per poi venirsene a dirotta sulla città e metterla a sacco. Ricorderò un solo esempio, quando l'ardente giovinetto Gastone di Foix nel 1512 scese co’ suoi guasconi all’esterminio ed alla strage (3). E qual mercato, dimando io, s’è fatto per la prima volta in castello nel 1218? (4)

Nella cerchia di quelle antiche fortificazioni è la chiesa di S. Stefano detta in arce fino dal secolo XII (5).

Da qualche tempo tutta la collina sulla quale sorge il castello e gli spalti adiacenti da porta Venezia a porta Pile si abbelliscono con viali e piantagioni a guisa di ameno passeggio.

 

(1) Castellum potiti sunt. Cron. cit. a. 1104.

(2) Astezati, indice cronologico ecc. dei documenti del monastero di S. Giulia. (Cod. Quirin. G. IV, 1), dal quale aveva il Guarto pigliato in affitto l’ abitazione.

(3) Anselmi, il sacco di Brescia del 1512. - Spini, Supplemento alle Storie del Capriolo. - Casarius, De exterm. Brixiae. Libellus. Cod. Quirìn. E. VIII, 4

(4) MCCXVIII. Primo factum est mercatum in castro. - Chron. cit. S. Petri, Doneda, luogo cit.

(5) Tottus, Catag. Ep. Brix. caraeteris saec. XII. Galeardus, Brixia sacra, pag. XXXIV


Porta Torrelunga.

Turris longa exarsit primo; così nella cronaca di S. Pietro in Oliveto all' anno 1139, pubblicata dal Doneda (1); altri dicevanla distrutta nel 1132 da Corrado imperatore (2). Ma verso la metà del secolo XIII se ne trova cenno frequentissimo nei documenti; ed è, chi sa forse, la medesíma che dicevasi fino da quei secoli Porta Arbufoni.

Scavandosi anni sono nella prossima osteria del Bel soggiorno si rinvennero a molta profondità le tracce di una fabbrica romana, oltre a parecchie lapidi ivi presso, attualmente locate nel patrio Museo. Quella fabbrica, per alcuni resti di un’ampia circolare cornice colà rinvenuta, è a tenersi un arco.

Monumento ad Arnaldo da Brescia.

Nel centro del nuovo piazzale all'ingresso in città si sta ora elevando il monumento ad Arnaldo da Brescia. La statua ed i bassorilievi modellati dallo scultore Tabacchi vennero fusi in bronzo dal Nelli di Roma. Il basamento fu eseguito dallo scultore D. Lombardi sopra disegno dell'architetto Tagliaferri.

Mercato dei grani.

Questo portico grandioso eretto per lo smercio delle granaglie, con capaci magazzini, è un’opera municipale intrapresa col voto del comunale Consiglio nel 1820 sui disegni di Angelo Vita.

(1) Zecca di Brescia cit.

(2) Cod. Quirin. C. VI, 27.


Giardini pubblici.

(Un tempo mercato vecchio).

Io non so se il mercatum broli della cronaca di S. Pietro (1)debba riferirsi a quest’ampio luogo; ma non pare: sì veramente il mercatum novum constructum nel 1173 (2), detto ancora mercato o piazza S. Siro. Ma come poi spiegare il Mercato nuovo che diede il suo nome ad una contrada fino dal 1135, siccome abbiamo dai documenti giuliani? (3) Ad ogni modo era qui l'antico mercato che servì talvolta di campo chiuso ai duelli ed ai torneamenti cavallereschi.

A’ tempi nostri questo nuovo piazzale fu bellamente ridotto in giardino pubblico, nel cui mezzo fu serbato l’antico sotterraneo fonte, al quale nel 1420, essendosi deviate e rotte dal Carmagnola le suburbane sorgenti, accorrevano le sitibonde moltitudini; onde fu per un istante quella fontana refrigerio e salute della città (4).

La piazza è fronteggiata dal grandioso palazzo Cigola, in cui vuolsi fosso accolto il ferito Baiardo, l’intrepido cavaliere senza rimprovero e senza paura (5) ferito nel 1512 all’assalto della città.

La facciata della Chiesa or soppressa di S. Marta è architettura del Bagnadore.

(1) Doneda, Zecca cit. Cronaca in fine.

(2) Cron. cit.

(3) Astezati, Indice cronologico dell’archivio del monastero di S. Giulia in Brescia. Cod. Quirin. G. IV, 1. 1135 giugno. Contrada di mercato nuovo. Donazione d’una pezza di terra fatta da Ingelenda.

(4) Capreolus. Historia Bnx. I. IX.

(5) Gambara, Geste dei bresciani. Brescia 1820, nota 93 al canto III.


S. Maria Calchera.

Di un oratorio di S. Cecilia locus Calcarie è ricordo in un documento del 954 (1). Pare per altro non fosse che un sacello di quel luogo, il quale, veggo accennato in una perg. del 1071 (2), e che la chiesa di S. Maria molto dovesse ai Calcaria, nobile famiglia di questa nostra città, della quale hanno memorie fino dal 1200 (3). Ed è tanto vero doversi differenziare quei due titoli,1 checchè ne dica l'Astezati, che del 1148 si ricordano le cappelle di S. Clemente e di S. Cecilia unito insieme (4).

Questa parrocchiale fu riedificata intorno alla metà del secolo XVIII.

PRIMO ALTARE. - S. Carlo, di Camillo Procaccini (?)

SECONDO ALTARE. - Sotto il pulpito, il Redentore coi santi Gerolamo e Dorotea del nostro Moretto.

TERZO ALTARE. - I SS. Apollonio, Faustino e Giovita del Romanino. È una tavola nella quale più che altrove si manifesta l’accostarsi di quel pittore alla vivacità della scuola veneziana, senza mai scostarsi da quella fusione di tinte che è propria di quell'artista bresciano; oltrechè la finitezza in assai tele del Romanino ad alcune parti limi-

(1) Cod. Dipl. Quirin. t. III sec. X, ivi l’autografo pergamenaceo inedito, col quale Bernardo prete dona ad Audiverto de loco Calcarie l’oratorio di S. Cecilia, fondato dal padre suo il 24 agosto.

(2) Cod. Dipl. Quirin. t. IV secolo XI.

(3) Astezati, Comm. Mane mi de obsidione Brixiae. - Brescia 1728, pag. 33.

(4) Gradonicus, Brix. sacra cit. pag. 206. Bulla Eugenii PP. - Capelam S. Mariae de Calcaria. Capellas S. Clementis et S. Ceciliae.


tata, qui si effonde a tutto il lavoro, argomento di compiacenza dell’autore in quest'opera sua (1), giustamente dal Lanzi applaudita.

ALTARE MAGGIORE. - La Visitazione di Calisto da Lodi, porta l’anno 1521.

SESTO ALTARE. - La Maddalena e Gesù. Affettuosissima composizione, vastità di concetto, espressione e dignità dei personaggi, svolgimento di luce a grandi masse larghezza e vigoria di tinte, e un non so che di soave e di posato che tanto consuona colla toccante scena, sono pregi notevoli, di questa tela insigne del nostro Moretto. Fu disegnata dal Sala nei Quadri scelti di Brescia N. XXXI, ov’ebbe, argutamente notato l'ampiezza della scena sviluppata in sì poche linee, da renderla per ciò stesso maravigliosa.

S. Eufemia.

La chiesa e il monastero costrutti da Landolfo, secondo di quel nome tra i vescovi di Brescia, il 1020 nel borgo di S. Eufemia (2) qui scambia il Sala (o non è lieve errore) colla chiesa e monastero fondati poscia in Brescia dai monaci benedettini di quel convento, i quali, abbandonato il claustro suburbano ob bella colapsum, ottennero dal papa Eugenio IV di rifuggirsi nell’àmbito delle mura (3). E la chiesa e il cenobio urbano venivano

(1) Pubblicata dal Sala. -Quadri scelti di Brescia. Brescia 1817, tav. 35.

(2) Gradonicus, Brix. sac. pag. 155. - Faita, Annali dei monast. ecc.

(3) An. 1444, 30 maii. Bulla pont. in Cod. Quirin. E. I, 11.


rifabbricati al terminare del secolo XVIII con disegni del padre Faita monaco di quel sacro asilo, i cui annali dal medesimo compilati ora si conservano nel ricchissimo archivio dell’ospitale. E però nè a Landolfo si debbe la costruzione dell’urbano convento, nè fu in esso quel vescovo sepolto.

Sino dal secolo VIII era per altro in Brescia una chiesa d’egual nome, di cui parla un documento Muratoriano del 761 (1).

SECONDO ALTARE. - I Magi, di Pietro Moro.

ALTARE MAGGIORE. - Varie Sante, copia dal Salmeggia.

QUINTO ALTARE. - I SS. Benedetto e Scolastica di Santo Cattaneo: forse il migliore de’ quadri suoi.

Caserma di S. Eufemia.
(Ospitale militare).

Già convento benedettino rifabbricato. Nel chiostro detto, della cisterna sono a vedersi alcune pitture a fresco del Gambara.

Casa d'Industria.

Aperta all'accattone per municipale decreto del 1817. Quivi gl’indigenti d’ambo i sessi sono accolti, esercitati nelle arti meccaniche: ed hanno ricambio di pane, ricovero, insegnamento.

S. Gaetano.

Chiesa e cenobio già dei pp. Teatini che lo abitarono nel 1691, dopo che quelli di S. Filippo Neri, lasciato

(1) Murat. Ant. Ital. M. Aevi, t. II. col. 167 a. 761 vel circa.


S. Gaetano da loro stessi fabbricato un secolo prima, si trasferirono alla Pace. Ora vi stanno i pp. Cappuccini Riformati. Le volte sono dipinte dal Cossali e dal francese Luigi Vernansol

S. Barnaba - Pio Istituito Pavoni.

Monastero posseduto un tempo dai pp. Eremitani di S. Agostino, probabilmente fondato intorno al 1298 dal vescovo di Brescia Berardo Maggi, che a quei padri lo diede (1); i quali riconoscenti al beneficio, gli collocavano una statua sedente in atto di dar loro la benedizione (2). La chiesa fu ricostrutta nel 1675, ed ora soppressa più non serve al culto.

In una sala superiore dell'ex convento (l'attuale tipografia dell'Istituto Pavoni) si veggono affreschi del Foppa il vecchio, sepolto in questi chiostri nel 1492,e indubbiamente bresciano, come lo era quel Vincenzo Foppa, che suo figliuolo o nipote qual fosse, fu da lui stesso ammaestrato nell'arte propria, e nella quale riuscì con uno stile assai più largo e pastoso: noi abbiamo distinto col nome di Foppa il giovane (3),

Alla solitudine, al silenzio, alla vita claustrale degli Eremitani qui vediamo sostituirsi la vita socievole, ope-

(1) Gradonicus, Brix. sacra, pag. 289, ma più ancora il Doneda nelle citate Notizie delle Chiese di Brescia. Diar. 1774.

(2) Rossi, Elogi, pag. 103.

(3) Sala, Guida di Brescia, pag. 76. - Zamboni, Fabbriche di Brescia pag. 32.


rosa, educativa di un altro istituto, che ai figli del povero offre scuole, ricovero, officine; qui si accolgono, se ne informano i cuori al dovere del cristiano e del cittadino; e mentre vi ritrovano pane ed asilo, imparano quell'arte che, fatti adulti, li tolga alle angustie dell’avvenire. E quest'opera generosa noi dovemmo all'anima soave del canonico Pavoni, che tutto il suo vi spese a porla in atto e che di porta in porta cercò sussidio, e n'ebbe, al nobile divisamento.

S. Afra.

È tradizione, che nel luogo istesso del sotterraneo sacello di S. Afra fosse un cimitero dei primi cristiani e dei martiri nostri dei tempi d’Adriano, dei quali è ricordo negli atti del SS. Faustino e Giovita (1). Parlano di questo luogo il Boldetti (2) lo Stella (3) il Papebrocchio (4), il Doneda (5), e l’ab. Brunati (6). Vuolsi ancora si denominasse il cimitero di S. Latino, o perchè dal medesimo eretto (secolo, IV), o perché ivi sepolto. Chiamavasi questa chiesa ab antico di S. Faustino ad sanguinem; ed era, chi sa forse, la stessa che S. Gregorio (secolo VI), nei suoi dialoghi ricorda siccome dedicata in quel tempo a S. Fau-

 

(1) A. Bulland. 15 febb. pag. 812 e 18 apr. pag. 525.

(2) Osservazioni sopra cimiteri, lib. II. c. 17.

(3) Risposta ai PP. Enschenio e Papebrocchio ecc. Brescia 1687.

(4) Acta SS. 15 febb.

(5) Sacro Pozzo dei SS. Mm. di S. Afra. M. S.

(6) Leggendario di Santi Bresciani. Brescia 1834. S. Flavio Latino,

pag. 3. S. Angela Merici, pag. 18 not. 14.


stino martire (1), e secondo altri congettura si derivato il nome ad sanguinem per lo martirio elle si terrebbe qui sostenuto dai SS. Faustino e Giovita, le cui ceneri si vogliono nel VII secolo trasportate al tempio nomato allora di S. Maria in Silva (2).

Circa il 1221 S. Domenico stesso per quanto dice il Malvezzi, vi collocava i suoi proseliti, che poscia l’abbandonavano ai chierici, e questi ai canonici Lateranensi.

Si visiti il chiostro dell’unito cenobio pel castigato suo stile; una sala terranea, già coro iemale dei monaci, con pregevoli affreschi, e il sotterraneo sacrario, ov'ha un pozzo nel quale si conservano assai reliquie dalla tradizione attribuite ai martiri bresciani.

Il tempio fu ricostrutto intorno al 1580 e Pietro Maria Bagnadore disegnò la fabbrica e vi dipinse i fregi e le figure qua e là sparse per le pareti del tempio, meno i puttini dei pilastri e gli affreschi della navata di mezzo, che sono di Gerolamo Rossi bresciano.

Alle due prime lesene a destra ed a sinistra stanno appesi due quadri in tavola attribuiti al Civerchio.

PRIMO ALTARE. - La natività di M. Vergine, dipinta del Bagnadore, ed imitazione d'una tela di Cesare Aretusi in S. Giovanni di Bologna.

(1) Dialog. lib. IV cap. 52, in cui parla della morte di un Valeriano patrizio di Brescia sepolto nella chiesa di S. Faustino martire. Lo storico Carlo Troya dubita della data attribuita dal Biemmi (a. 594) a quella morte.

(2) Brunati, Leggend. cit. pag. 26. - Biemmi, Storie Bresciane t. I. libro V.


SECONDO  ALTARE. - Il battesimo di S. Afra, o la primitiva nostra Chiesa lavoro di Francesco Da-Ponte detto il Bassano, mirabili per l'accorta disposizione delle figure, e per l'artificio con cui vedi giuocata la scarsa luce delle faci in quella notturna scena (1)

TERZO ALTARE. - L'Assunta di Bortolo Passerotti. Sulla porta minore alcuni martiri del Brusasorci(?). Il Salvatore tra la Giustizia e la Misericordia è lavoro del Bagnadore.

QUARTO ALTARE. - La Vergine coi SS. vescovi Latino e Carlo Borromeo; forse il più insigne lavoro di Giulio Cesare Procaccini. Ma se qui la disinvoltura e diremmo grandiosità di pennello , se grazia e gentilezza notava il Sala nella composizione che tanto ammira, noi lamenteremo la pecca inescusabile del grande artista, che vescovi, ed angeli, e madonne, e anacoreti tutti piegava a un abbandono di pose, di movimenti molli, uniformi, convenzionali. Bella cosa è la grazia: ma la testa di S. Latino che si volge col fare svenevole di un Adone, benchè stupenda, annuncia nel Procaccini un difetto di estetica non saprei se più dei tempi, o suo (2) .

ALTARE MAGGIORE. - La Trasfigurazione del Tintoretto, che pose in questa tela diligenza ed amore (3), vuolsi dipinto della sua ultima maniera. I due quadri laterali coi santi Faustino e Giovita sono di Palma il giovane;

(1) Pubbl. dal Sala nelle pitture scelte di Brescia, pag. XLVII

(2) Sala, pitture cit. pag. LXVII.

(3) Op. cit. pag. XLI.


l’Annunciata, di Gerolamo Rossi; il Redentore estinto è fra l'ultime cose del Barocci; il Presepio( di facciata all’organo) di Carlo Cagliari nipote di Paolo Veronese.

SESTO ALTARE. - I SS. Faustino e Giovita di Francesco Giugno (mezzaluna), e un Redentore del nostro Gabriele Bottini.

Sulla vicina porta è l'Adultera di Tiziano, uno dei più vaghi e splendidi suoi dipinti. Le carni sono vive, e vita e sentimento è in questo lavoro quanto ne seppe infondere quel sommo nelle più vantate opere sue. Due tipi, due bellezze incantatrici del pari, ma quanto diversamente! qui si trovano a fronte. La divina ed incontaminata; la terrena e peccatrice. Qual celestiale soavità, nella prima, quanta seduzione è ancor soffusa nella seconda in mezzo al pentimento!

OTTAVO ALTARE. - Il martirio di S. Afra. Grandiosità nella composizione, movimento ed anima nello spettacolo, di una martire, che dal palco di morte, fra le mani del carnefice, già vede aperto il cielo. Accuratezza insolita di esecuzione, venustà di colorito, e nerbo d'intonazione sono pregi grandissimi che pongono questa tela di Paolo Veronese fra le più singolari e accreditate di quel valentuomo.

NONO ALTARE. - Martiri bresciani di Palma il giovane.

Se il tempio di, S. Clemente noi dicemmo sacrario dell'arti bresciane, questo a diritto può delle venete chiamarsi. Perchè non so qual altra chiesa delle città vicine possa vantare, siccome questa, capolavori del Bassano dei Tintoretto, di Paolo Veronese e di Tiziano Vecellio.


S. Alessandro.

Parrocchiale antica sovvenuta di benemerenze dal vescovo Manfredi verso il 1135 e della quale è memoria nei secoli consecutivi. Di un ospitale appo S. Alessandro è ricordo fino dal 1153, per asserzione del Doneda (1), che lo dice fondato da un Lafranco prete, ed è accennato in un documento del 1292 (2). Nel 1430 Marerio vescovo di Brescia diede il tempio ai Serviti ai quali fu riconfermato col monastero da papa Eugenio IV (1432), che poscia riconobbe l'ospitale. Nel secolo trascorso rifabbricavasi dai padri stessi la chiesa; ma tuttavia ne rimane incompiuto il prospetto.

PRIMO ALTARE. - L'Annunciata. Il nostro Sala dicea quest’opera, di squisita diligenza, venuta, secondo una tradizione, coi Serviti da Firenze. Or godiamo annunciare, la scoperta dell’autor suo - il celebre Frate Angelico da Fiesole. La tradizione si è fatta certezza pei registri medesimi della parrocchia (3), recanti alcune anticipazioni al pittore per quella tavola, che da Firenze ci venne il 1433, e le spese del trasporto.

(1) Doneda, nelle citate Notizie. - S. Alessandro. - Oltrechè tanto risulta dall’atto 12 mag. 1219, col quale Alberto vescovo conferma i privilegi lasciati dal vescovo Manfredi un secolo prima (1135?) alla chiesa, di S. Alessandro, e sommette alla medesima il contiguo spedale di quel nome Quell' atto è presso l’archivio parrocchiale, e mi fu esibito dall’ab. sig. Deruschi.

(2) Astezati, Indice cronologico dell'Arch. di S. Giulia. Cod. Quir. cit.

(3) Comunicatimi dal compianto ab. Zambelli.


Alle quali registrazioni aggiungeremo le parole del’annalista dei frati Serviti Arcangelo Giano, ove dicendo come fr. Francesco praeclaram sacratissimae Virginis Annunciatae Imaginem ad eccl. S. Alexandri transmitti curavit, aggiunge: hanc spectatae formae et conspicuae magnitudinis Florentiae delinearat vir religiosissimus et in arte pictoria nulli secundus F. Joannes ille de Fesulis ordinis praedicatorum (1).

SECONDO ALTARE. - La Pietà, di Vincenzo Civerchio.

QUARTO ALTARE. - Ecce-Homo, affresco del nostro Lattanzio Gambara, già sulla porta minore.

ARA MASSIMA. - Martirio di S. Alessandro; Pietro Moro.

SETTIMO ALTARE. - S. Filippo Benizzi, di Grazio Cossali.

NONO ALTARE. - I SS. Rocco, Lodovico e Sebastiano; lavoro di quel Sebastiano Arragonese, che a sommo studio lasciavaci raccolte ed incise le lapidi dell’agro e della città di Brescia (2).

Sulle porte del tempio sono istorìe dei Ss. Alessandro e Filippo Benizzi, di Gerolamo Rossi.

Nel terzo altare a destra è una graziosa immagine di Maria, del Gregoretti; dono dell'egregio sig. Antonio Pilozzi.

 

(1) Ann. Frat. Serv. t. I. a. 1433.

(2) Mon. ant. Urbis ed Agri Brix. a Sebastiano Arragonensi pictore brano summa cura et diligentia collcta MDLXIIII


S. Luca.

Già dei padri Umiliati fino dal 1235 (1), nel qual anno vi tenevano un loro convento (domus). Avevano questi molta parte allora nei paratici dell’arti cittadine, architetti e finanzieri talvolta del nostro comune vigilavano alle porte urbane ed alle nostre manifatture.

Il Presepio del primo altare vi fu trasportato dall’antica chiesa.

Da questo tempio venne denominata la bella via apertasi colla distruzione del traslocato spedale.

Ospitale.

Convertito ad altri usi lo spedale antico di S. Luca, altro se ne costrusse a grave spendio ov’era già il convento di S. Domenico, serbatine in alcun luogo gli spartimenti: ma sepolto in una fondura tra gli spaldi ed il declivio di una piazza, parve luogo tutt’altro che adatto al grande scopo della pubblica salute. Qual contrasto fra quel greve edificio e le svelte proporzioni di un’allegra sala del monastero architettata dal Bagnadore, e serbata nello spedale come un rimprovero all’arti nostre!

Uno de’ più insigni archivi, per quanto riguardi la storia patria, e quasi inesplorato, gli è quello del L. P. ricchissimo di documenti antichi.

Fino dal 761 era in Brescia uno spedale, un senodochio (2), il che ci apprende quanto antico sia ne’ petti bre-

(1) Tiraboschi, Monum. Hamiliat. t. I. pag. 101.

(2) Et de Senodochio cauta quoddam Peresindo qui permanet ditioni Pontifici etc. Murat. Ant. It. M. Aevi, t. II col. 407 a. 761.


sciani il sentimento della beneficenza; e se l'ospitale dí S. Nazzaro, citato in un documento dell'841 (1) non si voglia urbano, lo sono indubbiamente i molti che troviam ricordati nei secoli XII e XIII, avvegnachè assai chiese bresciane avessero di que’ secoli un ospizio, come quasi ogni Arte, ogni Collegio il suo.

Dicemmo già di quello di S. Alessandro (1135). Notìssimi pur sono il Giuliano di S. Daniele (2), quello di S. Matteo (1245) (3), e il maggiore di tutti, chiamato il Consorzio di S. Spirito, al quale in quell’anno il Comune di Brescia decretava elemosine (4). Quattordici ne trovo tra cittadini e suburbani dal 1300 al 1400 registrati negli annali di quello di S. Spirito da me posseduti (5), gli statuti del quale venivano confermati nel 1364 da Barnabò Visconti (6).

Il 25 settembre del 1429 si riunivano le rappresentanze di tutti gli ospizi cittadini per fondarne un solo appo S. Luca, il quale, a più riprese ampliato, durò fino a’ dì nostri. Ora è sostituito dall’altro di S. Domenico, per la cui fabbrica, oltre alle 230 mila lire che la nob. Chizzola avea destinate per pubblica beneficenza, fu impiegato assai patrimonio del L P.

 

(1) Gradonicus, Brixia sacra, pag. 141.

(2) Astezati, Indice ricord. Cod. Quir. Sembra esistesse dal sec. XII

(3) Statuti Municip. del 1200 depositati presso la Quirin. carte 10.

(4) Stat. cit. a. 1245.

(5) Annali istorici dell’Ospitale di S. Spirito di Brescia dal 1300 al 1600, scritti da un confratello di quell'ospitale MS.

(6) Anno cit.


S. Domenico.

Al giugnere fra noi dei PP. Domenicani si pensò ad erigere loro un tempio: tanto avveniva sul cominciare del secolo XIII.

Intorno a quattro secoli dopo (1611) que’ padri stessi lo rialzarono dalle fondamenta sul grandioso disegno del Bagnadore. Il Doneda asserisce incominciata la costruzione antica nel 1235, terminata vent’anni dopo: ed erano quegli stessi padri Domenicani che lasciarono S. Afra per collocarsi qui. Di fatti nel dicembre del 1234 alcuni periti estimavano un prato di Bonapace da Castello per darlo ai frati predicatori juxta Garziam de suburbio S. Laurenti, nel quale fu poi eretta la chiesa ed il convento (1).

E fu in quel tempio, che poi venne distrutto, e precisamente sull'altare di Maria, che dei 1511 nove magnanimi bresciani giuravano sulla pietra santa (sono parole di un congiurato) di liberare la patria dall’insolente albagia dell’esercito di Francia (2): e fra Gerolamo Savonarola prima di loro gettava i semi da questo sacro asilo di un’altra rivoluzione (3). Religiosa questa, politica la prima, era fatale ch’ambo nel patrio monastero si proponessero.

(1) Luchi, Cod. Dipl. Brix. f. 160.

(2) Comino Martinengo, Della congiura dei Bresciani per sottrarre la patria alla francese dominazione (1512) pubbl. dal cav. Labus nel t. IV della storia di Milano del Rosmini. - Odorici, i Bresciani del 1512. - Valerio Paitone.

(3) Vita di fra Gerolamo Savonarola. Cod. Quir.


Ma ritornando al tempio attuale, il bresciano Tommaso Sandrini, che è quanto dire uno de’ più insigni prospettici del secolo XVII, ne copersele ampie volto co’ suoi capolavori, per modo che dall'alte cornici che le sostengono giuri elevarsi ed atrii, e logge, e sfondi interminati d'aeree colonne, che è un incantesimo. Non istà nel vero; e sia: ma noi facciam plauso a un non so che di fantastico e imaginoso, cui sommetteva il Sandrini a tutto il rigore la severità indeclinabile della prospettiva, ed a quell’ardue leggi dell’ombre e della luce, ch’esso giocava con un’arte tutta sua, traendone accidenti ed effetti maravigliosi.

Giammauro della Rovere, chiamato il Fiammenghino, dipinse gli affreschi. L’un d’essi però co’ SS. Pietro, Paolo e Domenico è di Francesco Giugno.

Grazio Cossali figurò nella gran tela sulla porta maggiore quaranta pellegrini liberati dal naufragio del Rodano e la cattolica vittoria ottenuta per intercessione del santo titolare nell’assedio di Tolosa.

La chiesa fu chiusa già da molti anni per essere adattata ad uso di infermerie e non andrà molto che della grandiosa fabbrica del Bagnadore e delle bizzarre prospettive del Sandrini non si avrà più ricordo.

La Pietà, ovvero la Spezieria dell’Ospitale.

Povera Pietà! Sì bella chiesa, elegante e palladíana idea del Bagnadore, vederla buttata a terra nel secol nostro, e infranti a colpi di martello gli affreschi con-


servatissimi di egregi artisti bresciani, per farne una spezieria! E come il suo stile, che è quello dell’unito P. L. per cui fu eretta, fa rilevare più ancora l'aggraziata sveltezza del vicin portico bagnadoriano!

Il nuovo Spedale, se nol dicemmo, fu disegnato dal sig. Giovanni Cherubini; il prossimo per le donne fu costrutto nel 1123 per cura del vescovo Zane; compiuto ne’ tempi a noi più vicini dal Bagnadore. All'altare è una S. Caterina del Gandini, ed una Immacolata è di Luigi Vernansal.

S. Lorenzo.

Antichissima chiesa, della quale non è per altro memoria a me nota che del secolo XII (1). Questa parrocchia, che dava nome ad un borgo, fu riedificata verso il 1751. Rimpetto alla minor porta a destra è un quadro del Cossali, col Salvatore in atto di salire il Calvario.

PRIMO ALTARE. - S. Biagio, di Lodovico Sigurtà.

SECONDO ALTARE. - Un crocifisso, del Lucchese.

TERZO ALTARE. - B. V. di Santo Cattaneo, del quale è l'Angelo Custode, nel rimpetto altare, una delle migliori opere sue.

ALTARE MAGGIORE. - Il martirio di S. Lorenzo, di Giambettino Cignaroli.

QUINTO ALTARE. - Sacra famiglia, del Lorenzi. Si osservi la mensa e la custodia, per la preziosità dei marmi cui si compongono.

(1) Nel cit. Elenco delle chiese Bresciane del 1150.


Le Ospitaliere.

Filantropica introduzione della nob. Paolina Rosa, che a sollievo dell'indigenza languente nel pubblico Spedale tra noi chiamò quelle pie claustrali. Sia quindi lode alI' egregia istitutrice.

La chiesetta fu recentemente rifabbricata sopra disegno dell’architetto Arcioni. La pala dell’altare maggiore ed i dipinti a tempera delle pareti sono opera del pittore Luigi Campini.

Corso del Teatro.

Lodovico Beretta architettò queste case coperte degli affreschi del Gambara, come quelle del corso dei Parolotti, ora corso Palestro, e dei portici a levante di Piazza Nuova. Gli affreschi delle case del Gambaro si dissero allogati al Romanino, il quale, come in dote della figlia che Lattanzio Gambara aveva sposata, lasciava al genero con alcuni suoi cartoni l'esecuzione dell’ampio lavoro. Così narra la tradizione (1): certo è per altro che le prime figure in istrada larga sono del Romanino.

Noi daremo, copiando il Sala, un cenno degli argomenti di quegli affreschi, non per indicarli al forestiero, del che ci assolve il progrediente deperimento loro; ma perchè non ci parve indarno recare la loro serie qual era pochi anni fa, come se tuttavolta esistessero, onde almeno ce ne resti la memoria (2).

 

(1) Nicoli-Cristiani, Vita di Lattanzio Gambara.

(2) Sala, Guida cit. pag. 80.


Nei tre primi compartimenti osservasi il ratto delle Sabine; negli altri, combattimenti tra Greci e Troiani; e nell'ultimo sono raffigurati i due Aiaci che difendono il corpo morto di Patroclo dall’armi nimiche. - Viene in seguito Enea e Didone; poscia quattro trionfi di satiri, ed altre fantasie. Termina la facciata Europa seduta sul toro colle compagne. Sopra vi è la fecondità con bambinì e fanciulli. Il rimanente dei freschi più alti dell’una e dell’altra facciata sono immaginazioni capricciose e bizzarre dell’inesauribile cervello di questo nostro grande artista.

Nei piccioli fregi vi ha rappresentato trionfi militari e bacchici; sotto, ed a canto delle fenestre, maschere, animali, trofei e cariatidi mostruose, impiegandole nelle parti architettoniche.

Dal lato sinistro con egual ordine ripartite veggonsi le seguenti istorie: 1.° La continenza di Scipione. - 2.° Curzio, che si precipita nella voragine. - 3.° La Vestale , che in dimostrazione di sua pudicizia, porta avanti i Pontefici l’acqua del Tevere in un vaglio. 4.° Muzio Scevola s’abbrucia volontario la mano. 5.° Giuditta consegna alla fantesca il teschio d’Oloferne.- 6.° Il fratricidio di Romolo. - 7.°Il suicidio di Lucrezia. - 8.° Orazio uccide la sorella .

In istrada larga: - 9° Asdrubale, a’ piedi di Scipione, che domanda salvezza della vita. - 10.° e 11.° La moglie, udito salvo lo sposo, corre a precipitarsi coi due figliuoli nell’incendio di Cartagine.


Teatro.

Ricostrutto nel 1810 su grandioso disegno dell’illustre Canonica, fu ricoperto di affreschi dal nostro Teosa , di cui ricordasi ancora il gentile velario. Ma, scorsi dieci lustri, fu sentito il bisogno di un ristauro generale e che le antiche tenebre venissero dissipate dalla corrente avvivatrice del gas: due progetti cui nel 1864 fu da una patria commissione alacremente provveduto. Le nuove decorazioni venivano affidate allo scenografo Magnani, ed era ben naturale che le classiche forme ornamentali del Canonica e del Teosa cedessero il campo alle sbrigliate fantasie del moderno stile.

Teatro Guillaume.

Eretto nel 1850 dal Cavallerizzo Luigi Guillaume ad imitazione del circo Olimpico di Parigi. Alla spaziosa arena per gli spettacoli equestri sono aggiunte le scene pei drammatici. Fu costrutto sull'area del cessato monastero della Maddalena.

B. V. di Mercato del Lino.

Ideata dal Bagnadore nel 1608: ristaurata non ha molti anni.

La marmorea fontana della prossima piazza dell’Erbe è disegnata da Luigi Donegani; la sovrastante statua fu scolpita da Gianantonio Labus.


S. Carlo e Casa di Dio.

Fino dal 1267 i Consoli bresciani decretavano una elemosina per l’ospitale della Casa di Dio (Hospitalis Domus Dei)(1); ed una Casa di Dio della carità, ch’io tengo, l’eguale ospizio, ricordaci un documento giuliano nel 1326 (2).

È del P. L. la chiesa di S. Carlo, nel cui primo altare ha una pittura di Pietro Avogadro. Ma l’occhio spontaneamente corre al quadro vicino per ammirare un diligente lavoro del nostro Sala. Sono parecchi santi con artificio disposti ed aggruppati, ed alla deficienza di una intonazione robusta, di un tocco disinvolto e securo, mirabilmente sopperisce una squisita accuratezza, e un non so che di fuso e di soave che si risente dell’anima candida e gentile dell’autor suo.

ALTARE MAGGIORE. - I SS. Carlo Borromeo, Faustino e Giovita, di Grazio Cossali.

QUINTO ALTARE. - Il Presepio del Bagnadore.

B. V. dei Miracoli.

Al piccolo sacello che nel 1487 (3) il cittadino Consiglio aveva eretto in onore di questa imagine altra fabbrica aggiungeva un anno dopo.

 

(1)Statuta Civ. Brix. Sae. XIII. Cod. Mun. depositato presso la Quir.

(2) Astezati, Indice cronologico dei documenti del monastero di S. Giulia. Cod. Quirin. G. IV. 1.

(3) Zamboni. Fabbriche cit. pag. 131.


Un Mastro Jacopo ne fu l'architetto; ma dal 1521 al 1523 venne il tempio con nuovi modelli di Gerolamo Sampellegrino e Mastro Stefano modificato (1). E non è improbabile fosse quest’ultimo quello Stefano Lamberti che ebbe incombenze pubbliche nel 1535, e del quale fanno menzione il Zamboni ed il Capriolo. Ma quella fabbrica progrediva tuttavia così a rilento da non trovarsi compiuta, come osserva il Zamboni, prima del 1612.

I ristauri della fronte spettano alla metà del secolo passatO e se le indagini del Sala per conoscere l’autore dei bellissimi e marmorei candelabri di quella fronte riuscirono indarno, godiamo nomarlo qui risultandoci da un’opera del Picenardi (2), e fu Gian Gaspare Pedoni.

Nell'interno sono scolture di Antonio della Porta e di Gaspare da Cairano; ma non è facile determinare fra le molteplici di vario stile quali sieno per singolo i loro autori.

PRIMO ALTARE. - S. Nicolò da Bari che alla Vergine presenta quattro fanciulli. È un voto a Maria sciolto da Galeazzo Rovellio, e forse que’ cari bimbi erano suoi discepoli (3). Commovente e soave tela del nostro Moretto,

(1) L’abate Zamboni l. c. sospetterebbe vi avesse parte l’architetto Antonio Beretta.

(2) Guida di Cremona del marchese Giuseppe Picenardi : 1820, pag. 94. Parlando di un camino della sala del Consiglio com. di Cremona  lavorato dal nostro scultore Gian Gaspare Pedoni autore della celebre facciata dei Miracoli in Brescia.

(3) VIRGINI DEIPARE - ET DIVO NICOLAO - GALEATIVS ROVELLIVS AC DISCIPULI D. N MDCXXXIX. Così nella scritta a piè del quadro. Le parole, ac discipuli, farebbero sospettare nel Rovelio un precettore e quel fanciulli si attagliano alla congettura.


improntata di una larghezza e succosità d’impasto, finita con sì franca, sì disinvolta e sì magistrale intelligenza del vero, che è una consolazione a vederla (1)

ALTARE MAGGIORE. - La B.V. d'ignoto pennello. Ai lati l’Assunta del Marone, la Presentazione al tempio del Cossali (del quale abbiamo in questa chiesa una Visitazione), i Magi di Gandini il giovane, la Discesa dello S.S. e l'Annunciata del Bagnadore, la Nascita di Maria del Bona.

QUARTO ALTARE. - S. Giuseppe, di Francesco Giugno. Non dirò degli affreschi, poco meritevoli certamente di speciale ricordo.

SS. Nazaro e Celso.

Un fabbro mantovano per nome Ugo, ed Alda sua consorte, accasatisi in Brescia, donavano fino dal 1101 ai Templari Gerosolimitani, aventi allora un ospizio tra noi non longe ab ecclesiis SS. Nazarii et Celsi, alcune proprietà, le quali, dove que’ frati non avessero adempiti alcuni patti, doveano passare al Collegio dei Fabbri bresciani (2). Lasciata per ora da un canto l'importanza istorica del documento, avvertirò qui soltanto doversi a quell’atto il più antico cenno a me noto del tempio di San Nazaro, perchè non parmi che il senodochium S. Nazari,

(1) Pubbl. dal Sala ne’ Quadri scelti, pag. XXV.

(2) li documento esistente nell’archivio della Fabbriceria Prepositurale mi venne comunicato dal colto e gentil conte mons. Luigi Fè , al quale io debbo per tante ed esatte nozioni patrie la mia riconoscenza.


di cui parla un atto Rambertiano dell’811 (1), al tempio nostro si riferisca. Il porticus domui Ecclesie S. Nazarii d'un contratto del 1222 (2) mi fa congetturare fino da quel secolo una collegiata, a quel modo con cui erano erette in allora quasi tutte le chiese. Il tempio di cui parliamo diceasi de porta S. Agathae, perchè suburbano e presso a quella porta.

Il testamento di Ottonello Martinengo canonico della cattedrale costituivala erede (1300) di pingui rendite, proprio in quel tempo che Berardo Maggi vescovo di Brescia, vi riordinava un collegio canonicale ed un preposto. La mitra, di cui ora v’è insignita quest’ultima dignità, fu ottenuta dal preposto Altobello Averoldo.

Architetto della basilica attuale terminata nel 1780 fu il canonico Zinelli.   

Il busto di Alessandro Fè vescovo di Modone, preposto e benefattore larghissimo di questo tempio campeggia nell' alto della porta maggiore.

Di fronte alle due minori sono due tele del Romanino, e rappresentano i Magi. Su quelle porte istesse, collocati all’interno, sono due lavori a tempera di Foppa il giovane, e raffigurano il martirio dei santi titolari.

TERZO ALTARE. - Gesù Cristo fra le nubi, con angeli portanti i simboli di sua passione: più basso ai lati Mosè

(1) Dotazione del Monastero di S. Faustino, fatta da Ramperto vescovo, di Brescia. Gradonicus, Brix. Sac. cit. pag. 116.

(2) Sub porticu domui eccl. S. Nazari de Porta S. Agatae civit. Brix. Misceli. Perg. Quirin. F. VI, 3.


e Davidde; lavoro bensì diligente e di gran pregio del nostro Moretto, ma che a stento si terrebbe uscito dalla stessa mano del S. Michele Arcangelo nell’altare dirimpetto. Come risulta dagli atti parrocchiali, il Redentore suddetto venne compiuto dal Buonvicino nel 1541.

IN SACRISTIA. - L'Annunciata in due tele, di Foppa il giovane; altra con presepio, ed una Vergine a tempera del Moretto. - S. Barbara e Pierantonio Ducco, primicerio di S. Nazaro ed ordinatore del quadro, uno de’ pochi e sempre magistrali dipinti ad olio di Lattanzio Gambara. - La Visitazione, del cremonese G. B. Mainardi.

ALTARE MAGGIORE. - Cinque tavole di Tiziano Vecellio, da lui colorite nel vigore dell’intelletto e della mano (1522), sono qui bellamente disposte, e formano un sol complesso. Spicca nel mezzo la Risurrezione. Svegliatosi come un forte inebriato, infranto il coperchio dell'inutile monumento, assurge il Redentore, e in man recandosi, prezzo del perdono, il vessillo della vittoria, già tocca le nubi. Quanta leggerezza in quel salirsene al cielo! La letizia inenarrabile del volto, l’atto imperioso e trionfale della persona, un non so che di vasto nelle linee del petto, tutto ti  avverte che Egli esulta e respira l’anelito potente della seconda vita. Parlarvi del colorito, della intelligenza portentosa d’ogni sua parte sarebbe soverchio. Chi non ravvisa il divino pennello che Carlo V raccolse di terra come cosa sacra, per renderlo al vecchio cui era, caduto? Che se una menda vorremmo pure notata, sarebbe la poca relazione del busto a tre quarti, col resto


della persona quasi di fronte. Ma Dio buono! mi si dica un po’ come collocare una gamba del S. Pietro nella Trasfigurazione di Rafaello se non sotterra? Sono errori; ma commessi da uomini grandi, non iscemano per nulla il rispetto che noi dobbiamo a queste glorie italiane.

S. Sebastiano è dall’un lato. Se la posa è una lontana reminiscenza del Fauno Mediceo, che suona lo scabillo, non può negarsi però che l’illustre Vecellio ne traesse un partito maraviglioso a porci innanzi la pietosa imagine di un uomo, che sente lo spasimo delle suo ferite , nè può slegarsi dalle ritorte ond’è trattenuto. Che direm noi di que’ Sebastiani (e ve n’ha di scuole riputatissime), che laceri e sanguinosi, pur mollemente si atteggiano alla guisa dell'Antinoo e dell'Apollo Capitolino?

Qui tutto è vita, è fremito di dolore. Que’ muscoli delle braccia un po’ risentiti per la distretta della legatura, quei piedi che stringono colle dita il suolo quelle coscie che diresti agitate da un fremito convulso, que' serrati del torace un po’ rigonfi, ma sempre, nei limiti sublimi del Laocoonte, palesano le angosce di un martire. E pochi per avventura avran notato quel nascondere fra l'ombre la reclinata testa, perchè l’espressione dello spasimo si raccogliesse, per così dire, ne’ muscoli di un nudo che debbe tenersi fra i più sublimi del secolo XVI.

Dall’altra parte i SS. Nazaro e Celso additano ad Altobello Averoldo, preposto della basilica e commettente del quadro, il risorto Gesù. Sull' alto in due scompartimenti, è un’Annunciata; e ben laudava il mio predeces-


sore l'angelica beltà di quella Vergine, soffusa di un candore, di un’espressione ignota all’arte antica, dalla quale si differenzia come l’Ida ed il Carmelo. Nulla dirò dell’Angelo Gabriele, di quella ricca e svolazzante capellatura, degli scorci mirabili di quelle braccia tese a dispiegare il gran decreto della nostra redenzione, e di quel volto non rischiarato che dai riflessi della bianca e ricca veste del divin messaggero (1).

SESTO ALTARE. - Il presepio coi SS. Nazaro e Celso, del Moretto.

SETTIMO ALTARE. - All'antica tela venne non ha molti anni sostituita un’Assunta di Gabriel Rottini, cui toccò la formidabile vicinanza dell’incoronazione di Maria coll’Angelo Michele ed altri santi dell'insigne Moretto, opera per certo delle più rare che producesse quel grande, cui nessuno de’ nostri ha potuto avvicinarsi pur alla lunge. Veggasi la inenarrabile bellezza di quell'Arcangelo, il fervore del santo che gli sta rimpetto; si contempli quella incoronazione soavissima, e mi si dica se a ragione ora si cominci (ed ahi quanto tardi!) a conoscere Alessandro Bonvicini.

S. Francesco.

Chiesa e cenobio eretto per voto della città di Brescia intorno al 1254 (2) e ceduto in quell’anno ai Francescani.

(1) Queste tele furono incise dal Sala ne’ quadri scelti, pag. 11 e seg.

(2) Doneda, Notizie delle chiese di Brescia. - S. Francesco. - Le cronache del Malvezzi (Rer. Ital. Script. t. XIV) farebbero compiuto il tempio nel 1265.


Nel 1470 l'architetto Antonio Zurlengo rinnovava il coro, parte del convento e la sacristia. Verso la metà del secolo XVI furono aggiunte alcune cappelle ed altari non rimanendo intatte delle sue forme primitive che la fronte e il campanile e il portico del chiostro a sera della chiesa.

SECONDO ALTARE. - L'Arcangelo Michele del Gandini. Una Deposizione, antico affresco, avanzo di quelli che in origine adornavano la chiesa: è d’ignoto pennello, ma forse prezioso monumento dell’arti bresciane del sec. XIII.

TERZO ALTARE. - S. Margherita di Cortona, S. Gerolamo e S. Francesco; Moretto (1530).

QUINTO ALTARE. - Antica imagine di S. Francesco d'Assisi.

SESTO ALTARE. - S. Pietro pericolante nella nave, Antonio Gandini.

ALTARE MAGGIORE. - La tavola ad olio è fra i più robusti e tizianeschi dipinti di Gerolamo Romanino e degna cornice al dipinto è la soasa intagliata dal bresciano Stefano Lamberti. Ai lati del presbitero la strage degl'Innocenti e il martirio di S. Margherita sono del Bagnadore. Nella mensa dell'altare ammirasi un bassorilievo figurato, lavoro in marmo della fine del secolo XV.

OTTAVO ALTARE. - I due quadri laterali sono dipinti dal Maffei e dal Lucchese; coloriva il primo l’apparizione di S. Antonio di Padova ad un giudice ; il secondo una famiglia che ringrazia quel santo pel ritorno di un figlio campato dai masnadieri.

Sulla vicina porta la Beata Vergine e S. Felice di Valois, Francesco Paglia.


NONO ALTARE. - La Maddalena del Barbello, e il Purgatorio del Lucchese.

UINDECIMO ALTARE, - La Immacolata Concezione con altri santi, del Cossali.

Le spalliere degli stalli hanno istorie della passione di Cristo, eseguite a tarsia da Battista Virch nel 1553.

TREDICESIMO ALTARE. - Crocifisso. - Tavola antica.

QUATTORDICESIMO ALTARE. - Lo Sposalizio di M. V. dipinto nel 1547 da Francesco da Prato di Caravaggio, di cui sono rarissimi o mal conosciuti i lavori. Sono degni di particolare osservazione gli stalli del coro e gli armadi della sagristia egregie opere di tarsia e di intaglio dovute alla munificenza del bresciano frate Sanson, generale dei minoriti, ed è pure suo dono la preziosa croce d’argento lavorata da un grande nostro artista, Giovanni dalle Croci nel 1501.

SS. Cosmo e Damiano.
(Orfanotrofio femminile)

Il padre Lupo nel suo codice diplom. bergamasco reca un atto dell’865 (1), nel quale una Liutperga è detta badessa del monastero di Onorio, intitolato alla B. V. ed ai SS. Cosmo e Damiano in Brescia; un altro documento ci parla di un’Ardesasa badessa di quel sacro asilo nel-

 

(1) Diplom. Ludov. Imp. quo confirmat Brixiano Monasterio Honorii nuncupato, constructo in honorem B. V. et SS. MM. Cosmae et Damiani donationem cujusdam curtis facta a Notingo q. Brix. Episcopo. Lupo. Cod. Dipl. Berg. t. I.


l’882 (1). Eccovi le nozioni più antiche ch’io mi conosca intorno a quel monastero, il quale doveva essere nell’antica località dalla Posta vecchia alla chiesa di S. Agostino, dacchè in una carta del 1264 si dice in Quadra Curiae Ducis (2). Ne parlano altri documenti del XII e XIII secolo. Dicesi che Berardo Maggi allo spirare di quel secolo, traslocasse il titolo ed il monastero dove attualmente si ritrova, distruggendo l’antico, già fatto angusto per la costruzione del Broletto, ed un documento del 1298, ricorda la vendita al Comune di Brescia dell’area del sacro asilo, già demolito onde allargare la piazza (3).

Nel secolo passato fu in parte ricostrutto qual si vede a’ nostri dì.

ALTARE MAGGIORE. - Un martirio dei santi titolari, dipinto dal Cignaroli.

SECONDO E TERZO ALTARE. - Luca Mombelli dipinse il Presepio, ed i SS. Placido Mauro e Benedetto.

S. Agnese.
Chiesetta e Conservatorio femminile.

ALTARE MAGGIORE. - S. Agnese, di Pietro Marone.

(1) Autografo pergam. Quirin. nel Cod. Dipl. della patria Biblioteca sec. IX a. 882 pubbl. dall’Astezati in Comment. Manelmi. Vicent. de Obsid. Brix. infine.

(2) Luchi. Cod. Dipl. bresciano. Autografo presso il cav. Labus, p. 199.

(3) Liber Poteris Brix. Autog. cit. presso la Quirin.


Cavallerizza Comunale.

Costrutta per decreto comunale nel 1846 con venustà di concetto nella soppressa ed antica chiesa di S. Antonio.

La Pace.

È il più bel tempio che nel secolo passato si fabbricasse nella nostra città. I PP. Dell’Oratorio di S. Filippo Neri, ora detti della Pace, lo incominciarono nel 1718; lo terminavano nel 1746 sui disegni di Giorgio Massari, con figure del Monti, e con ornati di Giovanni Zanardi.

SECONDO ALTARE. - S. Filippo Neri, di Jacopo Zoboli.

TERZO ALTARE. - S. Francesco di Sales, Antonio Balestra.

ALTARE MAGGIORE. - La Presentazione al tempio, una delle migliori tele del romano Pompeo Battoni.

SESTO ALTARE. - S. Giovanni Nepomuceno, vigoroso dipinto pur del Battoni.

Nel convento dei PP. della Pace sono altri quadri, e fra questi la tavola della chiesa vecchia, esprimente la Presentazione al tempio, opera del Marone. L'oratorio contiguo ha un S. Filippo Neri di Pietro Deorazio.

Nelle nicchie dell’interno si vanno collocando alcune statue, lavoro del giovane scultore bresciano Zani.

La Pallata.

È una larga e massiccia torre, che io credo eretta intorno alla metà del secolo XIII; e se vuolsi allusivo all’anno della sua erezione il 1253, scolpito in quella torre,


n'avremmo la data (1). Erano tempi ne’ quali avea già impreso la città nostra ad allargare la cerchia delle nostre mura. È probabile che la si fabbricasse a proteggere la porta di S. Giovanni, che qui s’apriva in quel secolo. Falso è per altro che le fosse a cavaliere; però che della porta sarebbe nelle vaste sostruzioni alcuna traccia. Vuolsene provenuto il nome per uno stecconato preesistente, e della contrata Pallatae è ricordo in un atto del 1259 (2). La grande fontana di quella torre è modello del Bagnadore, eseguito dagli scultori Valentino Bonesino da Verona ed Antonio Carra.

Nella notte del 17 marzo 1426, da una mano di congiurati che volevano togliere la città di Brescia a Filippo Maria Visconti per darla alla repubblica di Venezia, fu piantato sull'alto di questa torre il primo stendardo Veneziano che tra noi sventolasse; onde la mattina in lo far ,del zorno se trovò sulla torre della Pallata, et li cittadini armati come S. Zorzi non aspettarono essere assaltati, ma assaltarono (3).

S. Agata.

La contrada suburbii S. Agatae subtus a fossato, ch’io leggo in un atto del 1174 (4), mi fa credere anche allora vicinissima quella chiesa alle patrie mura. Che ad ogni

(1) Zamboni, Fabbr. cit. pag. 92 nota 23.

(2) Miscell. Pergam. Quirin. f. VI, 3.

(3) Cronista anonimo, Cod. Quirin. c. 1, 3.

(4) Miscell. Pergam. Quirin. c. 1, 3.


modo fosse in quel secolo nell’ambito loro, parrebbe dall’incendio che del 1184 e la chiesa e le contrade dell’Arco e di Campobasso e quelle della Corte ducale miserabilmente avvolgeva (1).

Del 1175 è un Arioaldo giudice di S. Agata (2); ed il famoso Albertano causidicus de hora S. Agatae, e capitano di Gavardo (1238), gittato nelle carceri cremonesi dall’imperatore Federico II, a rendere men gravi le lente ore della prigionia, scriveva il celebre suo trattato De doctrina tacendi et loquendi. Un suo figlio Manuele chierico trovo in un atto del 1275 (3).

Parrebbe che, distrutta la chiesa dall’incendio soprascritto, si erigesse la presente, in cui, meno alcune aggiunte e ristauri, serbansi le antiche forme. Non si badi al prospetto rinnovato nel sec. XVII: ma l’ampia navata colle sue colonne a fasci ed archi a sesto acuto è ancor quella di sei secoli fa. Nell'Archivio Prepositurale si conservano le poche pergamene rimaste che parlino dell’antica basilica di S. Andrea, titolo aggiunto posteriormente alla chiesa parrocchiale di S. Agata.

SECONDO ALTARE. - Il morto Redentore, di Antonio Balestra.

(1) MCLXXXIV combusta est contrata Arcus et S. Agathae ed Curte Ducis. Cronichetta di S. Salvatore di Bologna, tenuta contemp. dal Trombelli, e pubbl. nella II.a edizione delle Notizie della Zecca di Brescia. Bologna 1786.

(2) Luchi, Cod. Dipl. Bresc. autog. cit.

(3) Astezati, in comment. Manelmi, pag. 53.


ALTARE MAGGIORE. - Il martirio di S. Agata, con altri santi; pittura attribuita a Calisto da Lodi, secondo il Sala, ma che risulta del Prato da Caravaggio, come da una nota dei registri parrochiali (1)

QUARTO ALTARE. - Martirio di S. Lucia, dipinto da Gerolamo Rossi.

QUINTO ALTARE. - I pastori al presepio, e l'adorazione dei Maggi; due belle tavole del Foppa il giovane.

Palazzo Pretoriale.

Una sala di questo palazzo di Giustizia è coperta tutta quanta di pitture mitologiche del Gambara, con divinità largamente tratteggiate a dimensioni maggiori del vero.

Nel vicin corso dei mercanti il medesimo pittore lavorò sulla fronte d’una casa alcuni vigorosi affreschi. Così pure di fianco alla Loggia il prospetto d’altra casa è coperto d’altri allegorici dipinti del medesimo pennello.

S. Ambrogio.

Nel secolo XIII dicevasi Carte DuciS (2) perchè vicino, agli avanzi della Corte Ducale.

ALTARE MAGGIORE. - I SS. Ambrogio e Carlo, di Angelo Paglia.

È pure in questa chiesa un Ecce-Homo, copia del Moretto.

 

(1) Docum. presso il rev. prevosto di quella chiesa.

(2) An. 1264. Ecel. S. Ambrosii contr. Curte Ducis. Luchi, Cod. Dipl. cit.


S. Zenone.

Fu anticamente parrocchia (1), poi priorato dei canonici di S. Giovanni, loro concesso da Giovanni vescovo il 17 marzo 1175, presente l'apostolico legato cardinale Flochino (2). In quell’atto, come in altri consecutivi, è chiamata la chiesa di S. Zeno dell’Arco dagli avanzi probabilmente di un vicino arco romano, che diede il nome all'attuale piazzetta d’Arco Vecchio.

Che un arco romano qui si levasse, già tempo, apparirebbe dalla tradizione medesima (3). Un contratto dell’889 ricorda il locus Arco di questa nostra città (4): Ardericus, habitator foris civ. Brix. locus Arco è in un atto del 1041 (5), e del 1069 è un Orlinda di Magifredo....prope templum Archi, probabilmente il medesimo S. Zenone de Arcu, che doveva pur esser fuori delle mura.

UNICO ALTARE. - La natività di S. Giovanni Battista, del Palma.

La Loggia, o Palazzo Municipale.

Alla costruzione di questa marmorea fabbrica, cui diede Palladio l'appellativo di eccellentissima, concorsero,

(1)Doneda, Notizie cit.

(2) Investivit Praepositum S. Joan. de Foris.... de Capella S. Zenonis de Arcu. Dalle Mem. Ant. della Parrocchia di S. Giovanni, raccolte dall’ab. Zucchini, e dall’atto in esse trascritto, comunicatomi cortesemente dal sac. Fenaroli.

(3) Labus, Marmi ant. Bresciani classificati ed illustrati. Classe II. Epigrafi storiche pag. 154.

(4) Cod. Diplom. Quirin. sec. IX autog. pergam.

(5) Luchi, Cod. Diplom. Brix. autog. cit. pag. 43.


ben diceva il Sala, i primi padri dell’architettura del risorgimento.

Fino dal 1467 il consiglio cittadino deliberava di alzare una splendida sala, nel sito della loggia, per tenervi i suoi radunamenti, e collocarvi ad un tempo gli uffici municipali(1). Vuolsi che la prima pietra venisse posta dieci anni dopo (2); ma questa non era che di una volta fondamentale gettata sul Garza, sulla quale doveva sorgere l’edificio, la cui prima pietra fu posta solennemente il 5 di marzo del 1492 (3). La costruzione fu continuata da poi secondo i modelli di Tommaso Formentone. Forse il Formentone piuttosto che autore del progetto fu esecutore, del modello da altro ideato fino alla ringhiera del primo piano, ed all’arco del cavalcavia compito nel 1508. Al secondo piano si pose mano verso la metà del secolo. È probabile disegno del Sansovino meno le grandi finestre architettate da Palladio. La gran sala poi, che occupava tutta l’area del palazzo più decorata che sorretta da colonne, ricca di fregi, di statue, di trabeazioni, era tutta di marmo, colle impalcature dipinte dai migliori pennelli, ,con ispartimenti architettonici e fantasie mirabilissime, e tutto ciò come a cornice di tre grandi tele condotte da Tiziano Vecellio. Il tetto coperto di piombo, con sopravi

(1) Zamboni, Fabbriche di Brescia, pag. 40, c. V. La Loggia.

(2) Op. cit. pag. 42.

(3) 1492, 5 marzo. Memoria come a dì suddetto fò la vigilia di carnovale, fò messa la prima preda ecc. Mem. di Lucillo Ducco cit. dal Zamboni nelle ricordate Fabbriche, c. V.


statue ed obelischi bellamente disposti, terminava quella mole in cui erano rappresentate tutte l’arti lombarde del secolo XVI.

E veramente io perdono alla musa del Vidalini, se colta da subito sbalordimento, sclamava nel mezzo di Piazza Vecchia:

Nubi qual meraviglia!

Oltre le nubi il suo gran capo estolle,

E van le statue a ragionar col sole! (1)

Ha un po’ dell’iperbolico. Ma che volete? due secoli fa, quando una fabbrica si alzava un po’ più dell’altre, non v’era via di mezzo, bisognava pigliarsela col cielo, come, a proposito del Duomo, il nostro poeta ne fa discendere i fondamenti all’inferno.

Va la superba mole

Cogli archi al ciel, coi fondamenti a Dite.

Io l’ammiro per certo. E voi che dite? (2)

Ma la Loggia, quel prezioso aggregato di sì cari oggetti, in poco d’ora fu avvolto da voracissimo incendio (1575), nè più rimase di quell'ampia sala orgoglio della nostra città, lavoro di quasi un secolo, che lo scheletro affumicato delle sue muraglie.

Nel secolo XVII fa tentata coi disegni del Vanvitelli una ricostruzione; ma i tempi di Palladio non erano più; a quegli arsi, ma venerandi avanzi non era ormai chi potesse por mano senza profanazione; e profanazione fu il po’ che se n’è fatto.

(1)Giardino della pittura. GiornataI, pag. 5.

(2) Op. cit., pag. 26.


Per venire a qualche dettaglio, i busti imperiali sono di Gaspare da Milano, e di Antonio della Porta.

Io non terrei col Zamboni (1), col Sala (2), cogli altri tutti che alcuni candelabri nella fronte del maestoso edificio sieno romani. Oltre, al non esistere memoria alcuna di ciò, il loro carattere ornamentale, che tutto s’impronta dell’eletto stile del secolo XVI, ne gli avverte, a non dubitarne, di quella età, ed impiegati e suppliti per la nuova edificazione.

Antonio Colla s’adoperò in quei supplementi, e fu l’autore del fregio.

Dal lato settentrionale sono candelabri di Jacopo Fostinello (il 1.° da sera a mattina), di Martino della Pesa, di Antonio Casella, di Giovanni da Lugano (2.° e 3.°), e del Colla (4.° e 5.°).

I SS. Faustino e Giovita e la Giustizia, statue locate verso la piazza, sono scolpite da Battista Bonometti, e Federico da Bagno.

Gli acquari a mezzo giorno si, vogliono di Lodovico Ranzi (1.° e 3.°), di Francesco Bonaiuti (2.°), e del Bonometti (4.°). Quelli a settentrione di Paolo Geri, e le statua sull’arco della via, di Jacopo Medici. In questi ultimi anni, con non lieve dispendio, fu diligentemente ristaurato l’esterno dell'edificio sotto la direzione dell’architetto cav. Conti.

(1) Ne le citate Fabbriche, cap. VI, pag. 62.

(2) Guida di Brescia, pag. 99.


Monte di Pietà, e Monte Grande.

Ambo eretti per decreto cittadino, il primo nel 1485 come parrebbe al dotto autore delle Fabbriche di Brescia (1), l’altro nel 1597. Ed ottimamente quel valentuomo del Bagnadore imitava nel secondo le forme architettoniche del primo ad unità di concetto, e ad euritmia decorativa della piazza; onde questa fra i due Monti, i Portici e la Loggia si trovasse quasi recinta di fabbriche sontuose ad un tempo e armonizzate fra di loro. All’intento principalissimo di schierare in quella piazza, come in pubblico Museo, le nostre lapidi, fu eretta la fronte del primo edificio; il perchè ottimamente soggiungeva l’ab. Zamboni, che quella fabbrica poteva essere considerata come il più antico Museo pubblico d’Italia.(2)

Archivio Notarile.

Collocato nell’aule a tramontana della Loggia, venne provvidamente riordinato non è guari.

Vedi tu sulla porta di quell’archivio un’antica epigrafe? La è del 1177: tolta già tempo dalla porta della basilica di S. Pietro de Dom, fu messa in luce dal Gambara (3) e dal Rossi (4).

È una sentenza pronunciata dai Consoli di Brescia cum campana populi laudante, colla quale si condannarono

(1) Zamboni, nelle Fabbriche cit. pag. 31.

(2) Op. cit. pag. 31.

(3) Gesta dei Bresciani illustri, pag. 209, nota 34 al canto III.

(4) Memorie Bresciane edite dal Vinaccesi. Brescia 1693, pag. 66.


alla pubblica infamia i nomi di Guiscardo e Gerardino per violato giuramento. Ond’io lieto e superbo t’addito quel marmo, testimonianza a’ posteri ch'anco nei tempi che noi spregiatamente diciamo rudi ed incomposti, la lealtà e la fede fu sempre negli animi bresciani una religione.

S. Giuseppe.

Monastero e chiesa già dei padri Minori Osservanti di S. Francesco, lor fabbricata nel 1521 dalla città. Nè con ciò voglio dire che i Minori Osservanti allora soltanto ci venissero. Fino dal 1254 la città nostra lor vendeva nel Borgo di S. Nazaro alcuni fondi al luogo suburbano delle Rose (1), ove si edificavano un convento. Qui non si parla che dell’origine del chiostro attuale.

Anche, un tempio di S. Barnaba esisteva in Brescia, per mo’ d’esempio, fino dal 1253 (2), ma non potendone stabilire il luogo, non abbiamo data che la fondazione di quel monastero in sul cadere del secolo stesso.

PRIMO ALTARE. - S. Lucio, di Francesco Paglia.

NONO ALTARE. - I SS. Crispino e Crispiniano, bella tela di Pietro Avogadro, artista bresciano che meritò gli elogi del Lanzi.

DECIMO ALTARE. - I. SS. Antonio di Padova e l'Eremita, di Palma il giovane.

(1) Lib. Poteris Brix. - De emptione loci fratrum minorum facta per com. Brix. a. MCCLIIII, pag. 332, cod. cit.

(2) Statuta civit. Brix. a. 1200 apud Biblioth. Quirin.


Sull’arco della cappella un Salvatore colla croce, che alcuni dissero di Stefano Rizzi bresciano, maestro del Romanino, mentre il Cavalcaselle ed il Crowe lo ritengono affresco assai pregevole del Romanino stesso.

All’ingresso della sacristia i quattro SS. Coronati dell’Avogadro.

DECIMOQUARTO ALTARE. - La Trinità coi SS. Stefano e Lorenzo, di Antonio Gandini.

DECIMOSETTIMO ALTARE. - I SS. Giuseppe e Sebastiano, di Luca Mombelli, uno dei migliori dipinti di questo allievo del Moretto.

Negli angoli del secondo chiostro vi sono quattro affreschi, che il Sala giudicherebbe fra le prime opere del nostro Moretto e più probabilmente ponno ritenersi del Foppa il giovane.

S. Giorgio.

Pare che intorno al 1218 (1) vi erigessero ì Francescani un loro convento: i quali poi circa il 1254 (2), lasciato S. Giorgio, avevano dai consoli bresciani ottenuto un luogo a Campo basso, onde erigersi altro cenobio ed altra chiesa: la chiesa ed il convento di S. Francesco.

Una provvisione cittadina del 1429 decretava i ristauri di questa chiesa, dejecta tempore belli, che fu parrocchiale

(1) Per quanto risulta da una memoria comunicatami dal rev. vicario di questa chiesa.

(2) Statuti Municip. ricord. e la mem. sud.


antica, e ne mantenne il titolo e gli uffici sino al cominciar del secolo in cui viviamo. Le tre absidi a tergo di questa basilica serbano ancora intatte le forme architettoniche del secolo XIII.

Non vi ha quadro meritevole di ricordo, so non forse il Presepio di Giovita Brescianino scolaro di Lattanzio Gambara, l'unico dipinto a noi noto di quell’artista nostro, che serbò nello stile i precetti del maestro.

Notevoli le due lesene del secondo altare a sinistra della chiesa per invenzione graziosa, per magistero, e finitezza dì esecuzione. Lo stemma scolpito sulle dette lesene è della famiglia Caprioli, della quale erano due sepolcri già posti nell’interno della cappella ai fianchi dell’altare.

Avanzi della Curia Ducale e del Ninfeo.

Non è molti anni che sul lato orientale della piazzetta, di S. Giuseppe si vedeva una salda muraglia resti evidentissimi di vetusto e grave edificio. Nè qui vorrò certamente ridire le testimonianze per le quali argomentavali della Curia Ducale, o dirò meglio d’una porta Palatina convertita agli usi della Curia (1). Aggiungerò soltanto, che scavandosi qui nel 1852 un acquedotto, risultò patente la verità di quanto scriveva intorno al poggiare dell’edificio sulle antiche mura.

(1) Brescia Romana cit. - Porta Milanese.


A pochi passi dalla piazzetta di S. Giuseppe è la casa Venturi, nel cui cortile fu scoperto un amplissimo ed intatto pavimento a mosaico colle epigrafi tessulari

BENE * LAVA   SALVV * LOTV

Scrissi altrove, e, so non paia soverchio il dirlo, bastevolmente ho provato spettare quel pavimento al bresciano Ninfeo, del quale fino all’XI secolo rimase memoria nei documenti del medio evo (1): e del cui novero un solo vestigio a contrapporci non vale la stessa Roma (2).

S. Faustino Maggiore.

Antichissimo tempio, il cui titolo primitivo era forse di S. Maria in Silva (3), ed al quale nel secolo VIII (4) dalla chiesa di S. Faustino ad sanguinem (ora S. Afra) sulla via Cremonese si recarono le ceneri dei SS. Faustino e Giovita, per cui fu d’uopo escissero i sacerdoti da porta Milanese, adesso porta Bruciata; alla quale per quella traslazione probabilmente si aggiunsero i nomi dei nostri martiri: e con essi è distinta in un atto del 767 (5). A

(1) Casimberto habitator de prope fistula Limphevs. Contr. autogr. del1’889. Cod. Quir. t. III, sec. IX. - Coheret.... a fistula que dicitur Ampheo. Atto del 1037 pubb. dal Gradenigo, Brixia Sac. - Udaricus Eps.

(2) De Nymphae s v teribus nullum ad nostra patruumque nostrorum

tempora Duravit. G. Fabricii, De urbis Romae. (in Grav. t, III pag. 158).

(3) Brunati, Leggendario cit. pag. 18, e nota 10 a pag. 25.

(4) Malvetii, Chron. in R.I.S. t. XIV. col. 885. - Brunati, luogo cit. Biemmi, Istoria di Brescia, t. I. pag. 265.

(5) Cod. Dipl. Quirin. sec. VIII, an. 767. Ante portam beatissimor. martyrum Faustini ed Jovitae. Il documento fu pubblicato dal Margarino nel Bull. Casin. t. II. pag. 11. L’ab. Brunati, a ricordare che del 761 coll’egual nome si domandasse, cita un atto di quell’anno edito dal Muratori. (Ant. It. M. AE. t. II. col. 759), ma in quell’atto la porta non è detta altrimenti che Porta Milanese.


quella chiesa era unito un monastero, il cui primo ricordo, non sarebbe che dell’815 (1), dal quale, o piuttosto dalla chiesa che abbiam nomata, Petronace da Brescia nel 780, sembra levasse la celebre reliquia di Monte Cassino (2).

Ramperto vescovo di Brescia nell’841 edificava qui presso un altro monastero e un’altra chiesa, l’uno e l’altra largamente dotando; e datala poscia a’ monaci Benedettini, trasportò dall’antico nel nuovo tempio le sacre spoglie dei soprascritti nostri martiri. Più di tre secoli dopo Manfredi vescovo di Brescia riconsacrava l’instaurata basilica (1152)(3). Del monastero sappiamo abate nel 1108 un Guidoaldo (4), e pare che nel 1189 non si comprendesse per anco nell’ambito delle mura (5).

Ma nè dell’una, nè dell’altro è più traccia. L'attuale basilica fu rinnovata poco dopo il 1600 con progetto di Santo Calegari, e fu coperta di affreschi architettonici del celebre Sandrino. Quelli però del presbitero e del coro vennero condotti dal Tiepolo e dal Colonna.

(1) A. 815, Ex monasterio S. Faustini Brixiae, Georgius, Aistulphus etc. Mabillon. anal. pag. 426, 427.

(2) Leo Ostiensis, Chron. Mon. Casin. in Rer. Ital. Script. t. IV, pag. 258. Card. Mai, Script. vet. Vat. collect. t. V. pag. 51.

(3) Gradonicus. Brix. Sac. pag. 112, 123. - Mabillon, Ann. Ben. t. II, pag. 618.

(4) Gradonicus. Brix. Sac. p. 210.

(5) Breve Record. de Ardicio de Aimonib. Cron. cit.


PRIMO ALTARE. - Angeli modellati da Gaetano Monti di Ravenna.

SECONDO ALTARE. - Il Presepio. Aureo quadro di Lattanzio Gambara, in cui quel largo pennello, che a tocchi risentiti e con una cotal sprezzatura veramente magistrale coperse di grandi affreschi il Corso del Teatro, cangiato stile, mostrossi ne’ dipinti ad olio d’una diligenza, di una fusione ad un tempo e nerbo di colorito sì castigato e intelligente nelle forme e nel chiaroscuro, che ben si conosce come in ambe le maniere sapesse rivaleggiare coi primi dell’età sua. Doppiamente preziosa è questa tela, e per le scarsissime che il Gambara lasciava, e per essere tra le sue più in grido.

TERZO ALTARE. - S. Onorio del Gandini il giovane.

ALTARE MAGGIORE. - L'urna dei SS. Martiri proteggitori di Brescia, nonchè le statue ivi sedute e l’altre a’ fianchi dell’altare sono di Antonio Carra.

SESTO ALTARE. - Una bella Deposizione di Santo Cattaneo.

Sul confessionale a lato dell’altare di S. Croce la Risurrezione del Romanino.

È prossimo alla sagristia un affresco del Gambara. Merita pure d’esser osservato il vicin chiostro, e l'oratorio dalle fondamenta costrutto non ha molt’anni sugli avanzi della chiesetta di S. Giacomo.

Questi sono i tesori monumentali della basilica Faustiniana. Ma tesoro ben altro a lei concedeva, il Signore nel suo prevosto. Nipote di Gabrio Maria Nava, sarei per


dire che, a renderci men dolorosa la dipartita del vescovo incomparabile, qui lasciasse trasfuse nel superstite congiunto le sue care virtù.

S. Chiara, ora Collegio Municipale Peroni.

Già chiesa e monastero di monache Francescane, erettovi sino dal secolo XIII. È nominato negli statuti municipali di quel secolo, stantechè nel 1279 dimandavano le claustrali un po’ di elemosina al Comune, e il vicario di Carlo d’Angiò ne sosteneva l’istanza (1). È attualmente oratorio unito al collegio maschile Peroni.

Unico altare. La B. V. e S. Filippo Neri dipinto dal bresciano G. Damiani.

Porta Pile.

Così detta fino dal secolo XIII per le pile di un ponte che attraversava il Garza. Non è a confondersi con altra porta dell’ugual nome (le pile dei Torzani), ch’era già da quel secolo non lunge dalla Maddalena, antico tempio non ha guarì distrutto  e già tenuto dagli Umiliati di Gambara vicino a S. Lorenzo (2). Ma in quel secolo le Pile di cui parliamo erano non saprei meglio se porta civica o tettoia (3). Sendo allato dì Cittadella, fu  rimarginata poco dopo, e convertita in ridotto militare con forti appendici

(1) Statuta Civ. Brix. sec. XIII. Presso la Quirin.

(2) Doneda, Vita di S. Costanzo.

(3) Astezati, in comment. Manelmi  pag. 53.


che la collegavano all’antica porta di Pedriolo, in fondo allo spazzo di S. Chiara, detta ancora Porta Gallia.

Porta Pile venne poi ricostrutta nel 1818 sopra disegno di Rodolfo Vantini, ma anche questa porta fu di recente demolita perché troppo angusta.

Bagno Comunale.

Con provvida cura il Municipio adattava testè ad uso di bagno pubblico la attigua fossa con doccie d’ogni maniera ed ampie vasche per esercizio di nuoto.

S. Faustino in Riposo.

Chiesetta vetusti ima ristaurata da non molto tempo. Che un sacello qui fosse già fino dell'VIII secolo parrebbe dedursi dall’essere la contigua porta Bruciata chiamata nei documenti di quel secolo dei SS. Faustino e Giovita (1). L'attuale rotonda però ha tutti i caratteri di un edificio, dell'undecimo o duodecimo secolo; e nell’elenco delle chiese, attribuito al 1150, è detto dei SS. Faustino e Giovita ad pot (2), che vale ad portam, se non forse ad pontem.

Direbbesi riedificazione di un oratorio più antico, secondo il Malvezzi eretto in memoria della sosta che a porta Milanese facevano i sacerdoti nella traslazione di que’ santi donde il titolo di S. Faustino in Riposo.

 

(1) Diploma del 767 pubblicato dal Margarini nel Bullarium  Casinense t. II, parte II.

(2) Stampato, come dicemmo, nelle Osserv. del Doneda alla Storia Bresc. del Biemmi.


All'esterno del santuario è una tela del Bagnadore, copia di un dipinto del Moretto, rappresentante la traslazione, dei SS. Martiri.

Porta Bruciata.

Alla contigua porta venne il titolo di Bruciata per vasto incendio da cui nel 1184 fu avvolta e consunta; quel medesimo ch’erasi allargato a S. Agata, all’Arco, alla Curia Ducale (1). Sua prima denominazione, probabilmente romana, è quella di Porta Milanese, perchè facente capo alla via Emilia; che da Milano, per Bergamo, Brescia, Verona, correva largo tratto della Gallia Cisalpina (2).

Le Consolazioni.

Edicola altra volta col titolo di S. Faustino in Castello, sotto il quale si ricorda in una bolla del 1147 (3). Il Malvezzi la dice antichissima, ed a suoi tempi abbandonata; nel secolo XIII la custodiva un chierico, e nel XIV fu riparato alla sua desolazione ed al trovarsi miseramente accerchiata da’ luoghi infami (4). Atterrata, secondo il Faini dopo l’anno 1429, si ricostruiva col nome di S. Maria delle Consolazioni.

ALTARE MAGGIORE. - Un affresco di mano ignota, ed un S. Carlo del Giugno.

(1) Cron. di S. Pietro in Oliveto. a. 1184, (Doneda,Zecca di Brescia infine). Malvetii, Chron. in B. I. S. t. XIV.

(2) Brescia Romana cit. - Porta Milanese.

(3) Gradonicus, Brix. Sac.

(4) Op. cit. pag. 334(?).


Sono ancora poco lunge i resti delle chiese antiche erette dai padri nostri, siccome questa, alla radice del colle Cidneo, vale a dire d'Ogni Santi, di S. Urbano, di S. Desiderio, e d’altro; ma di S. Michele, di S. Giovanni, di S. Martino in Castro non è più vestigio alcuno.

Il Carmine.

Monastero aperto dalla città di Brescia verso il 1345 ai PP. Carmelitani, chiamati dal nostro vescovo Lambertino. Ristaurato il tempio nel secolo XVII, il Sandrino, il Gandini ed altri lo coprivano dei loro affreschi.

L'Annunciata, che all’esterno è dipinta sulla porta maggiore, è di Floriano Ferramola da Brescia.

PRIMO ALTARE. - Tolto il martirio di S. Orsola, vi si trovò sotto l’attuale prezioso affresco d’ignota mano, ma non posteriore al secolo XV, rappresentante la Discesa dello Spirito Santo: più sotto la B. V. coronata da S. Giuseppe. Ogni indagine sull’autor suo, forse bresciano, fu inutile sin qui.

SECONDO ALTARE. - SS. Egidio e Gio. Battista del Giugno.

TERZO ALTARE. - Crocifisso dipinto a fresco dal Foppa il vecchio, al quale debbonsi ancora le pitture della volta, e sono delle pochissime che tuttora ci restino di quell’egregio nostro artista.

QUARTO ALTARE. - La Strage degli Innocenti, del Marone.

ALTARE MAGGIORE. - L'Annunciata di Pietro Candido, con sopraquadro del Cossali.


NONO ALTARE. - Assunzione di Gesù: Marone.

DECIMO ALTARE. - La Vergine di maniera greco-moderna. Se vogliamo credere al Rossi, è imagine che un carmelitano recava dalla Palestina intorno al 1472.

Dietro l'altare sonvi pitture a fresco spettanti alla vecchia chiesa.

DODICESIMO ALTARE. - Sottoquadro: B. Liguori, diligente lavoro e pio dono ad un tempo della pittrice bresciana Caterina Borghetti.

TREDICESIMO ALTARE. - Arcangelo Michele, di Palma il giovane. A fianco dell’abside dietro la chiesa è una celletta tutta dipinta a buon fresco da ignoto ma probabilmente bresciano pittore; è deplorevole che questa cappella siasi chiusa adoperandola come locale di servizio con grave danno dei lodati dipinti.

Erano qui già tempo i sepolcri della nob. famiglia Fenaroli. L'audacissimo Ventura di quella casa, congiurato del novero di coloro che nel 1511 avean fatto sacramento in S. Domenico di rendere alla repubblica Veneziana la nostra città, duramente governata in quel tempo dall’esercito di Francia, veduta omai scompigliarsi la trama per un Longhena che avevala palesata in seguito a morte dai satelliti del de-Luda, cercò un rifugio nel sepolcro de’ padri suoi; ma il fedele suo cane che sulla pietra posò, e la infame viltà di un delatore che so n’era accorto, tradì l’infelice. Furono gli sgherri intorno all’avello, e trattone il Ventura, lo trascinavano innanzi al de-Luda; ma dispettando quel fiero di sopravvivere alla servitù della


patria, cacciavasi un pugnale nel petto; poi quelle fascie, che a tenerlo vivo gli si erano strette alla ferita, egli stesso dinanzi ai giudici divelse, e cadde in un lago di sangue (1).

S. Giovanni Evangelista.

Tempio probabilmente fondato da S. Gaudenzio vescovo di Brescia verso il cadere del IV secolo, e benedetto negli anni sconsolati dell’invasione d’Alarico (400-402) (2). Ma poichè in quella solennità vi deponeva le ceneri dei quaranta martiri di Sebaste, alcune reliquie di S. Giovanni il Precursore e d’altri santi, intitolava quel tempio, Concilium Sanctorum (3): ed io suppongo sia la stessa chiesa che trovasi nominata S. Giovanni Evangelista in un documento muratoriano del 761 (4). Nell’opuscolo De situ  civitatis Mediolani quel Concilium Sanctorum, nel quale si dice deposto il vescovo Anatalone, sembrerebbe a dir vero un tempio anteriore alla basilica Gaudenziana: ma col Brunati ritengo che l’anonimo scrittore di quell’opuscolo (che il dotto Birago attribuisce al VI secolo (5), e il Muratori al X)(6), abbia voluto far cenno di quest’ultima.

(1) Rossi, Elogi di bresciani illustri, pag. 248. Comino Martinengo. Racconto della congiura del 1511, ecc. ecc.

(2) Inter pericula imminentium barbarorum auxilio protegi divino merebimur. Patruum Brixientium, opera omnia cit. pag. 317.

(3) Brunati, op. cit. p. 336, 345. - Tillemont, Mem. Eccl. t. X, p. 586.

(4) Murat. Ant. It. M. Aevi, t. II. col. 407.

(5) Sull'età dell’opusc. De situ civ. Med. Am. Cat. nov. 1845.

(6) Rerum Italic. Script. t. I, p. 11. Bulland, AA. SS. 25 sept.


Sul cominciare del secolo XII già si ritrova, (dall’essere il tempio fuor della cerchia delle antiche mura) il titolo di S. Giovanni de foris, come si legge in una carta del 1109 nell’archivio di quella chiesa (1) e nel catalogo del Totti pur di quel secolo.

Totalmente distrutta nel 1151 (2) dall’incendio ricordato nella cronaca di S. Salvatore, venne rifabbricata, e nei secoli consecutivi alterata per ampie aggiunte, di forme e di concetto. Che poi fosse del secolo XIII prossima alle mura parrebbe da un atto del 1292, nel quale una casetta a quella chiesa congiunta confinava a sera col fossatum terralii (3).

PRIMO ALTARE. – L’Assunta, di Francesco Paglia.

SECONDO ALTARE. I martiri dell'Ararat, di Angelo Esserads oltramontano; la parte superiore è d’altro pennello.

TERZO ALTARE. - La strage degl’Innocenti: Moretto.

L’evidente reminiscenza in questa tavola di alcune pose notissime di Raffaello porrebbe il lavoro del nostro artefice fra quelli nei quali pare studiarsi di fondere la classica grazia della scuola romana col proprio stile; per ciò stesso errava probabilmente il Sala nel dirlo fra l’opere prime del Buonvicino (4).

(1) In suburbio urbis Brixiae apud eccl. S. Joannis de foris. Dalle memorie e documenti della parrocchia, raccolte dall’ab. Zucchini, e dall’autografo presso l’archivio prepositurale.

(2) Hoc anno eccl. S. Joannis de Foris combussit. - Cron. di S. Salvatore pubblicata, dal Doneda nell’edizione di Bologna della Zecca di Brescia.

(3) Arch. prep. e Grad. Brix. Sacra, Bernardus eps.

(4) Quadri scelti di Brescia, pag. 27.


QUARTO ALTARE. - SS. Silvia, Gaudenzio, ecc. Rossi.

QUINTO ALTARE. - B. V. di mano ignota, ma non comune, ed è forse del Moretto.

Due mezzelune, l’una di Paglia il vecchio (Natività di Maria), l’altra di Giuseppe Panfilo (la Presentazione); in alto l’adorazione dei Magi del Panfilo, ed un presepio tratto dal Moretto.

La nascita del Precursore, e l’imposizione del nome al neonato bambino sulla porta della sacrestia e sulla corrispondente di rimpetto, sono due quadri del Cossali.

ALTARE MAGGIORE. - Tutto decorato di lavori a tempera e ad olio del nostro Moretto. Sono a tempera i SS. Giovanni, Zaccaria e il Precursore nel deserto; ad olio la Vergine, i SS. Giovanni evangelista, Agostino, Agnese, e il Precursore. In alto il Padre Eterno ed un profeta. I due angeli sulle porte laterali sono del Maganza.

CAPPELLA DEL SS. SACRAMENTO. - Questa cappella può dirsi veramente un tempio dell’arte tanti sono e tanto preziosi i dipinti che la decorano. Col mezzo di oblazioni private fu recentemente ristaurata sopra disegno dell’architetto Tagliaferri e resa degna sede dei capi d’opera che vi stanno raccolti. Il bresciano pittore M. Faustini dipinse a tempera nei pennacchi del volto quattro Angeli che portano i simboli del SS. Sacramento, la decorazione ornamentale è opera dei pittori Franchini e Salvi, gli intagli in legno sono dello Zacchi ed il pittore Cavenaghi di Milano ristaurò con singolare maestria la pala e le grandi tele che ornano le pareti. - Pala dell’altare. - Le Marie


coi fedeli raccolte intorno all'estinto Gesù. Tavola insigne da alcuni attribuita a Giovanni Bellini, da altri al Civerchio. La cornice degna del quadro è squisito lavoro del valente artista bresciano, Stefano Lamberti. Da un contratto esistente negli atti della Fabbriceria sotto la data 21 marzo 1521 risulta che i due sommi nostri artisti Moretto e Romanino dipinsero, quasi a nobile gara, le tele che decorano le pareti di questa cappella.

OTTAVO ALTARE. - Lo Sposalizio di Maria, pregiatissima tavola del Romanino, nella quale si fece conoscere più assai che in altri suoi studi, vigoroso ad un tempo e delicato; il getto delle pieghe ampio, finito e vero: un non so che di calmo, di angelico, di soave è in quella composizione, che ricorda la grazia di un concetto di Rafaello: la robustezza del chiaroscuro, la varietà dei volti composti ad un solenne pensiero, fa sì che a quella tavola ti arresti come dinanzi ad un miracolo della scuola veneziana della quale il Romanino era sì tenero.

BATTISTERO. - I SS. Biagio, Barbara ed altri beati, d’ignota mano, disse il mio predecessore, ma che sosterrei di Francesco Francia (1). Studiato il vero, ottimo l’impasto delle tinte, esatto il disegno è in questa tavola, non ultimo fra i singolari dipinti della basilica di cui parliamo.

Dalle inesplicabili visioni dell’apocalisse toglieva il Cossali argomento per la gran tela che sta in alto sulla porta maggiore.

(1) Vengo accertato, che Diotti e Ruhmor manifestassero lo stesso pensiero.


S. Rocco.

Scuola ed oratorio femminile non ha molti anni rístaurato.

UNICO ALTARE. - Ha una tavola del santo titolare. Le tinte robuste, il bello stile la manifestano opera di Calisto da Lodi.

S. M. delle Grazie.

Cessato l’antico titolo di S. Maria di Palazzolo, sotto il quale i padri Umiliati qui avevano già fino dall’anno 1295 una chiesa ed un convento, qui venne, serbato dai padri Gerolimini (che una chiesa e un monastero aveano anch’essi fuor delle Pile, chiamato di S. Maria delle Grazie) quest’ultimo titolo. Rifabbricata la chiesa nel 1522 (1), quale sussiste tuttodì, fu per essi ceduto il chiostro antico pel veneto decreto, che ordinava l’atterramento dei borghi e de’ luoghi suburbani cui, potessero i nemici appoggiare, siccome per lo passato, le guerresche loro fazioni.    

Il disegno è del padre Lodovico Barcella gerolimino ; le parti decorative sono per altro di posteriore età. Ma il bassorilievo sulla porta maggiore, colle imagini della famiglia Leonico, le imposte di legno ad intagli, la marmorea porta e i due leoni alle basi delle lesene, furono tolti alla chiesa antica suburbana che abbiam nominata, quindi fatture del secolo XV, e forse precisamente del

(1) Nissino, Memorie, Cod. Quirin. C. 1, 15.


1453, nel quale anno Giorgio eremita, colla corda al collo, vestito di sacco , orrido l’aspetto e rabbuffato il crine, scorreva le nostre contrade gridando penitenza, esortando ad innalzare un santuario.

Dai Gerolimini, aboliti nel 1668, passava il chiostro e il santuario urbano delle Grazie in proprietà dei Gesuiti, che vi aprirono scuole.

Nel 1774 ne prendeva possesso il Municipio, cui spetta ancora. La chiesa internamente è tutta coperta di dorature, di stucchi e di frustagli che non ha palmo in cui non si veda qualche riccio, qualche lumachella o cartoccietto di due secoli fa. È un traforo, un intrecciamento di volute, di fogliette, di ghirigori dorati, verniciati, levigati, con entrovi specchietti e quadroncini, e che so io, sicchè l’occhio cerca indarno ove posare un istante. Buon per noi che, il Milizia non è più; che qui certo avrebbe, di che svaporare l’acre sua bile.

PRIMO ALTARE. - S. Barbara uccisa dal padre; tizianesca tela di Pietro Rosa bresciano, favorito discepolo del Vecellio.

SECONDO ALTARE. - S. Francesco Saverio; Pietro Rotari.

QUARTO ALTARE. - I SS. Antonio di Padova e l'Eremita, del Moretto.

SESTO ALTARE. - S. Francesco Regis; Simone Brentana.

SETTIMO ALTARE. - SS. Rocco, Sebastiano e Martino, del Moretto.

ALTARE MAGGIORE. - La nascita di M. V. del Bagnadore.


La Circoncisione del Giugno; la Purificazione di Gandini il vecchio; i Magi del Cossali; la Natività della B. V. di Camillo Procaccini.

OTTAVO ALTARE. - Qui presso è il Mausoleo del generale valorosissimo Tommaso Capriolo, morto nel fiore degli anni e della gloria militare.

A destra del presbitero è il monumento del cardinale Uberto dei Gambara, chiarissima famiglia nostra (1). Il busto di Uberto Gambara è in alto. Assai deve il santuario a quel Cardinale, di cui per altro la storia inesorabile notò gli oscuri fatti.

DECIMO. - SS. Gioachino ed Anna, del Bagnadore.

UNDECIMO. - I SS. Stanislao e Luigi di Antonio Paglia.

TREDICESIMO. - La Vergine con S. Gerolamo ed altri beati, attribuita con molto acume al Ferramola e che non mi pare trionfalmente rivendicata dal Sala al Foppa il giovane.

Il Presepio a cristalli colorati sulla porta maggiore è del famoso Bertini.

Nella sacristia furono collocati temporaneamente diversi quadri di proprietà comunale i quali per la loro, grandezza non possono trovar posto conveniente nella civica Pinacoteca Tosio. Sono particolarmente da ammirarsi lo stupendo Presepio del Moretto, e la pregevole tela del Romanino - La sacra Triade nell’atto di coronare

 

(1) V. Litta - Famiglie illustri italiane.


Maria, e sotto, i SS. Domenico, Faustino e Giovita ecc. Gran quadro che decorava prima l’altare maggiore della chiesa di S. Domenico.

Due cortiletti circondati da portici eleganti separano dalla chiesa grande il Santuario. Di questo si vuole che il vescovo Zane ponesse la prima pietra nel 1499, ma nelle, demolizioni praticate non ha molti anni per ampliare il santuario si trovarono parti architettoniche e pitture a fresco le quali farebbero risalire ad epoca più antica l'origine, se non di tutto, di buona parte almeno di questo sacello. Ora fu, come si disse notevolmente ampliato, e l’egregio architetto Tagliaferri, adottando nel suo disegno uno stile di transizione fra il gotico ed il rinascimento, ci richiama quasi all’epoca primitiva del santuario. Alla eleganza del concetto architettonico e decorativo corrisponde perfettamente la diligenza della esecuzione e voglionsi qui ricordare ad argomento di giusta lode i nomi di tutti gli artisti che ebbero parte nell’opera.

Il valente pittore Modesto Faustini va figurando la vita della Madonna nei grandi quadri a fresco lungo le pareti, e negli archi del volto dipinse a tempera, Angeli, Evangelisti, Apostoli. La parte decorativa è dovuta ai pittori Franchini e Chimeri. Lo scultore Davide Lombardi fornì tutti i lavori in marmo, e gli stucchi furono eseguiti con perfetta imitazione di svariati marmi dai fratelli Peduzzi. Di ignoto pennello, ma non senza pregio, è l’antico dipinto a fresco rappresentante la venerata imagine della B. V. nel Presepio.


Orfanotrofio Maschile della Misericordia.

Costrutto ed ampliato non è molti anni sui disegni dell’architetto Gaetano Clerici.

La chiesa ivi presso, costrutta nel 1522, fu dappoi rimodernata quale or si vede.

PRiMO ALTARE. - La Vergine del pianto: è quanto dire l’altare degli infelici! Oh quanti degli accolti in questo asilo di misericordia lo avranno bagnato delle loro lagrime! La tela qui dipinta vuolsi di uno scolaro del Moretto.

ALTARE MAGGIORE. - S. Gerolamo Miani, di Bettino Cignaroli.

TERZO ALTARE. - G. G. nel sepolcro, di Gandini il vecchio.

Pinacoteca Comunale Tosio.

(Contr. S. Pace, n. 585).

Di proprietà cittadina per legato munificentissimo del conte Paolo Tosi, che dopo avervi, con largo spendio e tatto squisitissimo, radunato di stampe, di medaglie, di cammei, di bronzi antichi, di libri, e sopratutto di quadri e di scolture dei più insigni artefici dell’età nostra quanto a colto e dovizioso privato era concesso, lasciava alla patria, col palagio suo proprio, questo monumento imperituro dell’eletta e gentile anima sua.

La collezione Tosio fu in seguito aumentata per legati, di altri benemeriti cittadini, Sala, Brozzoni, Pitozzi, Richiedei, Lorenzetti, e per acquisti fatti dal Municipio.


SOTTO L'ATRIO.

Democrito Gandolfi (nato nel 1796, morto nel 1874). Raffaello e Galilei (bassorilievi).

NEL CORTILE.

Gaetano Monti da Ravenna (1776-1817). - Najade (statua in marmo sulla fontana).

VESTIBOLO.

Girolamo Romanino (1485-1566). - La cena in Emaus (affresco riportato sulla tela).

Scuola di Giotto (secolo XIV). - Quattro tavolette rappresentanti Santi.

Girolamo Romanino (1485-1566). - La Maddalena ai piedi di G. C. (affresco riportato sulla tela).

Di scuola bresciana. - Madonna in trono con Bambino (affresco).

Gaetano Monti da Ravenna (n. 13 marzo 1776, m. a Milano nel maggio 1817). - Ritratto del conte Tosio (busto in marmo).

Ignoto. - L'educazione di Maria (sulla tela).

Ignoto. - La Sacra Famiglia e S. Giovanni (sulla tela).

Alessandro Bonvicino detto il Moretto (1498-1554) – La Madonna col Bambino in gloria e diversi santi (sulla tela).

Girolamo Romanino (1485-1566). - La preghiera di diversi santi (sulla tela).

Modesto Faustini (n. a Brescia, viv.) - Ritratto di S. M. la Regina Margherita di Savoia (sulla tela, ovale).


Gaetano Monti da Ravenna (1776-1847). - Le Bella Arti (bassorilievi in scagliola).

QUADRI ANTICHI - SALA I.

1. Vincenzo Foppa il giovane. - Fioriva nella primi metà del secolo XVI. - I Santi Faustino e Giovita (affresco).

2. Fra Bortolomeo di S. Marco, domenicano, detto prima Baccio della Porta (1469-1517). - Sacra Famiglia (sulla tavola).

3. Alessandro Bonvicino il  Moretto ( 1498-1554). L'annunciazione di Maria Vergine (sulla tavola).

4. Scuola bolognese. - Ritratto di donna (sulla tela).

5. Vincenzo Civerchio. - Fioriva nella seconda metà del secolo XV e in principio del XVI. - S. Nicola, San Sebastiano e S. Rocco (trittico).

6. Alessandro Bonvicino (1498-1554). - Ritratto d’uomo (sulla tela).

7. Matteo Plattenberg detto Montagne (1600-1666) Burrasca (sulla tela).

8. Girolamo Romanino (1485-1566) - Ritratto d'uomo (sulla tela).

9. Pietro de Mulieribus detto Tempesta (1637-1701). Paesaggio con macchiette (sulla tela).

10. Sofonisba Anguissola. Fioriva sulla fine del secolo XVI e in principio del XVII. Ritratto d'uomo (sulla tela).

11. Annibale Caracci (1560-1609). - S. Agnese (sulla tavola).


12. Francesco Raibolini detto il Francia (1450-1535). - Ritratto di giovanetto (sulla tavola).

13. Michelangelo Morigi detto da Caravaggio (1569-1609). -Suonatore di liuto (sulla tela).

14. Luca Jacopi di Leyda detto Luca d’Olanda (1494-1533). - Monache in preghiera (sulla tavola).

15. Scuola bolognese. - La Maddalena con Angeli (sulla tela).

16. Scuola del Giorgione. Ritratto d'uomo (sulla tela).

17. Girolamo Savoldo. - Fiorì nella prima metà del secolo XVI. - Il Presepio di Nostro Signore (sulla tavola).

18. Calisto Piazza detto Calisto da Lodi. - Fiorì nel principio del secolo XVI. - Il Presepio di Nostro Signore e due santi (tempra sulla tela).

19. Vincenzo Foppa il vecchio (m. 1492). - Il Redentore che porta la croce (sulla tela).

20 e 21. Autori diversi. - Disegni vari.

22 a 24. Girolamo dai Libri (1472-1555). – Miniatura su pergamena.

25. Idem. - Presepio con ornato (miniatura).

26. Ignoto. - Cristo nell'orto (miniatura).

27. Scuola Giottesca. - La Vergine col Bambino (sulla tavola).

28. Ignoto. - Sacra Famiglia (sulla tavola).


SALA II.

1. Luca Mombello (n. 1520). - La Presentazione al tempio (sulla tela).

2. Gio. Battista Morone (m. 1578). - Ritratto d'uomo (sulla tela).

3. Antonio Vandyk (1099-1040). - La Beata Vergine col Divino Infante e S. Giovanni Battista (sulla tela).

4. Francesco Francia (1450-1535). - Nostra Donna col Bambino (sulla tavola).

5. Gio. Francesco Barbieri detto Guercino da Cento (1590-1666). - Cristo che risana il cieco (sulla tela).

6. Paolo Veronese (scuola di). - Ritratto d’un guerriero (sulla tela).

7. Alessandro Bonvicino detto il Moretto (1498-1554). - La Sacra Famiglia (sulla tavola).

8. Girolamo Romanino (1485-1566). - La B. V. che sostiene il Nazzareno morto (sulla tela).

9. Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1513-1594). Ritratto d’un vecchio (sulla tela).

10. Simone Cantarini detto da Pesaro (1612-1648). - La Madonna del Rosario (sulla tela).

11. Pietro Paolo Rubens (1577-1640). - Ritratto della madre dell’autore (sulla tavola).

12. Lorenzo Lotto. - Fioriva nella prima metà del secolo XVI. - Presepio con pastori ed angeli (sulla tela).

13. Polidoro Caldara detto da Caravaggio (m. 1513). - Il ratto delle Sabine (disegno acquarellato).


 

14. Gio. Battista Morone (m. 1578). - Ritratto (sulla tela).

15. Francesco Francia (1450-1535) - Nostra Donna col Bambino (sulla tavola).

16. Alessandro Bonvicino detto Moretto (1498-1554). - Erodiade (sulla tavola).

17. Girolamo Romanino (1485-1566). - Presepio di N. S. con alcuni frati (sulla tela).

18. Alessandro Bonvicino detto Moretto (1498-1554). - La cena in Emaus (sulla tela).

19. Girolamo Romanino (1485-1566). - Cristo che porta la croce (sulla tela).

20. Francesco Bassi detto il Cremonese dai Paesi (1642-1700). - Ponte che mette ad un castello (sulla tela).

21. Giovanni Bellini (1424-1514). - Il Redentore (sulla tavola).

22. Carlo Maratta (1625-1713). - Nostra Donna col Bambino (sulla tela).

23. Pietro de Mulieribus detto il Tempesta (1637-1701). - Paesaggio (sulla tela).

24. Francesco Clowet detto Jeannet (1500-1572). - Ritratto di Enrico III re di Francia (sulla tavola).

25. Cornelio Pallemburg. - Fioriva nel secolo XVII. Bagno di donne in una grotta (sulla tavola).

26. Scuola fiamminga. - Paesaggio (sulla tavola).

27 e 28. Giorgio Duranti (1683-1755). - Gruppi di pollame (sul rame).

29. Scuola bolognese. - Venere portata dai delfini (sulla tela).

30. Bartolomeo Spranger (Sec.° XVI.) - Flagellazione di Cristo (sulla tavola).


31. Francesco Zuccarelli. - Fioriva nella seconda metà del secolo XVIII. - Paesaggio (sulla tela).

32. Scuola bolognese. - La Madonna col Bambino (sul rame).

33. Ignoto. Ritratto di un vecchio (sul rame).

34. Giovanni Fitt (1621, viveva nel 1661). - Uccelli morti (sulla tela.).

35. Van der Meer (secolo XVII). - Una notte (sulla tavola)

36 e 37. Davide Teniers (1610-1694). - Bevitori (sulla tavola).

38. Fiammingo. - Una monaca (sul rame).

39. Giorgio Durandi (1683-1755). - Gruppo di pulcini (sulla tela).

40. Alessandro Bonvicino detto il Moretto (1498-1554). - La Sacra Famiglia (tempra sulla tela).

41. Ignoto - Giuseppe riconosciuto dai fratelli (sulla tela).

42. Padre Giacomo Cortesi da Bologna detto il Borgognone (1621-1676). - Fatto d’armi (sulla tela).

43. Ignoto. - Ritratto di donna (sulla tavola).

44. Pietro Neef. - Fiorì nel principio del secolo XVII. S. Pietro liberato dal carcere (sul rame).

45. Annibale Caracci (1560-1609). - S. Francesco in orazione (sulla tavola).

46. Scuola fiamminga. - Paesaggio (sulla tavola).


 

122

47. Ignoto. - S. Francesco (sul rame).

48. Sofonisba Anguissola. - Fioriva sulla fine del secolo XVI e in principio del secolo XVII. - Ritratto di fanciulla (sulla tela).

49. Ignoto. - La Deposizione dalla croce (sul vetro).

50. Pietro Marone. (1548-1652) - Un santo martire (sulla tavola).

51. Andrea Solari detto il Gobbo. - Fioriva nel secolo XVI. - Cristo che porta la croce (sulla tavola).

52. Ignoto. - S. Pietro (sulla tavola).

53. Andrea Mantegna (1430-1505). - Trionfo di Cesare (sul rame).

51. Scuola di Raffaello. - La Madonna col Bambino (sulla tavola)

55. Pietro Marone (1518-1625). - Un santo Martire (sulla tavola).

56 e 57. - Francesco Zuccarelli (1702-1788). - Paesaggi e macchiette (sulla tela).

58. Scuola fiamminga. - Ritratto d’uomo (sulla tavola).

59. Girolamo dai Libri (1472-1555). Coro di frati (miniatura su pergamena).

60. Scuola fiamminga. - La Maddalena penitente (sul rame).

61. Enrico Golzio (1558-1617). - Cristo che cade sotto la croce.

62. Battaglioli Francesco. - Prospettiva.

63 e 64. Bocchi Francesco. - I pigmei. Scene umoristiche.


65 e 66. Scuola del Poussin. - Paesaggi con macchiette.

67. Alessandro Bonvicino detto il Moretto (1498-1554). - Mosè al roveto ardente (affresco riportato sulla tela, sotto la volta).

SALA III.

1. Ignoto. - Nostra Donna, col Bambino e S. Giovanni (sulla tavola).

2. Floriano Ferramola (m. 1528). - Cristo che porta la croce (sulla tavola).

3. Carlo Maratta (1625-1713). - La Madonna col Bambino Gesù.

4. Padre Giacomo Cortesi da Bologna, detto il Borgognone (1621-1676). - Assalto di Gerusalemme (sulla tela).

5. Alessandro Bonvicino detto il Moretto ( 1498-1554). - Cristo seduto con un angelo tenente la veste (sulla te1a).

6. Ignoto. - Ritratto di donna (sulla tavola).

7. Andrea del Sarto (1478-1520). - La Madonna col Bambino ed altre figure (sulla tavola).

8. Giorgio Duranti (1683-1755). - Paesaggio con polli (sulla tela).

9. Ignoto. - Ritratto (sulla tela).

10. Lattanzio Gambara (1530-1573). - Apollo con amorino (affresco).

11. Francesco Albani (1578-1660). - La teletta di Venere (sulla tela).


 12. Ignoto. - Ritratto di un vecchio (sulla tavola).

13. Scuola bolognese. - S. Sebastiano (sulla tela).

14. Girolamo Romanino (1485-1566). - Ritratto (sulla tavola).

15. Giorgio Duranti. (1683-1755). - Gruppo di pollame (sulla tela).

16. Giorgio Barbarelli da Castelfranco detto Giorgione (1477-1511) Ritratto di Lodovico Ariosto (sulla tela).

17. Francesco Londonio (1723-1783). - Pastorella con pecore (sulla tela).

18. Rütter. - S. Celestino (sulla tela).

19. Scuola del Bonvicino. - La Sacra Famiglia (sulla tavola).

20. Alessandro Bonvicino detto il Moretto (1498-1554) La Pentecoste (sulla tela).

21. Ignoto. - Ritratto d’un frate (sul rame).

22. Cesare da Sesto. - Fiorì nella prima metà del secolo XVI. - Il Redentore giovinetto (sulla tavola).

23. Annibale Caracci (1560-1609). S. Francesco (sulla pietra di paragone).

24. Raffaello Sanzio d'Urbino (1483-1520). - Il Redentore (sulla tavola).

25. Jacopo Palma il giovane (1511-1628). Cristo che porta la croce (sulla tavola).

26. Ignoto. - Nostra Donna col Bambino e un angelo (sulla tela).

27. Francesco Bassano (1551-1594). - L’adorazione dei pastori nel presepio (sulla tela).


28. Ignoto. - Ritratto di Calvino (sulla tavola).

29. Ignoto. - Testa di vecchio (sulla tavola).

30. Antonio Calza (1653-1714). - Battaglia (sulla tela).

31. Ignoto. - La Sacra Famiglia (schizzo).

32 a 34. Giuseppe Cesari detto il Cavalier d'Arpino (1568-1640). La Religione, l’Abbondanza e la Giustizia (tre dipinti sul rame).

35. Giulio Carpioni (1611-1674). - Baccanale (sulla tela).

36. Scuola veneziana. - La Madonna col bambino (sulla tavola).

37. Ignoto. - L'Angelo che svela il mistero a S. Giuseppe (sulla tela).

38. Ignoto. - Ritratto (sulla tavola).

39. Scuola di Tiepolo (1692-1769). - La predicazione, di S. Vincenzo Ferreri (sulla tela).

40. Vittore Carpaccio (1450-1522). - Ritratto di Dante (sulla tavola).

41. Ignoto. – L’Angelo che appare ad Agar (sul rame).

42. Ignoto. - Madonna col Bambino e due santi (sulla tavola).

43. Ignoto. - Cristo nell’orto (sulla tavola).

GABINETTO E CORRIDOIO.

44. Lattanzio Gambara (1530-1573). - Ritratto dell’autore (affresco).

45. Lodovico Gallina (1752-1787). - Martirio di San Lorenzo.


46 e 47. Raccolta di incisioni antiche di vari autori.

48. Carlo Lasinio. - Otto acquerelli (copie d’affreschi del Campo Santo di Pisa, eseguite nel 1807 per commissione Tosio).

GABINETTO DELL'ELEONORA.

Antonio Canova (n. a Possagno il I° novembre 1757,m. il 13 ottobre 1822). - Eleonora d’Este.

Disegni d'autori antichi e moderni, tra i quali primeggiano Raffaello, G. Romano, Guercino, Bonvicino, Tempesta, Tintoretto, A. Appiani, P. Palagi, Bossi, Anderloni.

QUADRI MODERNI - SALA IV.

1. Faustino Pernici (n. a Brescia nel 1809, m. nel dicembre 1840). - Festa campestre.

2. Giovanni Migliara (n. ad Alessandria di Piemonte il 15 ottobre 1785, m. in Milano nel maggio 1847). - Interno della chiesa della Certosa di Pavia.

3. Giovanni Renica (n. a Bagnolo di Brescia viv.) La piazza del palazzo municipale di Brescia.

4. Giacomo Trecourt (n. a Bergamo, m. 1882) - La buona madre (sopraporta).

5. Orazio Vernet (n. a Parigi il 30 giugno 1789, m. nel 1864). - La notte.

6. Enrico Woogd. - Fioriva sul principio del nostro secolo. - Campagna romana (eseguito per commissione Tosio nel 1822).

7. Giovanni Renica (viv.) - Veduta di Desenzano.


8. Giacomo Trecourt. - I primi passi dell' infanzia (sopraporta).

9. Idem. - La prima lezione di musica (sopraporta).

10. Tommaso Castellini (n. a Brescia nel 1803, m. in Gussago nel 1869). - Vaso di fiori (dipinto sulla pietra di paragone).

11. Francesco Bassi detto il Cremonese dai Paesi (1642-1700). -Veduta di Aricia.

12. Luigi Basiletti (n. a Brescia nel 1780, m. 1860). - L'isola d'Ischia.

13. Gio. Battista Ferrari (n. a Brescia, viv.) – Abitazione alpina.

14. Giacomo Trecourt. - La prima lettura (sopraporta).

15. Faustino Joli (n. 1814, m. a Brescia il 22 settembre 1876). - Pastori con animali.

16. Giuseppe Canella (n. a Verona nel 1790, m. a Firenze il 22 settembre 1847). - Le tintorie di Rouen.

17. M. Granet (n. nel 1782 circa, fiorì nel principio del nostro secolo). - Coro di frati (eseguito nel 1829 per ordine Tosio).

18. Giuseppe Bisi (n. a Genova nel 1787, m. a Milano l'ottobre 1869). - Orlando e Rodomonte - dal poema dell'Ariosto.

19. Giovanni Franceschetti (n. a Brescia nel 1816, m. a Milano nel 1845). - Cane levriere (in scagliola).

20. Alberto Thorwaldsen (1770-1844). - Ganimede.


GABINETTO OTTAGONO.

21. Lorenzo Bartolini (n. a Savignano di Toscana nel 1777, m. a Firenze il 20 gennaio 1850). - Bacco pigiatore.

22 a 25. Faustino Joli (18111-1876). - Studi di paesaggio e bestie (quattro quadri).

26. Luigi Pampaloni. (n. a Firenze nel 1791 m. nel 1847) - La Preghiera.

GALLERIA DELLE STAMPE.

Raccolta di incisioni moderne di vari autori (esemplari distinti).

SALA V.

1. Cincinnato Baruzzi (n. ad Imola il 16 marzo 1796, m. a Bologna il 26 gennaio 1878). - Silvia-Tasso, Aminta, atto II. scena II.

2 e 3. Vasi di porcellana delle fabbriche di Sèvres. (Dono dell’imperatore Napoleone III).

4 a 9. Vasi giapponesi antichi.

10. Democrito Gandolfi. (n. 1796, m. 1874) - Il genio della Musica.

SALA VI.

I. Giuseppe Canella (1790-1847). - Veduta della città di Caen.

2. Idem. - Notte.

3. Giovanni Migliara (1785-1837). - Interno della Certosa di Pavia (sulla tavola).


4. Idem. Interno della basilica di S. Pietro in Roma.

5. Idem. Convento di monache (sulla tavola).

6. Giuseppe Canella (1790-1817). - Tramonto di sole..

7. Idem. - Il mattino.

8. Idem. - L'aurora.

g. Idem. - Molino olandese.

10. Idem. - Posada spagnuola.

11. Faustino Pernici (1809-1840). - Lato a sera del palazzo la Loggia in Brescia.

12. Giuseppe Borsato (n. a Venezia,viv.) - La riva degli Schiavoni in Venezia (sulla tavola).

13. Massimo D’Azeglio (n. a Torino il 21 ottobre 1778, m. il 15 gennaio 1856). - Ferraù e l'ombra d'Argalia dall'Orlando Furioso, di Ariosto.

14. Luigi Basiletti (1780-1860). - Rovine d’acquedotti nella campagna romana.

15. Giuseppe Bisi (1787-1869). - Un tramonto.

16. Giuseppe Borsato (n. a Venezia, viv.) – Nevicata sulla riva degli Schiavoni in Venezia(sulla tavola).

17. Federico Moja (n. a Dolo presso Venezia viv.). – Fiera campestre.

18. Giovanni Migliara (1785-1837). - La piazza dì S. Marco in Venezia.

19. Carlo Ferrari (n. a Verona, m. nel 1871). - Fiera di S. Michele presso Verona.

20. Giuseppe Canella (1790-1847). - Notte.

21. Giuseppe Bisi (1787-1860). - Tramonto.

22. Idem. - Paesaggio.


23. Massimo d’Azeglio (1801-1866). - La caccia col falco.

24. Luigi Basiletti (1780-1860). - Veduta di Napoli.

25. Carlo Ferrari (n. a Verona, m. nel 1871). - La benedizione del tempo.

CAPPELLA.

1. Pompeo Marchesi (n. a Milano nel 1790, m. il 6 febbraio 1858). - Il Redentore.

2. Giovanni Franceschetti (1816-1845). - Altare in marmo di Carrara.

3. Alessandro Algardi (n. a Bologna nel 1602, m. nel 1654). - Crocefisso (in avorio).lì

4. Raffaello Morghen (n. a Portici il 14 giugno 1761, m. a Napoli l’8 aprile 1833). - Il Cenacolo.

SALA VII.

1. Giovanni Franceschetti (1816-1845). - La Flora (statua).

2. Michele Boninsegna (n. a Manerbio, viv.) - Camillo Brozzoni.

3. Franceschetti. - L'Imperatrice Maria di Russia.

4. Giovanni Franceschetti (1816-1845). - Ritratto di Moglia

(bassorilievo).

La numerosa raccolta di studi dal vero di paesaggio esposta in questa sala è dono splendido, fatto all’Ateneo dall'egregio nostro pittore Giovanni Renica.


SALA VIII.

1. Alberto Thorwaldsen (1770-1844). - L'aurora (bassorilievo).

2. Idem. - La notte (bassorilievo).

3. Giuseppe Canella (1790-1847)  Il ponte nuovo sulla Senna a Parigi (tempra).

4. Idem. - Il palazzo delle Tuilleries e del Louvre a Parigi (tempra).

5. Giuseppe Ariassi (n. a Brescia, viv.) - Amorini. Copia da bassorilievo.

6. Giuseppe Bertini (n. a Milano, viv.) - Costumi romani (due acquerelli).

7. Giovanni Renica (viv.) - Paesaggi (acquerelli).

8. Luigi Bisi (n. a Milano, viv.) - Chiostro interno della Certosa di Pavia.

9. Giuseppe Bison (n. a Palmanova il 19 giugno 1762, m. a Milano il 24 agosto 1844). Paesaggio con macchiette (acquerello).

10. Faustino Joli (1814-1876). Studi di paesaggio.

11 e 12. Giovanni Renica ( viv.). - Paesaggi all’acquerello.

13 e 14. Gio. Battìsta Ferrarí (vív.) - Paesaggi.

15. Faustino Pernici (1809-1840). - Interno.

16 e 17. Idem. - Studi prospettici.

18. Giovanni Renica (viv.) - Paesaggio.

19 a 23. Giovanni Migliara (1785-1837). - Vari interni ed un paesaggio.


24. Federico Moja (viv.) - Interno d’osteria (imitazione del Téniers).

25. Ignoto. - Un amorino (bassorilievo in avorio).

26. Faustino Joli (1814-1876). - Contadini che accompagnano un carro di paglia, o l'estate.

27. Tommaso Castellini (1803-1869). - Fiori. -

28. Ignoto. - Ritratto d’uomo.

29. ignoto. - Madonna col Bambino (smalto).

30 a 32. Ignoti. - Ritratti.

33. Ignoto. - S. Francesco.

34. Ignoto. S. Maria Maddalena.

35. Ignoto. - Maria Vergine.

36 e 37. Faustino Joli (1814-1876). - Ritratti di cani-

38 e 39. Tommaso Castellini (1803-1869). - Fiori.

40. Giovita Lombardi (n. a Rezzato Bresciano nel 1835. m. a Roma nel 1876). - Fiori (bassorilievo in marmo).

41. Democrito Gandolfi (1796-1874). - Apoteosi di Napoleone I (bassorilievo in cera).

42 e 43. Gio. Battista Ferrari (viv.) - Paesaggi.

44 a 47. Luigi Nesti (n. a Milano, ivi morì). Ritratti (bassorilievi in cera).

48. Pietro Vergine (n. a Brescia l’11 luglio 1800,m. nel 1863). - La Carità (miniatura).

49. Idem. - Ritratto muliebre (miniatura).

50 e 51. Gio. Battista Gigola (n. a Brescia nel 1769, m. a Milano nel 1811). - Ritratti.

52. Gio. Sigismondo Müller (n. a Stuttgarda nel 1786, morì giovane). - Ritratto (miniatura).


53. Ignoto. - Beatrice Cenci (miniatura).

51. Simone Cantarini detto da Pesaro (1612-1618). - Madonna col Bambino.

55. Ignoto. - S. Giovanni.

56. Ignoto. - Ritratto di Albani.

57. Ignoto. - S. Francesco.

58. Co: Oldofredi Tadini - Paesaggio.

59 a 61. Giovanni Migliara (1785-1837). - Fabbrica di vetri - interno del Panteon a Roma - e Catacombe.

62. Ignoto. - S. Antonio (dipinto sopra conchiglia).

63. Sac. Stefano Fenaroli (n. a Tavernola sul lago, d’Iseo, viv.) - Lavoro aureografico - copia.

64. Luigi Basiletti (1780-1860). - Venere ed amore (sotto il volto).

65 e 66. Giovanni Seleroni (n. a Milano, viv.) - Giuochi infantili (bassirilievi).

67 a 69. Abbondio Sangiorgio (n. a Milano, m. 1881)

Ritratti di A. Volta, G. Galilei, e Scarpa (bassirilievi).

70 e 71. Giovanni Franceschetti (1816-1845). - Fiori (bassirilievi).

SALA IX.

1. Luigi Basiletti (1780-1860). - Veduta del lago d’Iseo-.

2. Giovanni Renica (viv.) - Le scaturigini dell’Adda.

3. Luigi Basiletti (1780-1860). - Veduta del capo Sunio.


4. Idem. - Tempio della Sibilla a Tivoli.

5. Gio. Antonio Morelli (n. a Gambara il 15 agosto 1779, m. il 17 aprile 1857). - La cascata di Terni (mosaico).

6. Faustino Pernici (1819-1840). - Veduta del castello di Trento.

7. Luigi Basiletti (1780-1860). - Il castello di Brescia.

8. Idem. - La tomba di Ettore.

9. Buet. - Il giuramento dei tre Svizzeri (acquerello).

10 e 11. Luigi Basiletti (1780-1860). - Disegni di paesaggio e fatti storici.

12. Giovanni Renica (viv.) - Veduta del paese di Subiaco.

13. Luigi Riccardi (n. nel 1807, m. a Milano il 29 giugno 1877). - Una burrasca.

14. Carlo Ferrari (n. a Verona, m. nel 1871). - Una fiera campestre.

15. Giuseppe Canella (1790-1847). - Marina sulle coste di Barcellona.

16. Giovanni Migliara (1785-1837). - Lavanderia in un monastero di monache.

17. Giovanni Renica (viv.) - Veduta del foro romano.

18. Luigi Bisi (n. a Milano, viv.) - Interno della chiesa di Bron presso Bourg.

19. Domenico Pesenti (n. a Medole, viv.) - Portico esterno di S. Celso in Milano (acquerello).

20. Michele Bisi (n. a Genova nell’aprile 1787, m. a Milano il 26 dicembre 1874). - La principessa Augusta, Amalia (disegno a penna).


21. Carlo Ferrari (n. a Verona, m. nel 1871). - Preghiera di frati (acquerello).

22. Giuseppe Bossi (n. a Busto Arsizio nel 1776, m. a Milano il 9 dicembre 1815). - Schizzo a penna.

23. Michele Bisi (1787-1874). - Un prete armeno (acquerello).

24. Giovanni Franceschetti (1816-1845) - La Beatrice di Dante (busto).

25. Cincinnato Baruzzi (1796-1878). Saffo (busto).

SALA X.

1. Francesco Hayez (n. a Venezia nel 1792 viv.)- Incontro di Giacobbe ed Esaù.

2. Luigi Sampietri (n. a Pontevico nel 1802, m. a Brescia nel 1853). - Ritratto di un frate.

3. Michele Bisi (1787-1874). - La morte del Giaurro (tempra).

4 e 5. Gio. Battista Gigola (1769-1841). - Socrate e Alcibiade, scene della vita greca. Miniature sulla pergamena.

6. Giacomo Trecourt (n. a Bergamo, viv.) - Ossian e Malvina.

7. Angelo Inganni (n. a Brescia, ivi morto). - Laocoonte (copia dall’Hayez).

8. Giuseppe Molteni (n. a Milano, m. nel 1867). - La signora decaduta.

9. Natale Schiavoni (n. a Chioggia il 25 aprile 1777 m. a Milano il 17 aprile 1858). - Venere coricata.


10. Alessandro Sala (n. a Brescia il 10 settembre 1771, m. il 18 giugno 1841). - La danza degli amori (copia dall’Albani, sul rame).

11. Andrea Appiani (n. a Milano il 23 marzo 1754, m. l'8 novembre 1817). - La teletta di Giunone.

12. Giuseppe Bezzuoli (n. a Firenze nel 1784, m. il 13 settembre 1855). - La Galatea (sul rame).

13. Andrea Appiani (1754-1817). - La Madonna con il Bambino.     

14. M. Granet (n. nel 1782 circa). - Scena di monache (eseguito per ordine Tosio nel 1832).

15 a 22. Incisioni diverse moderne.

23. Achille Glisenti. - Morte di Cleopatra.

24. Mario di Scovolo. - Paesaggio storico.

SALA XI.

1. Francesco Hayez (n. nel 1792, viv.) – L’addio di Saladino (litografia).

2. Angelo Inganni (viv.) - Lo spazzacamino.

3. Eliseo Sala (n. a Milano, viv). - Pia de’ Tolomei.

4. Modesto Faustini (n. a Brescia, viv.) - Gli amori degli angeli.

5. Angelo Inganni (viv.) - Ritratto d’una signora, istitutrice di un pio ospizio.

6. Gallo Gallina (n. a Cremona nel 1796, m. a Milano nel 1874). - Agar e Ismaele nel deserto.

7 a 9. Faustino Joli (1814-1876). - Animali.

10. Luigi Basiletti (1780-1860). - Niobe.


11. Luigi Sampietri (1802-1853). - Ritratto dell’autore

12. Gaspare Landi (n. a Piacenza nel 1756, m. a Roma il 24 febbraio 1830). - Ebe che abbevera l’aquila di Giove.

13 e 14. Faustino Joli (1814-1876). - Animali. Studi dal vero.

15. Gabriele Rottini (n. a Brescia 1797, m. 1858). La morte di Scomburga.

16. Pelagio Palagi (n. a Bologna il 15 maggio 1775, m. a Torino il 6 marzo 1860). - Newton scopre la teoria della rifrazione della luce.

17. Idem. – L’educazione d’amore.

18.Idem. - La Maddalena nel deserto.

19. Andrea Appiani (1754-1817). - Disegni di teste.

20. Carolina Baruzzi (n. a Bologna l’11 luglio 1805,m. a Firenze l’8 agosto 1860). - Ritratto muliebre.

21. Andrea Appiani (1754-1817). - Disegni di testo.

22. Natale Schiavone (1777-1858) Madonna col Bambino (sul rame).

23. Luigi Basiletti (1780-1860). - Ritratto.

24. Tommaso Castellini (1803-1869). - Fiori.

25 a 28. Incisioni. - Fatti della storia antica e moderna.

29. Modesto Faustini. - Pila dell'acqua santa in San Pietro di Roma.


SALA XII.

1 e 2. Giuseppe Diotti (n. a Casalmaggiore nel 1779, m. a Bergamo il 30 gennaio 1846). - Due disegni.

3. Giuseppe Bezzuoli (1784-1855). La scuola d’Atene (copia da Raffaello).

4. Michelangelo Gregoletti (n. a Pordenone nel 1801, m. a Venezia l’11 febbraio 1870). - Ritratto dell’incisore Longhi.

5. Lodovico Lipparini (n. a Bologna il 17 febbraio 1802. m. a Venezia il 19 marzo 1856). - Il corsaro greco.

6. Gabriele Rottini (1797-1858). - Ritratto di Agostino Gallo.

7. Giuseppe Molteni (viv.) - Il piccolo spazzacamino.

8. Giacomo Trecourt (viv.) - Costume del secolo XII.

9. Giuseppe Diotti (1779-1846). - Costume greco antico.

10. Angelo Inganni (viv.) - Stalla con filatrici.

11. Idem. - Un villano che accende il lume.

12. Michelangelo Gregoletti (1801-1870). - Un Armeno.

13. Gabriele Rottini (1797-1858). - Ritratto di Nicolò Tartaglia.

14. Andrea Appiani (n. a Milano, m. nel 1865). - La fuga di Bianca Capello.

15. Angelo Inganni (viv.) - Accampamento di Zuavi sulle mura di Brescia, 1859.

16. Angelo Inganni (viv.) - Ritratti.


17. Giuseppe Sogni (n. a Robbiano il 17 maggio 1795, m. a Milano l’11 agosto 1874). - Ila scoperto dalle Ninfe.

18. Angelo Inganni (viv.) - Un villano che accende il lume.

19. Giov. Battista Dragoni (n. a Brescia il 26 maggio 1801, m. il 3 maggio 1860). - Candelabri (copie a contorno da Raffaello). Logge del Vaticano.

20. Francesco Filippini. - La morte di Caligola.

21. Antonio Tantardini (1829-1879). - Una bagnante (statua).

SALA XIII.

1. Francesco Podesti (n. ad Ancona, viv.) - Torquato Tasso legge la sua Gerusalemme dinanzi alla corte Estense.

2. Giuseppe Diotti (1779-1846.). - Il conte Ugolino nella torre di Pisa.

3. Felice Schiavoni (n. a Venezia, viv.) - Raffaello e la Fornarina (sulla tavola).

4. Francesco Hayez (n. nel 1792, viv.) - I profughi di Parga, 1819.

5. Giovanni Franceschetti (1816-1845). - Fiori in plastica.

6. A. Salvetti. - Acquerello.


SALA XIV.

Raccolta di stampe moderne (prove distinte).

Pietro Marone (1548-1625). - Il sogno di S. Pietro (sotto la volta).

SALA XV.

1. Luigi Ferrari (n. a Venezia nel 1810, viv.) - Laocoonte (gruppo in marmo).

2. Alessandro Bonvicino detto il Moretto (1498-1554). La Madonna col Bambino e diversi Santi.

3. Girolamo Romanino (1485-1566). - S. Paolo, San Giovanni ed altri Santi.

4. Democrito Gandolfi (1796-1874). - Napoleone I (busto in marmo).

5. Idem- - Lo scultore Canova (busto in marmo).

6. Gaetano Monti da Ravenna (1776-1817). - Galileo Galilei (busto in marmo).

Porta Matolfa.

Trovavasi qui presso (1); e il più antico documento a me noto che la ricordi è un contratto del 1041 (2) di vendita di un fondo intra porta Matulfi. È rammentata nel secolo consecutivo dalle cronache di Ardicio, come in altri documenti del secolo XIII (3); e nel Lib. Poteris Brix. al Registro De viis factis.... in Circha si descrivono quelle da Porta Matulfi usque ad NAVILIUM, et a Navilio usque od portam Cirche de strata Porta Matulfi, etc., sicut clau-

 

(1) Era al crosale sopra S. Barnaba, alla fontana che va verso S. Pace. - Nassino, Memorie autog. Quirin. cit.

(2) Cod. Dipl. Quirin. t. IV, sec. XI, autog. perg.

(3) Astezati, Com. Manelm. pag. 38, a. 1239. - Indice dei Documenti Giuliani, an. 1207. Cod. Quirin c


dunt NAVILIUM et strata. Quel Registro è del 1237 (1). Ora di essa non è più traccia.

Porta S. Alessandro.

Innalzavasi nel secolo XIII non molto lungi dalla porta delle pile dei Torzani; e di questa pure non è più avanzo alcuno, sendosi l’attual Porta in altro luogo eretta, quando venne compreso nell’ambito delle mura il borgo di quel nome.

Porta N. Nazaro e la Stazione della Via Ferrata.

Abbiam già detto dell’antica, porta di S. Agata (rammemorata nei documenti nostri fino dal secolo XIII) (2), e di quelle di S. Nazaro e di Campobasso. A tutte queste nell’ultimo allargamento delle mura fu sostituita la rocca e porta ad un tempo di S. Nazaro.

La quale, atterrata da poi, diede luogo alla porta cha ora dicesi Porta della stazione.

Adduce questa per largo viale alla prossima stazione della via ferrata: edificio più vasto che bello e che racchiude, cogli uffici della stazione, le sale dei forestieri, un’ampia tettoia, le fila dei magazzini, tutto che riguardi il movimento, le attribuzioni moltiplici di una stazione.

Fu non ha guari ampliato d’assai cosicchè l’ambito degli edifici e magazzini ferroviari si estende fin presso le

(1) Liber Poteris Brix. pag. 236.

(2) Lafranco de porta S. Agathes leggeva il Luchi in un atto del 1189. Cod. Dipl. Brix. cit. pag. 199.


porte S. Alessandro. E in quest’anno medesimo nel piazzale attiguo alla stazione ferroviaria fu elevata la stazione per le varie linee dei tramways che diramano a Vobarno, a Gardone e ad Orzinuovi. Altra simile stazione sorse presso porta Venezia per la linea Brescia-Castiglione-Mantova.

A pochi passi dalla ferrovia fa di sè dolce invito l’amenissimo giardino che il benemerito Camillo Brozzoni lasciava all’amatissima sua patria.

A non parlare della delizia del luogo e dell’accorta e svariata disposizione delle serre, delle macchie, di quanto gli accresce vaghezza e leggiadria, vi si ammirano intorno a quattrocento specie di Echinocacti e Mammillarie oltre a più di cinquecento varietà di Coniferi, di Resinosi, e sempre verdi. Un bosco di Camelie da oltre un migliaio di varietà, delle quali sono a notarsi le più recenti e più rare. Nè vuolsi dimenticata la raccolta singolarissima, delle Palme, delle Cycadee, e di tanta e così bella varietà di fiori, che è un incanto a vederli.

Porta S. Giovanni.
(Porta Milano)

Così chiamata perchè un tempo vicinissima alla chiesa di quel nome. Il più antico cenno a me noto è del 1110 (1). Ma pure di quel tempo doveva trovarsi al di qua della basilica, la quale certamente un anno prima era subur-

(1) Breve recordationis de Ardicio de Aimonib. Cron. cit. pag. 98. Portam S. Joannis occupaverunt.


bana (1). Negli atti relativi all’allargamento delle patrie mura, decretato ed eseguito intorno al 1237, si parla chiaramente delle due porte; la vecchia e la nuova di S. Giovanni per non dirvi di un’altra dello stesso nome, detta cioè della Cerchia di S. Giovanni (2).

Da nessuno per avventura fu avvertito un doppio ordine di porte, che in quel tempo adducevano alla nostra città. Le porte propriamente dette, e le porte della cerchia p. e. di S. Giovanni, di Campobasso, di S. Nazaro, di Porta Nuova ecc. (3).

Riampliato ne’ secoli posteriori l’ambito delle muraglie cittadine sino ai termini attuali, si alzarono a ciascuna delle porte maggiori altrettante rocche; e la rocca di S. Giovanni sorgea massiccia, irta di bastioni, di torri, di spaldi gagliardissimi, e contenne assai volte l’impeto e la rabbia dell’irrompente nemico. L’ultimo resto di quel forte venne distrutto per dar luogo alle nuove porte, composto di due casini ed un cancello; bellissimo pensiero dell'architetto municipale Luigi Donegani.

 

(1) A. 1109. In suburbio civ. Brix. apud eccl. S. Joannis. Doc. cit.

(2) Liber de viis factis et designatis in Circha. (Ext. in Lib. Poteris Brix. car. 233).... De Ponticello usque ad portam veterem S. Joannis, et ab eis usque ad portam de Albara et portain novam S. Joannis.

(3) A porta Veteri S. Joannis usque ad portam veterem Campi Bassi, et ab eis usque ad portas Cirche, scilicet portam Cirche Campi Bassi et portam Cirche S. Joannis. - Liber cit.


Il Camposanto.

Come dalla culla al sepolcro, dalla città dei vivi a quella dei morti è breve tratto.

Fuori porta S. Giovanni apresi a manca del pubblico stradale un’ampia via, che fiancheggiata da funerea selva di cipressi con bell’ordine disposti, conduce al Camposanto. È all’estremo di quel viale un vasto emiciclo, coronato anch’esso di pini, fra le cui brune masse biancheggiano quinci e quindi marmorei monumenti; e quell'emiciclo è chiuso dalla fronte dell’edificio, che sorge quadrangolare in mezzo alla campagna.

Vietata con decreto 5 settembre 1806 la sepoltura nelle chiese e negli annessi sagrati (nelle chiese di Brescia numeravansi 1087 avelli), fu nel 1808 comperato il terreno, benedetto ai 19 gennaio 1810 da mons. vescovo Gabrio Maria Nava di santa memoria, e si cominciò a seppellirvi il giorno dopo, continuando a portare al Fopone, fuori porta. S. Alessandro, i morti degli spedali.

Accolto nel 1815 il disegno del giovine, architetto Rodolfo Vantini, fu il dì 8 novembre posta con solennità la prima pietra, con queste parole del Morcelli: VI id. nov. An. MDCCCXV Gabrius Maria, Nava pont. eccles. brix. ad religionem cenotaphii publici auqendam spatio aediculae aedificandae so1emnibus coerimoniae dicato 1apidem sacrum auspica1em statuit.

Al disegno della chiesa era unito il progetto del portico esteriore per sepolcri di famiglia, formante a settentrione la facciata: il quale, approvato nel luglio 1816, fu


Invito a nuovi pensieri, e stimolo per l'architetto alla ricerca di quegli argomenti de’ quali riuscì fino maestro onde seppe condurre innanzi e assicurare il compimento, dell’edifizio.

Nel 1821 il progetto compiuto del camposanto venne premiato dall’ateneo di Brescia.

Il progetto era la continuazione esteriormente del portico, interiormente del colombario, per tutti i lati, interrotti a mezzo, come dalla chiesa nella facciata, così nei tre altri lati da una sala per cospicui monumenti. Ai grandi viali dell’ingresso, alla piazza semicircolare dinanzi, aggiungeansi grandi viali intorno, sparsi di cippi, con le abitazioni del cappellano e del custode ai due angoli a settentrione, e due edicole agli angoli di mezzodì. In chiesa, dove ordinate in giro nella parete in proprie nicchie son tredici erme di santi bresciani, esser doveano altrettante olle cinerarie, alcune con nomi di cittadini levati in fama, le più senza nome, quasi aspettandolo. E dal portico e dalle sale non si escludea la pittura ad avvivar memorie di amate persone od a rappresentar sacri misteri e innalzar l’anima alle immortali speranze. Tale cantò nel 1823 Cesare Arici il Camposanto, imaginandolo sin d’allora finito, notabilmente diverso da quello che è. Nel poeta è anche l’idea del faro, suggeritagli probabilmente dall’architetto che vi pose poi tanto amore, ma non espressa nel disegno.

Il 29 settembre 1824 mons. VescoVo Nava benedisse la chiesa e vi celebrò la prima volta.


Collocaronsi nel 1826 le tredici erme di santi bresciani, che furono perchè esprimessero fedelmente bresciane fisonomie, altrettanti ritratti di persone viventi. S. Alessandro è lo stesso Vantini. Si collocò nel 1827 l’arcangelo Michele; finironsi nel 1831 i due grandi leoni e le due donne piangenti: opere tutte dello scultore Democrito Gandolfi.

Il tempietto in forma di Piramide, monumento dedicato al beato Bossini, le cui reliquie non vi furono ancor trasportate, venne cominciato nel 1843, finito nel 1856. L’architetto presentò alla fine del 1849 i disegni del faro, tosto cominciato, e compiuto nel 1864, allorchè da otto anni era spenta la fantasia che lo aveva imaginato. Ne diressero gli ultimi lavori Giuseppe Cassa, poi

Alessandro Sandri, architetti della fabbrica dopo il Vantini di cui furon discepoli: ai quali succedette, altro discepolo, Giuseppe Conti nel 1871.

La Sala a metà del portico semicircolare a mezzodì, maggiore delle altre, fu destinata a monumenti pubblici, ed avendo nel 1841 il nostro pittore G. B. Cigola fatto erede l’Ateneo di Brescia, con obbligo di erogare in perpetuo la rendita (L. 5000) in porre nel Camposanto monumenti a bresciani illustri, tosto nacque il pensiero di accogliere tali monumenti in quella sala. L’architetto

Cav. Giuseppe Conti, mantenendo in tutto esteriormente i disegni del suo maestro, fece alcune mutazioni dentro e ampliamenti, richiesti dall’intendimento maggiore, in ispecie il grande ossario sotto, e ne condusse la costru-


zione che sinora costò L. 150.000, e per avanzare ha bisogno di nuovi aiuti, già in parte stanziati dal Municipio. - Un monumento decretato dall'Ateneo al Cigola, miniatore insigne, opera di G. B. Lombardi, aspetta sino dal 1864 di essere collocato. (Trovasi provvisoriamente sotto l’atrio del palazzo liceale). Son due belle figure al vero: la Pittura che commette alla Scoltura di porre monumenti a benemeriti cittadini.

Un altro monumento onorario decretò l’Ateneo col denaro Cigola ai Prodi caduti per la nostra indipendenza ; commesso per concorso allo scultore Luigi Pagani di Milano, fu collocato nell’arca del portico semicircolare da Teresa Boroni Semprebuono acquistata con generoso pensiero nel 1848, al cominciar delle nostre guerre, pe’ valorosi che vi perissero. Suggellata dopo il 1848 e quasi tenuta occulta, riaperta dal cannone di Magenta, accolse nel 1859 e di poi 14 italiani, 13 francesi, bresciani 2 soli, il maggiore Agostino Lombardi, caduto a Cimego (1866): e Tito Speri trasportatovi nel 1867 dai bastioni di Mantova.

L'eredità Cigola verrà col tempo accumulando nel nostro cimitero molti nobili ricordi e opere d’arte preziose.

Sono alcuni modestissimi cippi ne’ viali d’ingresso: uno al medico Stefano Giacomazzi morto nel 1830, postogli dagli amici: un altro a don Bernardino Marzoli morto nel 1835, ingegnoso trovatore di alcuni strumenti d’ottica. Nell'emiciclo v’ha monumenti più notevoli. Quello del generale Teodoro Lechi m. nel 1866, la Mestizia, è


del Tantardini: quello dell'avvocato Gio. Batt. Barboglio è opera di G. B. Lombardi : quello a dieci artisti bresciani fu posto nel 1835 dal Vantini a sue spese, con iscrizioni di L. Lechi. Altri ricordano Sigismondi Brozzoni, il generale Giuseppe Lechi m. nel 1836, il generale austriaco Nugent caduto combattendoci nel 49, Narciso Bronzetti caduto nel 59 a Tre Ponti, il Lombardi caduto a Cimego (1866), suo fratello perito in America, Camillo Guerini morto nel 61...

Opere di maggior pregio ornano le tombe di famiglia. Nel portico a mattina della chiesa il Redentore coll’Angelo della preghiera all’arca Valotti , e la donna genuflessa colla fanciulla all’arca Maffei-Erizzo sono del Sangiorgio: del Gandolfi la donna composta sul feretro all'arca Martinengo Cesaresco. All’arca Tosi-Avogadro scolpì Gaetano Monti in bassorilievo la vedova dinanzi al busto del marito, il Tosio, che legò a Brescia, con altri benefici, la preziosa Pinacoteca. Sono del Fraccaroli, nella cella all’angolo in fine del portico, il monumento posto da alcuni cittadini a Cesare Arici m. nel 36 (un busto, il ritratto del poeta, e un bassorilievo esprimente la Pastorizia), e il monumento dedicato dal Municipio a’ suoi benemeriti magistrati (Brescia che ne scrive i nomi): del Sangiorgio l’anima che dall’urna del podestà Giovanni Calini s’innalza al cielo nel simbolo d’una fanciulla: di Leone Buzzi e del Somaini il monumento posto a Gaudenzio de Pagave dalla erede città di Novara. Nel portico a ponente della chiesa il grazioso bassorilievo all’arca


Monti e la religione assisa sull’arca Noy sono di A. Labus, quello de’ primissimi, questo degli ultimi suoi lavori: e meritano all’arca Gussago e ad altre d'esser notate le scolture decorative di Giovanni Rizzerio Palazzi, e di Giovita Lombardi all’arca Venturi.

Nell’ala di sera è del Seleroni il gruppo di tre figure quasi al vero all’arca Balucanti: di Rizzerio Palazzi il lavoro di decorazione all’arca Raineri: di G. B. Lombardi il fanciullo co’ pellicani all’arca Mazzucchelli e all’arca Maggi-Via il ritratto al naturale del Maggi stesso in atto di soccorrere di limosina alcuni poveri: di Emanueli la Madonna alla tomba Rovetta. Ricompare il Lombardi con la bella figura della Memoria all’arca Richiedei; coll’Angelo che alla tomba Lana invita l’anima a uscir dal sepolcro: e dal lato di levante con la donna velata all’arca, Dossi in atto di visitare la cella mortuaria del defunto marito; alla tomba Zoppola coll’Angelo della Risurrezione;  all’arca Pitozzi colla Mestizia; all’arca Dusi colla preghiera; e alfine col busto del d.r  B. Guala nel faro. Di nuovo il Seleroni nel basso rilievo alla tomba Longo; nella vedova desolata alla tomba Bellotti; nell’Angelo del dolore all’arca Federici; nel tempietto Bossini dove effigiò il pio sacerdote genuflesso in orazione dinanzi all’imagine di Maria dipinta dall’Hayez, e nel faro dove, pure effigiò al vero l’architetto Vantini per commissione di lui stesso che volle risparmiarne la spesa alla gratitudine de' concittadini. Fece Tabacchi i due giovinetti fratelli alla tomba Cuzzetti che visitano i genitori spenti a un’ora stessa dal truce1 colera; Faitini l’anima ch’esce dalla tomba Cottinelli; Boninsegna l’affettuoso bassorilievo alla tomba Facchi e il busto alla tomba Capretti ornata da Giovanni Cargnoni. È nobil opera del Sangiorgio il monumento di Camillo Brozzoni nella sala del lato a sera. Dal lato stesso nel portico è fattura di Seleroni il ritratto di Giovanni Tavelli; è di G. Croff il bassorilievo a ricordo di Federico Sacchini ; ed è di Emanueli il busto del beato Bossini nella sagristia donato da Francesco Carini.


Oltre Arici, cantarono del nostro cimitero Giuseppe Nicolini nel Due novembre, Pietro Galvani in Una notte al Camposanto di Brescia, e qualche bel verso gli consacrerà Antonio Gazzoletti nella sua meditazione Sui ronchi.

Monumenti privati.

Palazzo Martinengo Cesaresco.

(Contr. S. Brigida, n. 358).

È una delle fabbriche più corrette e più gentili della nostra città, e forse ancora di qualche altra fra le lombarde. L’atrio poi non può essere nè più classico, nè più grazioso; e duolci che non per anco se ne conosca l’architetto, il quale diresti emulo quasi di Andrea Palladio. Se mi è pur lecita la congettura lo terrei pensiero del bresciano Lodovico Beretta. Jacopo Medici, bresciano anch’esso, e scolaro del Sansovino, scolpì le figure della porta.


 Palazzo Maggi della Gradella.

(Alla Carità, n. 8).

E questo ancora direbbesi del nostro Beretta. Severo e giudizioso nell’arte propria, fioriva intorno alla metà del secolo XVI, ed era in quel tempo l’architetto municipale. Veramente, la semplicità, la castigatezza delle forma di questo edificio lo avvertono di quel valentuomo.

Casa in contr. del Novarino, n. 204.

Notevole per le scelte sue forme architettoniche e belle decorazioni del secolo XVI.

Palazzo Martinengo del Novarino.

(Piazza del Novarino, n. 495).

In una saletta del quale sono otto imagini a buon fresco di robusta maniera, del Moretto.

Casa già di Lattanzio Gambara.

Era a tergo del Vescovato, n. 318. Il povero pittore aveva i suoi nemici, ma non credevali degni dell’ira sua

“Ond’ei ci lieto n’andava a sua salita

Non li curando" (1).

Epperò avea dipinto su questa casa la Verità rivendicata dal tempo, e un Atlante colle parole, - Indefessus labore. Sparve l’oscuro nome dei suoi persecutori; ma la memoria del suo magnanimo silenzio restò. Dei dipinti del Gambara restano solo pochi avanzi sotto l’atrio della casa.

(1) Manzoni. In morte di Carlo Imbonati. - Sciolti.


Albergo del Gambero.

Forse il più antico della città.

Pare che fino dal secolo XVI fosse il più splendido e frequentato; poichè a togliere la contesa che tra il conte Giorgio dei Martinenghi, meritamente chiamato dai francesi il superbo italiano, e la città di Brescia, per la preminenza dell’aversi ospite la duchessa di Mantova, faceva intendere questa, che sarebbe smontata all’osteria del Gambero; ma Giorgio, fatta levare l’insegna di quel1’albergo ed appendere in sulla porta del suo palazzo, obbligò la Gonzaga, con uno scherzo che la storia ha notato, a preferirlo.

Casa in contr. Dolzani n. 1453.

La marmorea fronte di questo casino è rimarchevole per l’eleganza dello stile e pei fregi, un po’ soverchi a dir vero, ma del bel secolo dell’arti.

Palazzo Martinengo Della Fabbrica ora Salvadego.

Grande omissione fu certamente quella del Sala nel passar oltre dinanzi al palazzo Martinengo di cui parliamo, il più grandioso fra i privati edifici della nostra città. Di elette ad un tempo e semplici forme ne sorge il portico di fronte al cortile; e benchè l’altre sue parti risentano del secolo e dei modi vanvitelliani è però in esso tale ampiezza di concetto da renderlo per ciò solo notabilissimo.


La sovrapposta galleria si decorava di quelle insigni armature da cavallo e cavaliere compiuto di tutto punto, che, vendute a Carlo Alberto re di Sardegna, passarono quale prezioso ornamento nella reale armeria di Torino.

Bellissima poi è una saletta prospiciente sul giardino tutta dipinta a fresco, opera notevolissima attribuita al Bonvicino, e certamente sono di quel grande artista tre degli otto ritratti femminili simmetricamente disposti due a due sulle quattro pareti.

Guillaume.

(Casa in contr. S. Francesco, n. 1966).

Ha una sala terranea coperta di grandiosi affreschi del nostro Lattanzio, condotti nel 1568, e rappresentanti il diluvio universale.

Casa Brunelli (contr. S. Cosmo).

Fornita di pregievoli pitture, tra le quali

Una Presentazione al tempio del Romanino. (Hieronimus Romani Brix. 1522).

Quattro diligenti lavori di Calisto da Lodi, formanti un solo complesso. Il Presepio, due apostoli laterali, e un Ecce-Homo per sopraquadro. (Calixuvs Lavdensis Faciebat 1524)

I SS. Stefano, Gerolamo e Pietro, del Romanino.

Una Madonna col Precursore ed un martire, della stessa mano.


Una tavola di antico e buono stile, rappresentante la B. V. coi SS. Giovanni e Giuseppe.

Casa Averoldi (contr. del Lauro n. 1848-49-50).

Possiede diversi dipinti del Romanino, fra i quali è a distinguersi un Redentore sotto il peso della croce. V’ha un Presepio attribuito al Foppa; un Cristo nell’orto, che vuolsi del Moretto; il ritratto di Altobello Averoldo d’ignota mano, ma di mirabile condotta, ed altre non ignobili tele, con un Salvatore, marmoreo lavoro del bresciano Franceschetti.

Casa Lechi (corso Vittorio Emanuele).

La famiglia Lechi vantava anni sono una galleria che per la scelta e pel numero dei quadri poteva noverarsi fra le distinte di Lombardia, ma alcuni dei più rari furono venduti ed ora la collezione è ridotta ai seguenti, pure molto pregievoli.

Albano. Un riposo in Egitto (?)

Carracci. La Deposizione, dipinta sul rame, e un San Francesco genuflesso.

Correggio. Due teste di angeli maggiori del vero.

Cima da Conegliano. Madonna col bambino.

Cagliari (Paolo Veronese). Mosè salvato dalle acque. -Battesimo di S. Caterina, descritto dal Ridolfi (1), e due angioletti.

(1) Vite dei Pittori ven. citati. - Paolo Cagliari.


Francia. Una soave imagine di Maria; - tavola.

Gaudenzio Ferrari. Madonna col bambino; - altra tavola.

Guercino. Adamo ed Eva. - S. Francesco. - Soffonisba.

Gambara. L’Assunta, già nel Carmine di Salò, laudata dall’Averoldi (1), nè ritenuta a torto per un capolavoro di quel pittore insigne.

Giorgione. Orfeo ed Euridice; vuolsi che nelle sembianze di Orfeo siasi il Giorgione ritrattato egli stesso.

Mantegna. Tavola rappresentante la Madonna col bambino, e S. Gerolamo.

Moretto. S. Giovanni Evangelista. - Ritratto di un vescovo. S. Caterina (n. 68 nell'elenco di famiglia tra gli incogniti). Altri ne ometto al medesimo attribuiti.

Morone. Fra l’altre cose, il ritratto maraviglioso di un Savelli, forse quella tela che il Chizzola attribuiva a Tiziano (2), e che dicea famosa. - Altra imagine di un sacerdote seduto.

Ogionno. Una Madonna coll’estinto Gesù; - tavola.

Orbello. Il giudizio di Paride. - Galatea ed Aci. -Il ratto di Proserpina. - La fuga di Elena.

Palma il giovane. La flagellazione (su pietra lavagna), ed un S. Rocco.

Parmigianino. Una Madonna col bambino, ed una tela in tre spartimenti, cioè l’Assunta, un vescovo, il Redentore.

(1) Pitture di Brescia cit. pag. 275.

(2) Pitt. e scolt. cit. Pitture del palazzo Ugeri.


Rigaud. Ritratto di personaggio illustre.

Romanino. Madonna che allatta l’infante Gesù, con S. Barbara.

Sarto (Andrea del). Ritratto dell’avvenente ed infedele sua moglie Lucrezia del Fede.

Savoldo da Brescia. Ritratto di un certosino. È noto quanto rade siano presso noi le cose di questo valentuomo.

Salmeggia. L’Assunta.

Sprangher. L'adorazione dei pastori.

Tiziano. Il riposo in Egitto; Venere e Marte colti nella rete; la fuga in Egitto; è forse un ritratto di se stesso.

Tintoretto. L’Annunciata. Una delle tele più preziose di questa galleria.

Wandick. Ritratto di magistrato, da noverarsi tra le più felici produzioni di quel fiero e vigoroso pennello.

Eccoti, o gentile che mi seguisti, quanto parvemi non indegno di ricordanza. Se fui minuto ricercatore di memoria antiche, sovvienti che non altramente n’avremmo la storia dei monumenti nostri, e riparata la noncuranza de’ miei predecessori. So ti parve fuor di luogo il cenno di patrie venture che agl’illustrati monumenti si riferiscono, ricordati che da que’ fatti risulta più che per altro alcuna volta la loro celebrità. Se credi ch’io dovessi numerare, e nulla più; soffocare dentro di me le mie


stesse impressioni, vorrei persuaderti ch’io non ho inteso redigere un inventario. Brevemente: se in alcun lato io ti piacqui, ed ecco adempiuto il massimo de’ voti miei. Se poi m’avessi avuta la disfortuna di riuscire ad annoiarti, credimi proprio che non l’ho fatto a posta.

Così pur fosse che l’amore della terra in cui sono nato avesse in queste pagine trasfuso alcuna cosa di non indegno del tuo compatimento. Oh patria!

Te sine, nil altum mens inchoat (1).

(1) Virgil. Georg. lib. III. V. 42.