L'antica guida della città di Brescia alla metà dell'ottocento.

Testo di Federico Odorici con la descrizione dell'ambiente cittadino del 1800, visita guidata ai monumenti antichi e moderni, arte e resti storici con commenti..


 F. ODORICI
GUIDA DI BRESCIA

RAPPORTO ALLE ARTI ED AI MONUMENTI ANTICHI E MODERNI

testo riprodotto dalla

SECONDA EDIZIONE RIVEDUTA DALL'AUTORE

BRESCIA
STEFANO MALAGUZZI, LIBRAIO-EDITORE
1882

Stab. Stereo-Tip. Di G. Bersi e C.


 PREFAZIONE.

Come al solito di tutto le Guide monumentali che, mutate più o meno col volgere dei tempi le condizioni edilizie dei luoghi dalle medesime descritti, avvertono il bisogno di essere alla volta loro, ed a norma dei seguiti cambiamenti qua e colà modificate, così avveniva della GUIDA DI BRESCIA da me pubblicata già dal 1853.
E però, desiderando il Malaguzzi ripubblicarla, pregommi di quelle rettificazioni che fossero volute dallo stato presente delle cose. Ecco l'intento, di questa nuova edizione.
Era quindi necessario, a me lontano dalla patria, che qualche gentile versato nella storia dei nostri monumenti, provvedesse alle aggiunte ed alle modificazioni seguite nel corso di mezzo secolo, dal lato edilizio in questa città, ed a quelli che ebbero la cortesia di assumere questo compito, porgo le più sentite mie grazie.


 INDICE

PARTE PRIMA:

MONUMENTI PUBBLICI. Sacri.

Camposanto Pagina 141
Carità Pagina 41
Il Carmine Pagina 105
Le Consolazioni Pagina 104
Duomo nuovo Pagina 29
Duomo vecchio Pagina 18
Episcopio Pagina 39
B. V. dei Miracoli Pagina 77
B. V. di Mercato Lino Pagina 76
Orfanotrofio della Misericordia Pagina 115
La Pace Pagina 87
S. Afra Pagina 63
S. Agata Pagina 88
S. Agnese Pagina 86
S. Agostino Pagina 35
S. Alessandro Pagina 67
S. Ambrogio Pagina 90
S. Barnaba Pagina 62
S. Benedetto Pagina 40

 


 

S. Carlo e Casa di Dio Pagina 77
S. Chiara Pagina 102
S. Clemente Pagina 42
S. Corpo di Cristo Pagina 54
SS. Cosmo e Damiano Pagina 85
S. Domenico Pagina 71
S. Eufemia Pagina 60
S. Faustino in riposo Pagina 103
S. Faustino maggiore Pagina 99
S. Filastrio Pagina 26
S. Francesco Pagina 83
S. Gaetano Pagina 61
S. Giorgio Pagina 97
S. Giovanni Evangelista Pagina 107
S. Lorenzo Pagina 73
S. Luca Pagina 69
S. Maria Calchera Pagina 59
S. Maria del Solario Pagina 51
S. Marco Pagina 41
S. Maria delle Grazie Pagina 111
SS. Nazaro e Celso Pagina 79
S. Pietro in Oliveto Pagina 54
S. Rocco Pagina 111
S. Salvatore Pagina 49
S. Zeno Pagina 43
S. Zenone Pagina 91

CIVILI

Archivio Notarile Pagina 95
Arnaldo (Monumento) Pagina 57
Ateneo Pagina 38
Bagno Comunale Pagina 103
Biblioteca Queriniana Pagina 35
Broletto Pagina 33

 


 

Casa di Dio Pagina 77
Casa d'Industria Pagina 61
Castello Pagina 55
Cavallerizza Pagina 87
Congrega Apostolica Pagina 38
Corso Teatro Pagina 74
Curia Ducale(avanzi) Pagina 93
Curia e Foro Pagina 44
Giardini Pubblici Pagina 58
Loggia o Palazzo Municipale Pagina 91
Mercato Grani Pagina 57
Monte di Pietà Pagina 95
Museo Civico Pagina 48
Ospitale Pagina 69
Ospitaliere Pagina 74
Palazzo Pretoriale Pagina 90
Pallata (La) Pagina 87
Piazza del Duomo Pagina 15
Pinacoteca Tosio Pagina 115
Porta Bruciata Pagina 104
Porta Matolfa Pagina 140
Porta Pile Pagina 102
Porta S. Alessandro Pagina 141
Porta S. Giovanni Pagina 142
Porta S. Nazzaro e Stazione Ferrovia Pagina 141
Porta Torrelunga Pagina 57
S. Eufemia (Caserma) Pagina 61
Teatro Grande Pagina 76
Teatro Guillaume Pagina 76
Teatro Antico (rovine) Pagina 43
Tempio di Vespasiano (rovine) Pagina 45

 


 PARTE SECONDA:

MONUMENTI PRIVATI.

Albergo del Gambero Pagina 152
Casa Averoldi Pagina 151
Casa di Lattanzio Gambara Pagina 151
Casa Lechi Pagina 154
Maggi della Gradella Pagina 151
Martinengo Cesaresco Pagina 150
Martinengo del Novarino Pagina 151
Martinengo della Fabbrica Pagina 152

 


PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE DEL 1855

AI SUOI CONCITTADINI

L' AUTORE.

Esaurita l'edizione della Guida del Sala, che sulle anteriori dell'Averoldo (1),del Paglia (2), del Chizzola (3) e del Brognoli (4) per severa critica e squisito sentire dell'arti è a porsi in cima, fu manifesto il bisogno d'un'altra, la quale, facendo nota dei mutamenti gravi, moltiplici, svariati, che in tutte cose della città da vent'anni a' dì nostri veggiam seguiti, levando ciò ch'era a' tempi del Sala, ma che adesso non è più, ponendovi per quella vece quanto d'allora in poi s'aggiunse a far più bella, e per dirla con altro stile, più interessante la già sì bella ed insigne città di Brescia, sopperisse al desiderio degli stranieri non solo, ma di voi stessi. Ecco lo scopo di queste pagine. Risparmiando ai gentili che mi leggeranno i soliti sommari dí

(1) Le scelte pitture di Brescia, Brescia 1700 per Rizzardi.

(2) Giardino della pittura. LI integrale manoscritto conservasi nella Queriniana.

(3) Le pitture e scolture di Brescia, Brescia 1760 per Bossini.

(4) Nuova Guida di Brescia, Brescia 1826 per Nicoli Cristiani.

 


storia patria, i quali nelle Guide particolarmente, credetelo a me, si saltano a piè pari, ho creduto arrestarmi un po' più sull'origine dei luoghi, dei monumenti, e narrarne le vicende, onde il luogo stesso diventi testimonianza, e sveli per così dire al passeggiero la storia sua.
Oltreché un compendio di storia municipale non riescirebbe che vana e servile imitazione di quello non mai bastevolmente lodato del Nicolini e d'altri già pubblicati, dai quali dissentendo assai volte, dovrei rendere ragione di questo mio dissentire, ed, allora.... addio Guida.

Né di questi cangiamenti voluti dalla condizione dei tempi e delle cose mi son fatto debito soltanto; sì ben anco degli errori e delle omissioni, gravissime alcuna volta, nelle quali parvemi incorsa la Guida del nostro Sala (1). Ma di rincontro, quanti errori egli stesso non avvertì nelle Guide informi che lo precedettero, quante futilità non tolse, quante nozioni preziosissime non aggiunse! Benedetta sia dunque la dolce sua memoria.
Questo moveami alla compilazione del volumetto che vi si porge, che il nostro Cavalieri mi ha suggerito, e che di buon grado gli ho offerto. Vogliate dunque un po' di bene al libro, e a chi lo scrisse.
E tanto più glielo dovreste, in quanto che s'è argomentato di rendervi più accetto il suo libricino col soffermarsi a qualche descrizioncella de' più leggiadri monumenti delle arti nostre. Né crediate per altro che siasi


(1) Pitture ed altri oggetti di belle arti in Brescia, Brescia 1934 per Cavalieri.


Il fatto ad invocare le ispirazioni del Vidalini (1) e dell'Averoldo. La sua povera musa, la musa pedestre di Orazio, non potea risolversi, descrivendo a mo' d'esempio una tela di tragico subbietto, a macinare i più vivi cinabri inzuppati nel sangue della trucidato, barbarie ottomana, o mischiare gli oltremarini più vivi col sudore stillato nella conquista di più provincie, onde poi farne un impasto eterno, da stancare gl'impegni del secolo avvenire (2); ma dolcemente si arresta dinanzi alla risurrezione del Vecellio od agli esuli di Parga con quel senso ineffabile di meraviglia cui sogliono spirarci i monumenti più insigni del genio italiano

(1) Poesie nel Giardino del Paglia.

(2) Averoldo, op. cit. prof. dedicatoria,


PARTE PRIMA:

MONUMENTI PUBBLICI.


La Piazza del Duomo.

Quest'area quale vi si presenta dinanzi, ristretta un tempo a più angusti confini, ma non pertanto chiamata grande, fino dal secolo XII, dicevasi ancora di S. Pietro de Dom (1) dalla cattedrale di quel nome ch'ivi stette fino al principiare del secolo XVII. Il monastero dei SS. Cosma e Damiano, la chiesa di S. Agostino, la grave fabbrica del Broletto, la basilica di S. Pietro, la chiesicciuola dei SS. Crisanto e Daria, i portici dell' Arrengo, la magnifica Rotonda, e rimpetto a S. Pietro, il battistero di S. Giovanni, erano edifici co' quali conterminava.
A' giorni gloriosissimi dei municipi lombardi, quando la città nostra reggeasi a popolo, la campana del comune dall'alto della torre, che ancor del popolo si chiama, radunò talvolta su questa piazza col suo profondo reboato i consoli, la plebe, la nobiltà; epperò qui si discutevano

(1) Zamboni, Fabbriche più insigni della città di Brescia, Brescia per Vescovi 1778. - Capo 1. Magistrature di Brescia nei tempi della sua libertà.


popolarmente le alleanze lombarde o forestiere, i modi a soccorrere le amiche città minacciate dagli eserciti dell'impero, gl'interessi municipali, le cose della pace e della guerra, tutto che il decoro, la salute, lo splendore della repubblica volesse (1); il perché fu chiamata parecchie volte la piazza della concione (2).
È però singolare che dai tempi dei Carolingi sino al secolo XIV, e corrono a un bel tratto più che sette secoli, fosse questo piazzale il massimo della città.
Nel 1145, secondo il Doneda, veniva allargato (3).
Dire gli avvenimenti cui fu teatro nelle passate età, sarebbe lo stesso che narrarvene i più importanti di tutta la storia nostra avvenuti nel cerchio delle nostre mura. Chi non sa che la piazza è il campo, il convegno del popolo ne' suoi tumulti, il luogo prediletto in cui suole accogliersi ne' rumorosi trasporti dell'ira sua e delle sue letizie?
Nobilissimo tra i cittadini sollevamenti, pe' quali corse il popolo in armi a questa piazza, fu, per esempio, l'avvenuto nel 1319 a cagione d'un'avvenente fanciulla; l'infelice Landriola di Negro dei Poncarali, la quale, colta di notte dalle guardie della città presso il cadavere di un giovinetto bresciano, fu tradotta innanzi all'Acquabianca vicario di re Roberto, che allora ci governava. Ardendo

(1) Malvetii, Chron. in Rev. It. Scrip. t. XIV.

(2) A. 1223. Platea Concionis Brixiae, Statuti Municipali del secolo XIII depositati nella Queriniana.

(3) Notizie della zecca di Brescia, Brescia 1755 per Rizzardi pag. 98 nota 12 al passo della cronichetta di S. Pietro in Oliveto - MCLVI..... ceptum est mercatum Broli.


colui per la fanciulla di colpevole amore, osò palesarglielo. Ributtò la Poncarali quelle infami proposte, e forse il legato le avrebbe fatto scontare a prezzo di sangue il suo rifiuto, se Negro il padre suo con quanti poté raccogliere a sé d'intorno non avesse levato il popolo a rumore; il quale irrompendo con fragore grandissimo nella piazza di S. Pietro de Dom, sfondate le porte del Broletto, lo invase, per cogliervi l'Acquabianca, e punirlo, chi sa forse, con una di quelle suo giustizie manesche e speditive: ma il Vicario poté sottrarsene colla fuga (1). Gli storici nostri dicono l'estinto giovinetto amante di Landriola mortole a caso nel domestico o giardino (2). Più castigato, ed è pur molto, il Boccaccio lo disse invece suo sposo (3): e fu gentile pietà; perché reso alla infelice quel casto velo che la inesorabile asperità della storia le avea strappato, ne facea sacro l'amore e la sventura (4).
La statua sulla fontana della piazza è di Antonio Caligari e rappresenta Brescia armata. Ove ora trovasi il caffè Denotti, e precisamente sull' angolo di esso era un tempo l'antichissima rotonda di S. Giovanni Battista, che vollesi da taluno del settimo secolo, e che fu distrutta

(1) Malvetii, Chron. cit. dist. IX, CLIX in R. Ital. Script. t. XIV. Ben fa sorpresa come il Malvezzi, che la dovea sapere un po' più pel minuto, finga meravigliarsi della rivolta come avvenuta senza motivo. Tacque lo storico dinanzi alla superstite famiglia.

(2) Capreolus, Hist. brix. lib. Vil - Cam. Madii , Hist. de rebus patriae, cod. Querin. t. 14.

(3) Decamerone, giorn. IV, nov. VI.

(4) Odorici, Storie bresciane del secolo XIV.


 
nel XVII. Se n'è perduta ogni traccia, ed io debbo al caso l'aver trovata in una botteguccia di commestibili la pianta di quel prisco battistero bresciano, col quale e colle colonne disegnate in un prezioso codice Queriniano potremmo a un bel di presso ricomporne il concetto antico (1).

Il Duomo Vecchio, detto la Rotonda.

Un errore tradizionale, ricopiato dagli storici municipali, e sostenuto nella credenza altrui dall'assentirvi del Biemmi (2), del Zamboni (3), del Doneda (4), del Sala (5), del Niccolini (6), dirò breve, dei più severi scrittori nostri, sì è l'opinione che la rotonda di cui parliamo sia dell' epoca longobarda. Il documento più antico, che ci dia notizia dell'insigne edificio, dato che a questo precisamente si riferisca, non è anteriore al IX secolo, ed è un sermone del vescovo Ramperto (7). Il nostro vescovo narra la solenne traslazione del corpo di S. Filastrio da esso fatta nell'anno 838 dalla chiesa di S. Andrea fuori le mura

(1) Monum. ant. Urbis et Agri Brix. Cod. Quir. A. II. 8. Un'iscrizione recataci dal Nassino Cod. Quir. C. 3, 15 lo dice riedificato tempore Bonifacii q.dni Castellanii potestatis Brixiae DMCCLIIII.

(2) Istoria di Brescia, Brescia 1748, t. II pag. 9.

(3) Nelle citate Fabbriche bresciane. - Capitolo ultimo: Della cattedrale.

(4) Notizie delle chiese di Brescia. Nel diario bresciano del 1774 pag. 40.

(5) Guida di Brescia cit. - Duomo vecchio pag. 39 e seg.

(6) Discorso proemiale Premesso al vol. 1 del Museo bresciano illustrato.

(7) Galeardus, Collectio patruum Brixiana Ecclesiae. - B. Ramperti, ermo de Trans. S. Philastrii.


in matrem ecclesiam hiemalem nostram penes altare sanctae, Dei genitricis Mariae: dove lasciate le sante reliquie più giorni alla venerazione dei fedeli, vennero poscia seppellite «marmoreo recondentes antro» (forse la sotterranea basilica di S. Filastrio). Detto poi di più miracoli, racconta di un'inferma, che portata presso il feretro in basilica sanctae Dei genitricis perennis Virginis Mariae... dopo fervorose preghiere, risanata nelle attratte membra, levossi, e preso il bastone, cominciò «huc et illuc templi ambitus testudinem perambulare».
Ma la basilica accennata nella narrazione in stampatello del vescovo Ramperto (?) è l'attuale rotonda e il nome stesso di basilica non designa forse chiaramente una chiesa di altra forma, sulla quale più tardi sia stato edificato il singolare edificio?
Nella speranza di un ristauro giusta le forme primitive vennero, non ha guari, praticati lo scrostamento delle pareti interne, e diversi scavi, onde si rivelarono alcuni fatti, pei quali forse riuscirà meno difficile di stabilire a quale epoca appartenga questo sacro edificio.
Dopo lo scrostamento, l'opera tutta apparve di getto : si vide chiaro che l'ampia volta è contemporanea all'edificio, e lavoro contemporaneo allo stesso era l'alta torre, crollata nel 1708, la quale sporgendo verso la piazza, elevavasi dove presentemente esiste il principale ingresso.
Il piano della rotonda risultò presso a poco l'originario; e originario quello dell'ambulacro, più alto dell'altro circa settanta centimetri.


Nei pilastri si scopersero alcuni massi di pietra, reliquie di edifici più antichi; uno poi, dall'ornato potrebbe giudicarsi frammento di un lacunare del tempio di Vespasiano, o di annesso edificio. Nel terzo pilastro a destra entrando, in un masso di calcare, usato a far muro, v'è scolpita una palma a basso e incerto rilievo, fattura quasi indubbia dell'VIII secolo, e di certo proveniente da altro edificio. Nessuna decorazione alle pareti, meno brevi e semplici risalti, forse modinati, all'imposta degli archi, e al cominciamento della volta, tagliati più tardi e forse quando le pareti si copersero di intonaco.
Ora la scoltura dell'VIII secolo incastrata nel pilastro, non è prova che l'edificio è posteriore a quell'epoca?
Il significante dislivello tra l'ambulacro «ove esistevano gl'ingressi al duomo» e il sommo delle volticelle della sotterranea basilica di S. Filastrio, non è chiaro indizio che tra l'una e l'altra edificazione dovettero correre molti e molti anni perché il piano esterno potesse di tanto rialzarsi ? L'essere la grande torre che sorgeva a difesa del sacro edificio contemporanea a quello, e non essendovi esempi di simili torri prima del X secolo, non giustifica forse l'attribuire alla stessa epoca l'edificazione di tutto il monumento?
La nudità delle pareti interne, la decorazione esterna del tamburo, uno forse dei primi tentativi della lombarda architettura quasi vigorosa all'XI secolo, ci sembra confortino questa nostra convinzione, cioè che il duomo vecchio sia opera degli anni intorno al mille.


 Non è a confondersi la Rotonda propriamente detta colle sue grandi cappelle e col presbitero, aggiunte indubitabili di secoli posteriori. V'ha chi le tiene del secolo XIV. Evidentissimo ad ogni modo risulta l'allungamento del presbitero e del coro in due riprese: il primo viene congetturato dal nostro Zamboni al 1300; il secondo è lavoro non dubbio del secolo XV (1). Si sa come nel secolo appresso (1571) le laterali cappelle venissero ricostruite ampliandole con altre forme da Giammaria Piantavigna architetto bresciano.
Al primo entrare veggasi di fronte l'Assunta, mezzaluna del bresciano Giuseppe Tortelli.
Sceso il ramo a destra delle due scale laterali, il primo altare ha un tizianesco dipinto di Pietro Rosa, bresciano anch'esso, ch'ebbe grido minore del merito, e n'è prova questa tela rappresentante S. Martino.

SECONDO ALTARE. - Angelo Custode di Bernardo Gandini altro nostro pittore. Nel vicino marmoreo monumento, con bassi rilievi del secolo XIV, giace il nostro vescovo Lambertino da Bologna, che morì nel 1349. Tra quelle scolture sono a notarsi due cavalieri ai lati di un vescovo . Io li suppongo i nostri martiri Faustino e Giovita, col santo vescovo Apollonio. Se così fosse, come penso, l'antica lite sulla provenienza dell'abito militare di questi martiri dalle tradizioni dell'assedio del 1438 sarebbe tronca. Però mancano argomenti tuttavia per stabilire quando e perché fosse lor dato quell'abito guerresco.

(1) Provis. Municip. 31 mart. 1489. Qtiod capella S. M. Majoris amplietur et prolungetur. - Prov. Civ. Brix. in Com. Archiv.


Dal celebre prospettico Tommaso Sandrini di Brescia era dipinta la cupola del braccio destro non ha guari ridipinta. Alcune figure dì Francesco Zugno, bresciano esso pure, esistono in parte ancora. Sulla porta della contigua sacrestia Francesco Maffei dipingeva la traslazione di quattro ss. vescovi da S. Pietro in Oliveto alla Rotonda, ivi rappresentata colla primitiva sua torre di fronte.

TERZO ALTARE. - S. Liborio vescovo, dipinto dal Tortelli.

QUARTO ALTARE (del Sacramento). - All'ingresso i due vangelisti Matteo e Giovanni di Francesco Barbieri da Legnago, e la raccolta della manna in due tele di Gerolamo Romanino bresciano. È nell'interno una serie di sei dipinti del nostro Moretto. Alessandro Sala il disse tra i più valenti discepoli di Tiziano, e disse male: noi lo vedremo creare da sé quella scuola che francamente nomineremo bresciana.

Soggetti di quelle tele - La mistica offerta di Melchisedecco - I vangelisti Luca e Marco - Il convito dell’agnello pasquale - Il redentore - L'Elia dormente - Il sacrificio d'Isacco.

Coperto da cristalli, è imminente alla mensa un G. G. flagellato, opera di non volgare pennello ma molto guasto.

ALTARE MAGGIORE. - L'Assunta del nostro Moretto (Alessandro Bonvicino) da lui compiuta nel 1526 (1), magnifica tela maestrevolmente ristaurata non ha molt’anni dal bravo Aless. Sala. Il busto di Papa Alessandro VIII

(1) Nel qual anno (5 nov.) gli si fa il saldo ejus mercedis pigendi Anconam S. M. de Dom. Bull. 1 della Fabb. del Duomo c. 77.


(Pietro Ottoboni già vescovo di Brescia), e i due puttini in marmo che lo fiancheggiano, sono scolture di Orazio Marinali. I due quadri laterali all’Assunta, rappresentanti la nascita della Vergine e la Visitazione, sono lavoro del franco pennello di Girolamo Romanino (1).

Sotto i due quadri del Romanino si vedono due altri pregevolissimi dipinti ambedue su tavola. Quello a destra opera diligente del Giorgione, secondo alcuni, a giudizio d’altri del Bonifacio, rappresenta l'adorazione dei Pastori. Quello a sinistra la salita dì G.C. al Calvario si attribuisce pure alla scuola del Bonifacio, ed è quadro di robusto colore e ben conservato.

Antichissima è la mensa e degna che non passi inosservata, cui fa sostegno una serie di colonnette binate, le quali accusano i primordi dell'arte lombarda. Si sa che prima della sua consacrazione (1342), levata dal luogo antico, fu collocata nel nuovo prolungamento del presbitero (2).

SESTO ALTARE (delle SS. Croci). - Di Grazio Cossali dagli Orzi Nuovi, ed Antonio Gandini sono le due grandi tele ai fianchi della cappella. È del primo l’apparizione della croce a Costantino. È del secondo la favolosa tradizione del Duca Namo, che fa dono delle sante Croci ai magistrati di Brescia.

Quelle croci s’acchiudono con gelosa cura nei raddoppiati cancelli di questo sacrario: e conviene dedurre che

(1) Boll. cit. pag. 101 a. 1541.

(2) Indicto altari quando motum fuit. Florentinus, Series Ant. Br.


assai grande ne fosse la devozione fino dal secolo XIII, se uno statuto del 1285 stabilisce che racchiuse da sette chiavi, consegnate a sette tra i più integerrimi concittadini, vengano religiosamente, custodite (1).

È tradizione con qualche fondamento asseverata, che una di quelle croci a noi si recasse dal vescovo Alberto reduce dopo il 1246 dall'oriente, in cui lo vediamo condottiero dei crociati bresciani (1221) nell'assedio di Damiata (2), patriarca d'Antiochia dopo il 1226, e legato apostolico nella Siria (3). Ma dov’anco si ritenesse vera la tradizione, non è men vero però che la forma di quella croce a doppie braccia trasversali non può risalire che all'ottavo od al secolo nono (4), e che la sua testimonianza migliore non istà che nell'argentea teca ov’è racchiusa, anaglifo non più antico esso ancora del secolo XII, le cui figure (Elena e Costantino da una fronte, il Crocifisso, la Madonna e S. Giovanni dall'altra) vennero dottamente illustrate dal sacerdote Brunati. La Croce del campo, quivi egualmente custodita, vuolsi la stessa che i padri nostri portavano con sé, quando si governavano a comune, sul campo delle battaglie. Serbasi ancora in questa cappella deposito delle nostre più venerande reliquie, il pedo pastorale di S. Filastrio vescovo di Brescia nel secolo IV.

(1) Statuta Civit. Brixiae. Cod. Perg. presso l'Arch. Com.

(2) Bernard Thaesauri de aquist. Terrae Sanctae. In Rer. I. S. t. VI col. 842.

(3) Gradenigo, Brix. Sac. p. 243 e seg.

(4) Brunati, Di un' antica Stauroteca istoriata della Cattedrale di Brescia 1839.


La cupola di questo braccio sinistro fu dipinta da Gaetano Bacinelli con figure di Pietro Deorazio.

Poggiato sulla trabeazione della porta murata che lo chiude è ad ammirarsi l’avello in marmo di Berardo Maggi vescovo, non principe di Brescia (1); ma tale per altro che, senza averne il titolo, con inaudita fermezza sbarazzatosi de’suoi rivali, s’era fatto arbitro e quasi donno della città.

E dì che modo! Sentito questa. «Scacciato Tebaldo, si tenne Berardo.... acquistata la signoria, il che essendo, ma tardi, conosciuta dai cittadini Ghelfi, cercarono di opprimerlo; et egli.... postosi la corazza et la spada sotto al Piviale, comparve all’improvvista con la croce innanzi, con larga schiera di soldati nella pubblica sala del Consiglio. Fece prigioni nove dei congiurati, et speditamente facendoli buttar dalle finestre, si sottrasse al pericolo, et con elegante oratione ragionando alla plebe, etc.» (2). Che ve ne pare ?

Il vescovo è rappresentato giacente, coperto degli abiti pontificali; ed argomento di storiche ricerche intorno alle loro significanze sono gli altri, né al tutto spregevoli, rilievi che adornano quest’urna, il cui lato opposto non può vedersi che salendo per una scaletta a tergo del monumento ; e merita bene che l’indagatore dei monumenti

 

(1) Multa congerit Gradonicus ut Berardo asserat verum Brixiae Principatum, sed frustra. Così quel dotto uomo del P. Luchi nelle sue preziose postille alla Brixia Sacra. Cod. Quir. C. V 31. Il titolo di principe scolpito sul mausoleo, egli stesso non lo ha mai assunto in atto alcuno. È un’adulazione del secolo XIV.

(2) Rossi, Elogi storici. Berardo Maggi pag. 102.


lombardi vi si conduca, e vi contempli scolpito l’istante solenne in cui, ricondotti per l’autorità di Berardo a vicendevole concordia, guelfi e ghibellini giuravano sull'altare di S. Giovanni Battista di non turbarla mai più (1). Ed ancor questo fu inutile giuramento.

Vedi a lato il mausoleo del card. Morosini altro vescovo di Brescia, e prima di giugnere al settimo altare, quello di Domenico de Dominici, che tenne il seggio episcopale intorno alla metà del secolo XV. Il monumento Morosini è fattura del patrio scultore Antonio Carra

SETTIMO ALTARE. - Beata Vergine di Pietro Marone bresciano.

Ai fianchi del pulpito sono due statue di Alessandro Vittoria; rappresentano la Fede e la Carità, e prima della caduta dell’alta torre, che abbiam ricordata, decoravano il monumento sepolcrale del vescovo Bollani. Al di sopra di quel pulpito è una mezzaluna coi SS. Faustino e Giovita, ed è del Tortelli, e i cassettoni della gran volta sona dipinti da Pietro Pupilli.

Basilica di S. Filastrio.

A fianco del quarto pilone a destra della Rotonda si apre nel pavimento una scala. Essa conduce nel tempio sotterraneo di S. Filastrio, diviso a più navi sostenute da moltiplici colonne reggenti lor volte a croce e gli archi

(1) Un informe abbozzo, un arbitrario disegno di quel bassorilievo singolarissimo è a vedersi nelle citate Fabbriche di Brescia illustr. dal Zamboni pag. 34. Più fedelmente fu da noi riprodotto nelle Storie Bresc. Vol. VI.


a tutto sesto, vario di marmi, di basi, di proporzioni, di capitelli, e quale tronca del plinto, e qual sopperita da sostruzione murata per manco di lunghezza. I capitelli poi, romani la maggior parte, alcuno, per mio sospetto, dei tempi di Teodorico, gli altri probabilmente di longobarda età, mi annunciano una fabbrica del settimo o dell’ottavo secolo. È il più intatto e più prezioso edificio che a noi di que’ tempi oscuri risparmiassero le umane, vicissitudini: ed io, che pazientemente ne ho rilevati i piani, le sezioni, le forme moltiplici e svariate dei capitelli e delle basi, disegnati gli affreschi preziosissimi che vi si conservano tuttavia, per indagini ed esperimenti ho potuto suadermi, o luce non ricevesse quel tempio che dalle sacre lampade, o l’avesse per aditi e per fenestre aperte nelle volte a mo’ di lanterne, del che per altro non è traccia sicura.

Certo è che i loculi a tutto sesto e a lati paralleli praticati nelle muraglie laterali, non erano fenestre; perchè, la muratura che ne li chiude si lega ed immorsa a tal segno colle muraglie da persuaderci essere costrutta ad un tempo. Se poi sedili pei sacerdoti, o ripostigli, non so. Oltrechè i sepolcreti da me scoperti al di sopra di quelle nicchie anteriori certamente all’edificio e de’ quali ho già detto, dileguano ogni dubbio. Quante quistioni non termina alle volto un colpo di martello!

Che poi dalla Rotonda per altre scale si discendesse al santuario, come ad una cripta, è indubitato; e gli atti della invenzione solenne delle ceneri di S. Fi-


lastrio, or fanno quattro secoli avvenuta, ne sono testimonianza (1).

Le navi, conformemente al carattere delle basiliche di quel tempo, sono terminate da tre absidi semicircolari, gli altari più non esistono, ma tu vi ti accosti colla egual riverenza e con maggiore mestizia. L' abside di mezzo è divisa dalle minori per due lesene i cui capitelli romani s’improntano di quelle forme castigate e gentili che si direbbero piuttosto del primo che del secondo secolo dell’era nostra. Non così gli affreschi di quell'abside, opera di qualche artefice del nono o decimo secolo, rude sia pure, ma preziosissima per la deficienza di artistici monumenti di una età sventurata, che si distingue a stento per quelle deboli tracce dell'arte lombarda, le quali appena bastano a confermare la indarno combattuta sentenza di Scipione Maffei: In Italia si dipinse sempre. E quell' affresco ti rappresenta il Salvatore con allato le imperiali imagini (se io non erro) di Elena e Costantino. Altre pitture che cuoprono la volta del prossimo interlocutorio e la crociera cui vien suddivisa, si direbbero del secolo XIII, e danno le venerate effigi di tre vescovi bresciani e dell'arcangelo Michele. Sotterranea era dunque la basilica nostra; e questo fatto singolarissimo mi ricorda le parole di S. Zenone: Chi ha creato il sole non ha bisogno della sua luce.

(1) Provisiones Civit. Brix. in Arch. Municip. a 1456. Plurima de invent. exuviae B. Philastri Episcopi. Quod fiat in dicta capella una alia scala ultra illam q. nunc est.


Vuolsi che qui, dell'875, si tumulassero i resti di Lodovico II pronipote di Carlomagno. Veramente la cronaca di Andrea Prete, pubblicata dal Muratori, parrebbe assicurarcelo (1) ma quelle spoglie rimasero per poco presso di noi, perché realmente dall’arcivescovo di Milano si trasportavano colà (2). Certa è per altro la predilezione di quell’augusto per la città di Brescia (3).

Sollevatasi un giorno contro Bertario suo messo, Lodovico vi entrava irato (865) con un intero esercito a sé dintorno, e nel cuore la voluttà della vendetta; ma vedutosi prostrato il popolo dinanzi, e in capo ai supplichevoli Gisla sua figlia monaca di S. Salvatore, e il vescovo Antonio, respinto il brando nella vagina, cennò che si levassero e perdonò.

Duomo Nuovo.

Ergesi press’a poco dove da prima sorgeva la cattedrale di S. Pietro de Dom (4), e venne fondato nel 1604 sopra disegni del nostro architetto Giambattista Lantana. La sua cupola, tenuta per la maggiore dopo quella del Vaticano e di S. M. del Fiore a Firenze, fu ideata da Ba-

 

(1) Et posuit Antonius episcopus eum in sepulcro in Eccl. S. Mariae ubi corpus S. Philastrii requiescit. Chron. Andreae Pr. in Antiquit. it. M. Avi, t. I. col. 50.

(2) Cron. cit.

(3) E noto come Gisla sua figlia presiedesse al bresciano cenobio di S. Salvatore, e come Ansilperga sua moglie, patronessa di quel sodalizio nostro, vi facesse testamento.

(4) Zamboni, nelle ricordate Fabbriche, cap. ultimo.


silio Mazzoli di Roma, ed ebbe compimento nel 1825 sotto la direzione dell'architetto Rodolfo Vantini. La gran croce che spiccasi dal culmine vi fu piantata in quell'anno, e il nostro Arici così ne salutava con sacra letizia l’elevazione solenne.

Benedetta dal bacio di pace,

Fra il divoto degli inni concento

Sali, o Croce, di gloria argomento,

Desiderio d'ogni alma fedel.

Sali, e il tempio nov’astro vivace

Orna, e santa ne afferma la mole.

Splendi, o Croce, nel raggio di sole

Della terra decoro e del ciel (1).

Il busto del card. Quirini già vescovo di Brescia, che tiene il sommo della porta principale, è lavoro di Antonio Caligari. La colossale Assunta in sull'apice del frontone fu modellata da G. B. Carboni, scolpita da Pietro Possenti. I SS.MM. Faustino e Giovita 
a tergo del coro sono di Antonio Carra, e del Carrara due dei quattro evangelisti nei peducci della cupola. Vasta ed ardita è la mole del nostro tempio; ma il greve disegno accusa gli errori del proprio secolo.

PRIMO ALTARE. - S. Antonio di Padova; tela di Giuseppe Panfilo.

Appoggiato al vicino pilone è il monumento di Gabrio Maria Nava tolto al seggio episcopale di Brescia nel (1)831, e la cui memoria mai che si desti nell'anima no-

(1) Poesie Sacre. Brescia.


stra senza che dolcemente non sia tocca da un senso ineffabile di venerazione e di amore. Dettata con venustà di lapidario stile e morcelliana eleganza è l'epigrafe dell'archeologo insigne Giovanni Labus scolpita sul basamento: la Carità che vi sta sopra male risponde per altro al casto simbolo di quella del nostro Nava. Avremmo desiderato che colla verecondia di quell'atto materno dovesse pure simboleggiarsi la verecondia della carità evangelica, la quale ti dona e si nasconde, ti soccorre e tace con quell’umile silenzio che è carattere essenziale di chi benefica ed è cristiano. Monti di Ravenna fu l'autore del mausoleo.

All'opposto pilone si trova quello del vescovo Ferrari. È lavoro di Giovanni Emanueli, scultore bresciano di assai bella fama, e lo adorna la statua sedente della Teologia.

SECONDO ALTARE. - Gesù Cristo che risana gli infermi, dipinto del veneziano Gregoretti. Intonazione armonica, robusta. Del resto evidente il nesso materiale di vari studi d'alcuni quadri notissimi delle antiche scuole per farne uno solo. È però singolare che non un Hayez, non un Diotti, non un Podesti, non altra mano di simil vaglia si osservi nelle nostre chiese, mentre si ambirono da quelle di Chiari e d'Iseo. L'altare è disegno del Vantini, e le due statue colossali poste ai lati, rappresentanti la Fede e la Speranza, sono la prima di Seleroni da Cremona, l’altra di Emanueli; è in ambe assai magistero di esecuzione, forse migliore quella dell’artefice bresciano.


TERZA CAPPELLA. - È occupata dall’arca marmorea del santo vescovo bresciano Apollonio: bello ed aggraziato lavoro, del secolo XV, con assai finiti adornamenti e rappresentanze ad alto rilievo di alcune gesta del vescovo (1).

QUARTO ALTARE. - L'angelo custode : dipinto di Luigi Basiletti bresciano. Le statue che adornano l'altare sono di Antonio Caligari; ed è notevole il tabernacolo ricco di lapislazuli e di bronzi dorati.

ARA MASSIMA. - Assunta di Giacomo Zoboli, per quanto dicesi diretta dal Conca: quadro lodato per grandiosità di pensiero e larghezza d'impasto; ma in quelle gigantesche figure sì evidente risulta il corretto e fiero disegno del Conca, che sarei per dirle tutte sue. Le -due statue dei SS. Gaudenzio e Filastrio sono del Caligari, e il busto del Querini è fattura del romano Bartolammeo Pincellotti.

SESTO ALTARE. - I SS. Carlo e Francesco in atto dì venerare col vescovo di Brescia Marin Giorgi, e la Vergine, sono di Palma il giovane. Sopraquadro, Antonio Gandini.

SETTIMO ALTARE. - Il popolo bresciano, desolato dalla peste del 1630, ne implora da Dio la cessazione. Qui la Madre di Dio spreme dal seno verginale alcune stille di latte che ricadono sul popolo  
supplicante. Fu citato, per quanto dicesi, questo capriccio di Giuseppe Panfilo a scusare la Carità del Monti.

(1) L’iscrizione incisa sotto l'arca ci ricorda che nel giorno 5 maggio 1674 furono nella stessa riposte le ossa dei ss. vescovi Apollonio e Filastrio ivi trasportate dal Duomo Vecchio.


OTTAVO E NONO ALTARE. - Destinato il primo alle SS. Croci il secondo a S. Gaudenzio altro vescovo di Brescia, nella parete di quest'ultima cappella venne provvisoriamente collocato un altro grandioso dipinto del Romanino - Lo Sposalizio della V. M. - Contiguo al Duomo trovasi l'archivio canonicale ricco di pergamene della Chiesa Bresciana e di altri codici. È da notarsi fra questi un’opera canonica, inedita fin ora, di Bonizone vescovo di Sutri che scrisse nell'XI secolo (1): è la più completa dei due esemplari a noi noti, e ne parla il Manso nella prefazione ai supplementi del Labbè, il Trombelli ed il Gradenigo (2).

Il Broletto.

Forse un Broletto esisteva già fino dal 1146 (3) pressor l’antica piazza di S. Pietro de Dom (4). Certo nel 1187 (5), a monte di questa chiesa, si eresse nuova sede alle bresciane magistrature, e probabilmente come guerresco baluardo l'alta e massiccia torre che denominasi del popolo (corrottamente del pegol). - Due anni dopo sotto il consolato di Villano veniva aggiunto un portico detto, per

 

(1) Bonizonis Episcopi de SS. Patrum authenticis canonibus ad Gregorium Presbyterum.

(2) Brixia Sacra, 1755, pag. 443. Monitum.

(3) MCXVI coeptum est Mercatum Broli. Cronichetta Bresciana pubbl. dal Doneda nelle notizie intorno alla zecca di Brescia.

(4) Zamboni, cit. Fabbriche, capo 1 pag. 4.

(5) Nel qual anno seguiva il saldo di un fondo super quam est Palatium Comunis constructum. Lib. Poteris Brix. in Com. Archiv. pag. 8.


l'uso a cui serviva, dell'Arrengo. Sull'area di queste fabbriche, (che i documenti ci direbbero costrutte in legname) (1) e di altre case e fondi, nuovamente acquistati, il comune nel 1223 dava principio all'erezione del lato meridionale dell'attuale Broletto, e pare che fosse compito nel 1227. Pochi anni dopo veniva edificato anche il lato di mattina; di cui un prospetto guarda verso il grande cortile, e l'altro è mascherato da costruzioni molto posteriori. – Questi due corpi di fabbricato, benché distinti, erano uniti dalla scala ascendente che s'apriva tra l'uno e l'altro, e di ciò abbiamo sicuro argomento nella sentenza del 9 settembre 1253, data: super area scale inter Pallacium maius novum Comunis Brixie, ed inter Pallacium novum minus.

Il prospetto minore verso la piazza del Duomo del lato meridionale aveva un pergolo le cui mensole erano fregiate da scolture d’alto rilievo, ora raccolte nel Museo civico a S. Giulia. I due edifici, barbaramente manomessi, pure serbano ancora l'impronta di quella solida e grave architettura lombarda che ammiriamo negli edifici italiani della ferrea ma virile età dei nostri comuni.

Altri acquisti e aggiunte seguirono nel 1284 a monte del grande cortile, ma nulla ci rimane che ricordi quell'epoca. La piazza d’arme che là s'apriva, l'alta muraglia merlata che la recinge, solo ornata da gentile corniciatura in cotto: il cavalcavia che adduce alle pendici del castello sembrano opere della seconda metà del XIV se-

(1) Laubia 1ignorum - in un atto del 1195, e del 1214 - Palatium lignorum - in atto del 1206.


colo, dominanti i Visconti. Anche il lato di sera del grande cortile, ove la ghiera delle grandi finestre del prospetto esterno è ornata da fregi e cornicette in cotto alternati con pezzi di calcare, può ritenersi della stessa epoca, meno la parte inferiore.

La grande porta sotto i portici a oriente, ornata da colonne bugnate, è opera del XVI secolo.

Al XVII spettano la parte esterna a sera e a mattina, la loggia del gran cortile e lo scalone.

S. Agostino.

L'elegante facciata della piccola e distrutta chiesa di S. Agostino scorgesi ancora nel fianco occidentale del Broletto (vicolo di S. Agostino). Questa chiesuola appartenne al palazzo stesso, ed era forse la medesima che il Malatesta faceva dipingere a Gentile da Fabriano nei primi anni del XV secolo. - Già prima del 1149 era sommessa ai canonici della Cattedrale e del 1589 se ne deplorava nei documenti patrii la desolazione.

Biblioteca Civica Queriniana.

Fondata nel 1750 dal cardinale Angelo Maria Querini, dal medesimo arricchita di cimeli, di codici, di manoscritti, di libri moltissimi e dotata di un reddito per l’acquisto di nuove opere, venne sempre più aumentando di libri, dotazione e locali per doni e lasciti privati e per assegni municipali.


Ora possiede circa mille volumi manoscritti di opere e raccolte di documenti illustranti la patria istoria, di libri classici, scientifici, liturgici, biblici, teologici, di collezioni d'autografi ecc.; meritano speciale menzione

a) L’Evangelario:
l'uno dei quattro più celebri a noi noti, serba l'antica forma quadrata. Bel codice gallicano del IX secolo, che ricordaci a primo tratto i rappresentati nel Menologio di S. Basilio (1) e sui mosaici cristiani (2), del pari che i codici, dipinti di Ercolano e di Pompei contiene i quattro Vangeli secondo l'antica versione italica, ed ha principio coi canoni d'Eusebio, scritti gli uni gli altri sul fare dei celebri Evangelari di Verona, di Vercelli e di Corbeja (3), sopra pagine di pergamena porporina con mica aurea ed argentea. Fu illustrato dal Garbelli e dal Bianchini (4), e proviene dall'antico ed or soppresso cenobio di S. Giulia.

b) Il Codice diplomatico bresciano:
è una collezione di diplomi ed altri antichissimi documenti pergamenacei dall'ottavo secolo fino al decimo terzo, de’ quali parte stanno inserti e trascritti in fogli legati a volumi in fol. mass.; parte conservati in cartelle. I documenti del secolo VIII superano per numero gli Ambrosiani raccolti dal Fumagalli.

(1) Meno]. Graec. Saec. IX.

(2) Allegranza, Mons. Sac. - Ciampini, Monum. antiq. et de sacris. aedif. - Furietti, de Musivis. - Cancellieri, la Sacrestia Vaticana, ecc

(3) Labus, Fasti della Chiesa, t. VIII p. 56-

(4) Evangelium Quadruplex.


c) Eusebio:

Concordantia Evangelistarum et Evangelia Codice membranaceo bizantino del secolo X con preziose miniature conservatissime.

d) Libro liturgico e di sacre offerte del monastero di S. Salvatore, prezioso codice membranaceo.

e) Liber Poteris Brixiae:
Due codici membranacei del secolo XIII, che si completano a vicenda, e contengono ciascuno in più di mille pagine i più importanti documenti municipali, che dal secolo XI al XIII sienci rimasti, inediti quasi tutti.

f) Statuti bresciani:
del XIII al XVI secolo in vari grandi codici membranacei.

g) Salterio Davidico:
Codice membranaceo con finissime miniature di scuola tedesca del XV secolo.

h) Libri corali:
membranacei di gran mole legati con assicelle, corame e grosse borchie, ornati di belle miniature; i più furono commessi da Francesco Sanson da Brescia generale dell'ordine dei minoriti, e miniati dal frate Sassone Evangelista Germano nel 1430.

La Queriniana possiede inoltre più di 500 volumi di edizioni del secolo decimoquinto, e fra esse sono da notarsi vari libri di Ore di Jehannot, Hardouyn, Kerver e Gigouchet, e più che tutti un Petrarca (Venezia, 1470) con illustrazioni miniate marginali, che ricordano la maniera di Sandro Botticelli. Notevole anche la collezione degli incunaboli della tipografia bresciana conservata in apposita vetrina.


A circa 60000 sommano gli altri volumi stampati, fra ì quali ve ne sono molto rari e rarissimi ed è assai considerevole la raccolta di edizioni bibliche.

Ateneo.

È suo scopo promuovere e diffondere, particolarmente nella nostra provincia, le scoperte e le cognizioni che si riferiscono all’agricoltura, al commercio, alle scienze, alle lettere ed alle arti, e giovare alla publica istruzione. Tiene adunanze e pubbliche esposizioni di produzioni artistiche ed industriali; distribuisce premi e sussidi, pubblica colle stampe i commentari annuali de’ propri atti: per legato del benemerito co. Francesco Carini conferisce premi a bresciani benemeriti per opere filantropiche; amministra l’eredità del pittore G. B. Gigola destinata a decorare il Camposanto di monumenti a bresciani illustri.

Nelle sale sono libri, modelli di macchine, stampe, plastiche, minerali e fossili della provincia: nella sala delle letture, oltre ad alcuni marmorei busti d'uomini insigni, trovi parecchie tele che altri ne rappresentano, eseguite da bresciani artisti dell'età nostra, e un paesaggio del conte Nava.

Congrega Apostolica.

Da un istituto scientifico passiamo al vicino elemosiniere fondato sul cominciare del cinquecento, e nel quale un’eletta di cittadini dispensa soccorsi al povero tutte le domeniche dell’anno. Nella cappella è un Redentore


che ammaestra i discepoli, di Pietro Rosa. In alto i SS. Faustino e Giovita del Panfilo. Il marmoreo busto del cardinale Querini è di Bortolammeo Pincellotti.

Episcopio.

Di un episcopio è cenno già fino dal cominciare dell'XI secolo, avvegnachè Landolfo intorno al 1025 prope sedem episcoii sui facesse trasportare le spoglie del santo vescovo Apollonio (1), come si nomina in altri documenti del secolo XI e dei consecutivi (2). Si sa che ad esso era unita la chiesa di S. Martino, per modo che in un atto del 1178 lo si dice, senz'altro Palatium Episcopi S. Martini (3). Egli è quel medesimo che vien chiamato domus Episcopi nel 1087 (4), Laubia Episcopi nel 1149 (5), e così via, e che del 1316 i guelfi ponevano a sacco senza misericordia (6), e cui Francesco Marerio vescovo riedificava nel 1437, Domenico Bollani altro vescovo ampliava nel 1570, cangiandone le forme con disegni di Giammaria Piantavigna.

In un elenco di bresciane chiese del 1150 (7), od in quel torno, al santuario episcopale di S. Martino è ag-

(1) Lezionario perg. Queriniano dell’XI secolo A l. 8 pag. 148.

(2) Gradonicus, Brixia Sacra, pag. 187 ecr.

(3) Gradonicus, Brixia Sacra, pag. 226.

(4) Op. cit. pag. 187

(5) Miscell. perg. Quirin. F. VI. 3.

(6) Odorici, Storie Bresciane del secolo XIV, pag. 28

(7) Desunto da un codice comunicato dal Doneda all'ab. Trombelli di Bologna, e pubblicato dal primo nelle Osservazioni al primo volume delle Storie Bresciane del Biemmi.


giunto il titolo de Dom, che lo fa supporre vicino, o di spettanza della cattedrale di S. Pietro, che come si sa, distinguevasi anch’essa col titolo suddetto. Forse il titolo di S. Martino nella Rotonda è traslazione dall'antico.

Abbiam veduto sin qui una serie brevissima di monumenti: ma poi che a quella serie appunto, che è quanto dire alle Cattedrali, all'Episcopio, al Broletto, alla Congrega, alla Queriniana, all'Ateneo sembrerebbe, quasi dissi, dai padri nostri affidata una qualche rappresentanza, e come a dire un simbolo delle nostre condizioni politiche, morali, scientifiche e religiose, ho creduto non indarno allargarmi, notandone poco meno che le minuzie. Se non che, progredire con questo metodo sulle tracce del Sala, obbligando il forestiere a starsene col mento in aria ad ogni quadraccio, ad ogni cherubino del Ferretti e del Cignaroli, non sarebbe pietà.

Soffermiamoci dunque per l'avvenire ai monumenti che onorano l'arti nostre, o che almanco non le degradino; e non profaniamoli coll’affrattellarli alle oscure produzioni di qualche scalpellino, o di qualche imbratta tele: chè i mediocri, o peggio, non meritano distinzioni.

S. Benedetto.

Antico sacello ricordato nei documenti del monastero Leonense al quale spettava già fino dal 958(1), sendone

(1) Zaccaria, dell' antichissima Badia di Leno. Docum. n. VI.


a que' monaci confermata in quell'anno la proprietà da un imperiale diploma. Nulla più rimane di vetusto.

La Carità.

Secondo ci narra il co. Francesco Gambara ne' suoi Ragionamenti (1), Laura Gambara sarebbe la fondatrice del monastero delle Convertite e dell'unitovi tempio della Carità, l’uno e l’altro innalzato a di lei spese dal 1481 al 1531; il Sala per quella vece avvertirebbe quel ritiro e quel tempio stabilito sino dal 1538, e a pubbliche spese ricostrutto nel 1730 (2).

Le due colonne di granito che fiancheggiano la porta spettavano probabilmente con altre ventidue agli intercolonii della basilica di S. Pietro de Dom, tolte già prima, se crediamo al Rossi (3), a’ portici del Foro Arrio.

TERZO ALTARE. - I SS. Sebastiano, Rocco ed Antonio di Padova Francesco Paglia bresciano.

S. Marco.

Oratorio antico, probabilmente del XIII secolo; nelle forme esterne conservatissime è tutt’ora il carattere severo dell’arti del suo tempo. Ha un quadro del Marone col santo titolare, e S. Antonio abate.

(1) T. I, Ragionam. di cose patrie. Brescia 1839. Rag. l p. 26, ma qui non facea che riprodurre le parole del Brognoli.

(2) Guida cit. pag. 54.

(3) Mem. bresciane, pag.16 e 46.


S. Clemente.

Chiesa bresciana ricordata in un documento del 954 (1), ed in altri del XII e XIII secolo. Distrutto dai veneti nel 1517 il convento di S. Fiorano assieme con altre fabbriche suburbane, alle quali solevano appoggiare i nemici le loro fazioni contro la città, i monaci, ch’erano Domenicani, ottennero questa chiesa, con qualche abitazione vicina. Verso la metà del secolo XVIII se ne tolsero, e venne convertita in una Rettoria.

Il passaggiero che viene a questo tempio sente di avvicinarsi ad un luogo doppiamente sacro, e per la religione, e per le arti, che sono anch’esse un’ispirazione del cielo; e chinata la fronte dinanzi a Dio, non può a meno di non accostarsi al monumento di Alessandro Bonvicini col rispetto di chi si appressa all'altare. Fu gentile pensiero quello di collocarlo qui, perché la ricordanza di un tanto uomo non sia disgiunta dalle sue ceneri, che dormono ‘in mezzo all'opere stupende per le quali s’è fatta imperitura; qui le circondano quasi angeli tutelari, e destano un palpito di orgoglio nel nostro cuore; deh non sia indarno l'esempio e la memoria!

Il busto in marmo è lavoro del Sangiorgio.

Cinque tele dell'insigne Moretto adornano il tempio. Le SS. Cecilia, Barbara e Lucia in un altare a destra; S. Orsola colle vergini compagne; l'offerta di Melchisedecco, e S. Gerolamo nei tre altari a sinistra; il S. Clemente colla B. V.

(1) La citata donazione di Bernardo prete, 24 ag. 954 nel Cod. Dipl.


ed altri santi nel maggiore altare. Quanta varietà di condotta, di concetto, d'intonazione, di tinto quasi dissi ad, ogni quadro! Tizianesca robustezza ne’ gravi soggetti e tocco vigoroso e concentrato; morbidezza e fusione soavissima, quale non può dirsi maggiore negli aggraziati e gentili; in tutti una squisita intelligenza del vero, una padronanza dell’arte, una franchezza maravigliosa e quello che manca in mille tele - Amore.

Noteremo ancora un’Annunciata, che è tempera probabilmente del Romanino offerta alla chiesa coll’angelo Gabriele in altra tela dall'arch. Vantini.

S. Zeno.

Abbiamo memorie di questa chiesa da sette secoli addietro, e fu chiamata fino dalla metà del XII di S. Zeno del Foro, per le rovine amplissime del Foro Nonio, tra le quali probabilmente si alzava, nè già per testimonianza, dell'elenco del Totti, di dubbia data (1), ma per quella di un documento del 1150 (2).

Le pitture sono moderne, diremo col Sala, né di molta considerazione. Il tempio attuale fu ricostruito sull’antico luogo nel secolo passato.

Rovine del Teatro antico.

Se ne veggono le reliquie insigni nel cortile di casa Gambara (ora caserma dei carabinieri) vicino a S. Zeno,

(1) Gradonicus, Brix. sacra, pag. XXXIII

(2) Doneda, Osserv. al I. vol. delle Storie Bresc. del Biemmi.


dalle quali si rileva come poggiasse col dosso della curva alle radici del colle Cidneo. Del 1173, lo ho notato altrove (1), vi si accoglievano i consoli bresciani (2) pel disimpegno della cosa pubblica. Il raggio dell'emiciclo esterno risulta di quarantadue metri; il più breve di trentadue. Veggonsi ancora alcuni pochi avanzi dei vomitorii, ,del proscenio, dei corridoi; e bene fu osservato essere più vasto di quello di Ercolano, ed uguale in ampiezza ai celebri di Catania e Taormina (3).

L'unica tradizione di quel romano edificio a noi rimasta fino al secolo XVI fa nel nome di una chiesicciuola spettante al monastero di santa Giulia, che ancora a’ tempi, del Rossi chiamavasi di S. Remigio del Teatro (4). Vuolsi consacrata da Landolfo vescovo del X secolo (5); eravi aggiunto uno spedale dalle pie monache istituito, e della sua fronte rimangono tuttavolta i resti nel vicolo del Fontanone.

Avanzi della Curia e del Foro

al Beveradore ed al Novarino.

Ed eccoci ad altre reliquie. Che spettassero alla curia municipale (però che dubitar non è dato che tra noi non

(1)Brescia Romana illustrata. Brescia 1851, pag. 34.

(2) In theatro civítatis Brixiae super gradum in quo morantur consules. Carta del 1173, Cod. Dipl, Bresc. t. V delle storie n. 127.

(3) Vantini nel Museo Bresc. illust. t. I. pag. 33.

(4) S. Remigio che dicesi del Teatro: hora è come una piccola stanza profanata dai servi di quelle monache di S. Giulia). Rossi, Historia di Brescia, Cod. Quirin. C. 1, 6.

(5) Gradonicus, Brix. sac. pag. 142.


sorgesse pel senato bresciano, cioè per l'ordo brixianornm dei nostri marmi) non abbiamo che induzioni, di tal valore, però da non poterle combattere sì di leggieri. La magnificenza della costruzione, che manifestava nella curia la dignità del municipio; la nessuna analogia del suo carattere colla basilica, colle carceri, coll’erario; l'essere isolata, rettangolare, prossima al foro, sono circostanze che la fanno congetturare una curia antica.

E poi che abbiam nominato il foro Nonio, è indubitato che largamente si aprisse nella vicina piazza del Novarino (Nonio Arrio) che tutta la comprendeva; e che fiancheggiato da portici sontuosi, fosse chiuso dall'una fronte pel magnifico prospetto del tempio di Vespasiano, sulle cui restanze fu eretto il Museo Patrio, dall'altra per quello della curia. Per quasi duecento metri noi riscontriamo la sua lunghezza, e ne’ luoghi terranei delle case propinque, alla piazza possono ammirarsi ancora le indubbie restanze (1).

Rovine del Tempio di Vespasiano e Museo Civico.

Età Romana.

Nel 1822 per avventurata proposta di Luigi Basiletti pittore bresciano si cominciarono alcuni scavi intorno ad una colonna che fino dai tempi di Ottavio Rossi emergeva, indizio d'una fabbrica romana. Largamente sovvenne il municipio a quegli scavi, e si scopersero le vestigia di un tempio, sulle cui reliquie, serbato il concetto e gli spartimenti antichi, fu eretto il Patrio Museo. L'epigrafe

(1) Museo bresc. illust. Il Foro, t. 1, pag. 93, tav. XXII, XXIII, ecc.


dedicatoria, ch'era scolpita nel fregio del grandioso pronao, ci apprendeva od innalzato o ristaurato quel tempio da Vespasiano l'anno 72 di G. C. (1); e i resti di un altro edificio, sul quale fin d’allora fu costruito, lo facevano dubitare riproduzione di quest’ultimo, diviso anch’esso in tre  
celle da due consimili ambulacri come può suadersene chi scende in un anditello scavato al di sotto dell' edificio (2).

Seguendo il nobile esempio dei padri nostri, i quali fino dal 1480 primi e soli dei popoli lombardi decretavano la conservazione dei monumenti antichi, e ne decoravano come di pubblico museo la loro piazza (3), e noi pure accogliemmo di scritte lapidi e di rilievi antichi quanto dalla cittadina munificenza venivasi offerendo al Museo patrio, e ne risultò una raccolta insigne di monumenti bresciani, che l’un dì più che l’altro si dilata e si abbella.

Sala massima. - Lapidi.

Nel mezzo del pavimento, è un mosaico prezioso scoperto in Brescia nel 1820, e sovra un tronco di colonna, è un vaso etrusco venuto dagli scavi di Cavalupo del principe di Canino (4). Da un lato i Dioscuri armati della dop-

 

(1)Labus. Antichi Monum. scoperti in Brescia, 1823, pag. 114.

(2) Museo bresc. ill. t. 1, pag. 57 e seg. tav. II, III, IV e seg.

(3) Provisiones Civit. Brix. 1480, 13 ott. Captum fuit.... quod lapides laborati nuper sub terra reperti.... et qui in futurum reperientur, conservari debeant etc. - Apud Arch. Com. Brix.

(4) Antichità etrusche degli scavi del principe di Canino. (Viterbo, per Monarchi 1829, pag. 46 n. 710), classificate dal principe coll’assistenza, del suo collaboratore ed amico (sono parole di Luciano Bonaparte) R. P. Maurizio da Brescia.


pia lancia, e di fronte Tindaro e Leda: dall’altro è un Ercole che, presente Minerva, atterra il leone Nemeo; fu dono munificentissimo del c,). Paolo Tosi.

Si leggono a sinistra le epigrafi sacre; le storiche di fronte; stanno le onorarie a destra; rimpetto alle storiche le funerarie (1).

Sala II - Lapidi funerarie. Cippi miliarii. Frammenti figurati ed ornamentali.

In quattro scaffali lungo le pareti si trovano bronzi, lucerne, utensili, vasi fittili, vetro, il tutto di epoca romana.

Nelle vetrine in mezzo alla sala è riposta una raccolta di monete antiche d’argento e d’oro, e fra quest'ultime un aureo tremisse di Rotario re dei Longobardi, forse l'unico pervenuto a noi di quel re per confessione del conte di S. Quintino (2), e in altra piccola vetrina si è avviata una raccolta di oggetti preistorici.

Sala III - Scolture.

Da un pavimento antico di marmi numidici, lunensi, di Grecia e della Frigia, in tutta la pompa della sua venustà si leva il simulacro della Vittoria, emersa nel 1826 dalle macerie di un ambulacro di questo tempio istesso, quasi a coronare di se medesima gli scavi nostri. È una statua muliebre in bronzo fuso, in atto di scrivere sopra uno

 

(1) Tutte le sacre e qualcuna delle storiche sono già illustrate dal cav. Labus nel dottissimo volume : Marmi bresciani classificati ed illustrati in corso di stampa.

(2) Della moneta longobarda. Veggasi il Progresso, fasc. XVI 1834.


scudo, ed è forse la più portentosa che vantino fra le metalliche dell' arte antica i tempi nostri (1).

Due scaffali contengono bronzi, marmi, vetri, in genere tutti gli oggetti rinvenuti in luogo quando si fecero le escavazioni.

Bassi rilievi istoriati del romano impero; sono particolarmente da notarsi i due rappresentanti un baccanale e la battaglia di Maratona (2).

Protome di bronzo dorato della grandezza del vero, scoperte Sul luogo (3).

Avanzi diversi ornamentali, e di statue antiche, ecc.

Museo civico (Età cristiana)
ex Chiesa di S. Giulia.

La cui marmorea fronte scorgesi a tramontana delle precinzioni esterne dell’ex convento, fu compiuta con palladiana eleganza sulla fine del secolo XVI.

Il Municipio di Brescia, compreso della necessità di procurare sede conveniente e decorosa ai molti oggetti antichi e del risorgimento che stavano a disagio accumulati nel Museo Romano, diede opera alla istituzione di un nuovo Museo valendosi a tale scopo di questo grandioso edificio. Si vanno ora mettendo a posto marmi cristiani, medievali e del risorgimento e nelle vetrine saranno distribuite le pregevoli collezioni di vetri, vasi, bronzi, armi ed

(1)Museo bresc. illustrato, tomo I, tav. XXXVIII, XXXIX, XL.

(2) Illust. dal cav. Labus nel cit. Museo, tomo I, tav. XXXVII e LI.

(3) Citato Museo, tomo I, in diverse tavole.


il medagliere provenienti per la maggior parte da lascito del benemerito cittadino Camillo Brozzoni. Vogliamo notare in particolar modo che il presbiterio è tutto dipinto a fresco da egregi artisti bresciani del secolo XVI quali furono Fl.° Ferramola, Foppa il giovane e Paolo Zoppo, e che nel presbiterio stesso fu testè collocato il mausoleo di Marc’Antonio Martinengo, uno de’ più ammirabili monumenti dell'arte italiana nell'aureo secolo XVI. Facciamo voti che il museo venga mano mano arricchendosi per generoso offerte di privati e di corpi morali, di maniera che l’importanza delle collezioni archeologico-artistiche sia pari alla grandiosità dell'edificio, e rappresenti degnamente lo splendore delle arti bresciane.

Basilica longobarda di S. Salvatore.

Dell' antico monastero di S. Michele Arcangelo e di S. Pietro, eretto da Desiderio nativo di Brescia e re dei Longobardi intorno al 754, cui poscia aggiunse il titolo e la basilica di S. Salvatore; del claustro, in cui si chiusero e morirono tante figlie, sorelle, vedove di re, di duchi, d’imperatori, non è più traccia, fuorchè la basilica di cui parliamo, che’ serba le forme 
gli spartimenti , il concetto delle antiche basiliche cristiane (1).

È divisa in tre navi da due ordini di colonne varie di 
marmi, di proporzioni, di basi, di capitelli, due dei quali mirabilissimi da me scoperti nel farli spogliare de-

(1) Cordero, Archit. ital. durante la long. dominazione, Brescia 1829.


gli stucchi onde furono involti nel secolo XVIII. Sulle colonne impostano archi a tutto sesto e la navata centrale, a volto di costruzione molto posteriore, era terminata da un’abside. Sotto all’abside e a parte delle navate sta la cripta sorretta anch’essa da moltiplici colonnette, alcune delle quali coi sovrapposti capitelli istoriati si conservano attualmente nel Museo superiore. Adducono a quella cripta due scalucce: di fronte alla sinistra era un’imagine di S. Ipimeneo, scema del capo, diligentissimo affresco del Romanino: io lo ricordo, perché quella testa ch’erami parsa un capolavoro inimitabile per la soavità delle castigate forme, e per un non so che di celestiale cui s'informava, m'ebbi il dolore di vedermela cadere a terra, staccatasi col cemento su cui era condotta per la inavvertenza di chi avea meco pei rilievi che mi andava compiendo della basilica e de’ suoi monumenti. Assai dipinti a fresco del Foppa il giovane si conservano nella cappella a sinistra; e forse alcuni del Foppa il vecchio sono pure del Romanino, e tratteggiati con largo stile i mirabili affreschi relativi a S. Obicio nella cappelletta di sostruzione al campanile.

Dire del pregio di questo monumento longobardo sarebbe soverchio dopo il molto che se n’è scritto (1). Basti ripetere essere uno dei rarissimi a noi rimasti di quei secoli miserandi, sia per la conservazione delle sue forme, sia pe’ rilievi di assai capitelli, che vanno fra le più rare

(1) Cordero, Sacchi, Sala, Romagnosi, ecc. Veggansi ancora le mie Antichità Cristiane, pag. 25 e seg. e tav. I, II e III.


testimonianze del grado a cui era discesa nel secolo di Desiderio la longobardica scoltura.

S. Maria del Solario.

Di fianco al soppresso cenobio di S. Giulia, ora fatto stanza militare, è un lato dell'antico sacello di S. Maria del Solario, già nei limiti claustrali di quel monastero. Dissi altra volta che debbe considerarsi non del secolo VIII, siccome scrivevano i fratelli Sacchi, ma piuttosto dell'XI o XII, forse eretta sulle rovine di un tempio dedicato al Sole presso all'antico solario o meridiana che dir si voglia (1).

È monumento prezioso dei più intatti a noi rimasti di quella forte e massiccia architettura lombarda, che non disgiunta da certa semplicità e grandiosità di stile, par testimonio ancora della tempera vigorosa dei nostri comuni (2).

Il santuario è a due piani: l'inferiore è a volte, sorrette nel centro da un gran cippo dedicato al Sole. Quadrilatera è la cappella sovrapposta e coperta da volta emisferica, che corrisponde alla galleria esterna.

Nel lato di mattina si aprono tre absidi dipinte con affreschi che si direbbero della scuola del Luino e sono i più conservati e pregevoli dipinti della cappella: di epoche posteriori e di merito mediocre sono gli affreschi delle altre paretì.

(1) Antichitá Crist. pag. 40.

(2) Ant. Cr. tav. IV, ove sono le sezioni, le planimetrie ed il lato esterno sudd.


Il Ravarotto.

Chi per la contrada di S. Giulia progredisce fino a che la via si termina dalle mura, giunge al sommo di un torrioncello così detto del Ravarotto. In luogo di quel torrione, rimpetto a quella via era una volta l'antichissima porta di S. Andrea, nominata in alcuni documenti del X secolo (1), così detta da una basilica a pochi passi e di fronte alla porta stessa, in cui riposavano fino dai tempi del b. Ramperto (838) le ceneri di S. Filastrio. Deserto è il luogo e melanconico per tristi casolari che vi stanno al piede; ma celebre nei fasti municipali per l'assalto ivi respinto dai padri nostri di tutto lo sforzo dell’armi di Filippo Maria Visconti, nella ossidione del 1438.

Era la mattina del 30 novembre, giorno di S. Andrea. Nicolò Piccinino, scaricate ad un punto con fragore immenso tutte le artiglierie, perchè i vortici del fumo avvolgendo i suoi movimenti ne togliessero la vista ai difensori, s’avanzò con doppio esercito, all’uno de’ quali pose in capo Taliano del Friuli e l'altro egli stesso guidò ; spingeva il primo sotto cantone Mombello, al Ravarotto il secondo. Còlti i nostri di Mombello quasi alla sprovveduta, per una torre che i nemici avevan guadagnata, fu tale accanito e disperato combattimento , che per più ore bastò. Avresti veduto, esclama Cristoforo Soldo, prode bresciano, che in mezzo a quella mischia con soldatesca ilarità si ravvolgeva (2), gli uomini d’arme

(1) An. 824. Amizo presb. prope portam S. Andrea. Cod. Diplom. Querin. Sec. IX, pergam. autograf.

(2) Soldo, Cronache pubbl. dal Muratori negli scritt. delle cose d'Italia.

traboccar giù per quel terraglio con quei loro pennacchi ch'era una consolazione. Di bombarde, di verettoni, di sassi parea che l’aria si oscurasse; parea che tutto il mondo s’aprisse di tamburri, di trombette, di grida, di campana-martello.

Finalmente la vittoria fu nostra; ma intanto che più ardeva la mischia, continuava la pugna insistente e sanguinosa al Ravarotto, dove mancò piuttosto la luce omai sul tramonto, che il furore degli uomini. L’una dopo l'altra facea scendere il Fortebraccio nelle insanguinate fosse le proprie schiere, ma l’una dopo l’altra ferocemente ributtavano i cittadini, finchè lacere, affrante, scompigliate fu lor duopo desistere; e fu allora che, sendo già notte, veduta la sconfitta del Ravarotto, si tolse il Taliano da cantone Mombello, e suonò a raccolta. Quaranta dei nostri spirarono trafitti sul contrastato Mombello, ma duecento nemici rotolarono estinti dai nostri spaldi. E tra quel vasto e rumoroso ribollimento, e il tuonare incessante delle batterie, si mescolavano animose le nostre fanciulle, recando materiali a’ guastatori, medicamenti ai feriti, cibo agli affranti, a tutti ove più fossero ì perigli, come fosse lor dato, sovvenimento; e Brigida Avogadro innanzi a tutte, apparsa come una visione del cielo tra il fumo e le rovine delle cadenti rocche (1).

E gli intrepidi bresciani, fra l’orrido rimestamento, caldo il cuore di quella fede che santifica l'amore della

(1) Molte cose racconta il Gambara di questa nostra eroina nel sua i Ragionamenti, ma cose da romanzo.


terra natia, nell'ardore delle credenze che fanno sì bella e affettuosa la religione, vedevano calarsi dall’alto due luminosi guerrieri, e piantati nel mezzo del campo respingere i nemici, poi risalirsene tranquillamente al cielo; e ai nostri martiri Faustino e Giovita collocavano riconoscenti al Ravarotto un monumento (1) testimonianza delle gesta gloriose che vi ho descritte, la cui memoria sorvisse orgoglio dei posteri, e forse non morrà.

S. Corpo di Cristo.

Ristaurato intorno a due secoli fa, rimane l'antica sua fronte con qualche affresco di Pietro Marone. Il quale dipinse pure alcune pareti claustrali, e nel refettorio. Fino dal 1468 chiesa e convento erano dei Gesuiti, a' quali nel 1669 succedevano i Riformati di S. Francesco.

SECONDO ALTARE. - La nascita del Redentore e due quadri Laterali dì Pietro Maria Bagnadore.

TERZO ALTARE. - Quadri laterali di F. Paglia.

S. Pietro in Oliveto.

So che alcuni dotti riferiscono al 1112 la sua fondazione (2), e il Malvezzi al 1101. Nel lato esterno verso mattina si vede tuttora un abside minore appartenente alla chiesa primitiva e sembra opera del secolo XII. Il tempio fu rifatto in più larghe proporzioni nel XVI secolo,

(1) Ora nel Museo a S. Giulia.

(2) Doneda, Notizie delle chiese di Brescia nel Diario dei 1774. Astezati, in Comment. Manelm. Vincent. pag. 36.


e gli altari decorati da scolture ornamentali palesano lo stile elegante dell'epoca. Questa chiesa fu già ricca di preziosi dipinti del Foppa il vecchio, del Moretto, del Galeazzi, del Richino ecc. ma tutti quei dipinti furono trasportati parte all'episcopio e parte al Seminario, quando gli Austriaci occupavano militarmente la chiesa e l'annesso convento. Si possono vedere tuttavia alcuni affreschi del Foppa il giovane in uno dei chiostri vicini alla Chiesa.

Il Castello.

Abbiam detto altrove (1) come il Sala errasse nel dire essersi costruito questo ridotto militare per la prima volta dai duchi Visconti, e come dai romani tempi ivi si alzasse quella rocca, o dirò meglio, quel Campidoglio bresciano, al quale sembra alludere Catullo colla celebre frase - Specula Cydnea (2). Ricordammo il castello maggiore col titolo di S. Pietro (serbatosi poi pel monastero di cui fu detto), nominato in un sermone di Ramperto dell’838; ma non abbiamo avvertito che a quelle parole altre sono aggiunte, che fanno quel propugnacolo esistente fino dai tempi d'Ansoaldo vescovo, cioè dal secolo VIII (3). Dell’XI secolo (4) ne parla un documento del cod. dip. quir., del

(1)St. bresc. del secolo XIV, lib. II e Brescia romana cit. -IL Campidoglio.

(2) Brixia Cydnea supposita in specula. - Catul. Eleg.

(3) Sed et temporibus sanctae memoriae Ansvaldi Episcopi, dum quidam. custos tituli S. Petri, qui sistus est in Castro majori etc. - Sermo, b. Ramperti de Translat. b. Philastrii ep. In Patrum Brix. Opera omnia Galeardo edictore.

(4) Gisilberto de loco Castello. Carta del 1041 Cod. Dipl. p. II n. 52


XII i documenti giuliani, l'uno de’ quali (n. 117) cita un Guarto pittore, abitante presso il castello(1); del XIII i queriniani (2), ed altri infiniti. Vero è bensì che Giovanni e Luchino Visconti nel 1343 tali opere v' aggiungevano da renderlo tutt'altro; che la repubblica veneziana d'altre assai, specialmente del secolo XVI, lo muniva e rimarginava : ma un castello ebbimo sempre, e le più volte per nostra sventura, perchè i presidii nemici vi si trinceravano per poi venirsene a dirotta sulla città e metterla a sacco. Ricorderò un solo esempio, quando l'ardente giovinetto Gastone di Foix nel 1512 scese co’ suoi guasconi all’esterminio ed alla strage (3). E qual mercato, dimando io, s’è fatto per la prima volta in castello nel 1218? (4)

Nella cerchia di quelle antiche fortificazioni è la chiesa di S. Stefano detta in arce fino dal secolo XII (5).

Da qualche tempo tutta la collina sulla quale sorge il castello e gli spalti adiacenti da porta Venezia a porta Pile si abbelliscono con viali e piantagioni a guisa di ameno passeggio.

 

(1) Castellum potiti sunt. Cron. cit. a. 1104.

(2) Astezati, indice cronologico ecc. dei documenti del monastero di S. Giulia. (Cod. Quirin. G. IV, 1), dal quale aveva il Guarto pigliato in affitto l’ abitazione.

(3) Anselmi, il sacco di Brescia del 1512. - Spini, Supplemento alle Storie del Capriolo. - Casarius, De exterm. Brixiae. Libellus. Cod. Quirìn. E. VIII, 4

(4) MCCXVIII. Primo factum est mercatum in castro. - Chron. cit. S. Petri, Doneda, luogo cit.

(5) Tottus, Catag. Ep. Brix. caraeteris saec. XII. Galeardus, Brixia sacra, pag. XXXIV


Porta Torrelunga.

Turris longa exarsit primo; così nella cronaca di S. Pietro in Oliveto all' anno 1139, pubblicata dal Doneda (1); altri dicevanla distrutta nel 1132 da Corrado imperatore (2). Ma verso la metà del secolo XIII se ne trova cenno frequentissimo nei documenti; ed è, chi sa forse, la medesíma che dicevasi fino da quei secoli Porta Arbufoni.

Scavandosi anni sono nella prossima osteria del Bel soggiorno si rinvennero a molta profondità le tracce di una fabbrica romana, oltre a parecchie lapidi ivi presso, attualmente locate nel patrio Museo. Quella fabbrica, per alcuni resti di un’ampia circolare cornice colà rinvenuta, è a tenersi un arco.

Monumento ad Arnaldo da Brescia.

Nel centro del nuovo piazzale all'ingresso in città si sta ora elevando il monumento ad Arnaldo da Brescia. La statua ed i bassorilievi modellati dallo scultore Tabacchi vennero fusi in bronzo dal Nelli di Roma. Il basamento fu eseguito dallo scultore D. Lombardi sopra disegno dell'architetto Tagliaferri.

Mercato dei grani.

Questo portico grandioso eretto per lo smercio delle granaglie, con capaci magazzini, è un’opera municipale intrapresa col voto del comunale Consiglio nel 1820 sui disegni di Angelo Vita.

(1) Zecca di Brescia cit.

(2) Cod. Quirin. C. VI, 27.


Giardini pubblici.

(Un tempo mercato vecchio).

Io non so se il mercatum broli della cronaca di S. Pietro (1)debba riferirsi a quest’ampio luogo; ma non pare: sì veramente il mercatum novum constructum nel 1173 (2), detto ancora mercato o piazza S. Siro. Ma come poi spiegare il Mercato nuovo che diede il suo nome ad una contrada fino dal 1135, siccome abbiamo dai documenti giuliani? (3) Ad ogni modo era qui l'antico mercato che servì talvolta di campo chiuso ai duelli ed ai torneamenti cavallereschi.

A’ tempi nostri questo nuovo piazzale fu bellamente ridotto in giardino pubblico, nel cui mezzo fu serbato l’antico sotterraneo fonte, al quale nel 1420, essendosi deviate e rotte dal Carmagnola le suburbane sorgenti, accorrevano le sitibonde moltitudini; onde fu per un istante quella fontana refrigerio e salute della città (4).

La piazza è fronteggiata dal grandioso palazzo Cigola, in cui vuolsi fosso accolto il ferito Baiardo, l’intrepido cavaliere senza rimprovero e senza paura (5) ferito nel 1512 all’assalto della città.

La facciata della Chiesa or soppressa di S. Marta è architettura del Bagnadore.

(1) Doneda, Zecca cit. Cronaca in fine.

(2) Cron. cit.

(3) Astezati, Indice cronologico dell’archivio del monastero di S. Giulia in Brescia. Cod. Quirin. G. IV, 1. 1135 giugno. Contrada di mercato nuovo. Donazione d’una pezza di terra fatta da Ingelenda.

(4) Capreolus. Historia Bnx. I. IX.

(5) Gambara, Geste dei bresciani. Brescia 1820, nota 93 al canto III.


S. Maria Calchera.

Di un oratorio di S. Cecilia locus Calcarie è ricordo in un documento del 954 (1). Pare per altro non fosse che un sacello di quel luogo, il quale, veggo accennato in una perg. del 1071 (2), e che la chiesa di S. Maria molto dovesse ai Calcaria, nobile famiglia di questa nostra città, della quale hanno memorie fino dal 1200 (3). Ed è tanto vero doversi differenziare quei due titoli,1 checchè ne dica l'Astezati, che del 1148 si ricordano le cappelle di S. Clemente e di S. Cecilia unito insieme (4).

Questa parrocchiale fu riedificata intorno alla metà del secolo XVIII.

PRIMO ALTARE. - S. Carlo, di Camillo Procaccini (?)

SECONDO ALTARE. - Sotto il pulpito, il Redentore coi santi Gerolamo e Dorotea del nostro Moretto.

TERZO ALTARE. - I SS. Apollonio, Faustino e Giovita del Romanino. È una tavola nella quale più che altrove si manifesta l’accostarsi di quel pittore alla vivacità della scuola veneziana, senza mai scostarsi da quella fusione di tinte che è propria di quell'artista bresciano; oltrechè la finitezza in assai tele del Romanino ad alcune parti limi-

(1) Cod. Dipl. Quirin. t. III sec. X, ivi l’autografo pergamenaceo inedito, col quale Bernardo prete dona ad Audiverto de loco Calcarie l’oratorio di S. Cecilia, fondato dal padre suo il 24 agosto.

(2) Cod. Dipl. Quirin. t. IV secolo XI.

(3) Astezati, Comm. Mane mi de obsidione Brixiae. - Brescia 1728, pag. 33.

(4) Gradonicus, Brix. sacra cit. pag. 206. Bulla Eugenii PP. - Capelam S. Mariae de Calcaria. Capellas S. Clementis et S. Ceciliae.


tata, qui si effonde a tutto il lavoro, argomento di compiacenza dell’autore in quest'opera sua (1), giustamente dal Lanzi applaudita.

ALTARE MAGGIORE. - La Visitazione di Calisto da Lodi, porta l’anno 1521.

SESTO ALTARE. - La Maddalena e Gesù. Affettuosissima composizione, vastità di concetto, espressione e dignità dei personaggi, svolgimento di luce a grandi masse larghezza e vigoria di tinte, e un non so che di soave e di posato che tanto consuona colla toccante scena, sono pregi notevoli, di questa tela insigne del nostro Moretto. Fu disegnata dal Sala nei Quadri scelti di Brescia N. XXXI, ov’ebbe, argutamente notato l'ampiezza della scena sviluppata in sì poche linee, da renderla per ciò stesso maravigliosa.

S. Eufemia.

La chiesa e il monastero costrutti da Landolfo, secondo di quel nome tra i vescovi di Brescia, il 1020 nel borgo di S. Eufemia (2) qui scambia il Sala (o non è lieve errore) colla chiesa e monastero fondati poscia in Brescia dai monaci benedettini di quel convento, i quali, abbandonato il claustro suburbano ob bella colapsum, ottennero dal papa Eugenio IV di rifuggirsi nell’àmbito delle mura (3). E la chiesa e il cenobio urbano venivano

(1) Pubblicata dal Sala. -Quadri scelti di Brescia. Brescia 1817, tav. 35.

(2) Gradonicus, Brix. sac. pag. 155. - Faita, Annali dei monast. ecc.

(3) An. 1444, 30 maii. Bulla pont. in Cod. Quirin. E. I, 11.


rifabbricati al terminare del secolo XVIII con disegni del padre Faita monaco di quel sacro asilo, i cui annali dal medesimo compilati ora si conservano nel ricchissimo archivio dell’ospitale. E però nè a Landolfo si debbe la costruzione dell’urbano convento, nè fu in esso quel vescovo sepolto.

Sino dal secolo VIII era per altro in Brescia una chiesa d’egual nome, di cui parla un documento Muratoriano del 761 (1).

SECONDO ALTARE. - I Magi, di Pietro Moro.

ALTARE MAGGIORE. - Varie Sante, copia dal Salmeggia.

QUINTO ALTARE. - I SS. Benedetto e Scolastica di Santo Cattaneo: forse il migliore de’ quadri suoi.

Caserma di S. Eufemia.
(Ospitale militare).

Già convento benedettino rifabbricato. Nel chiostro detto, della cisterna sono a vedersi alcune pitture a fresco del Gambara.

Casa d'Industria.

Aperta all'accattone per municipale decreto del 1817. Quivi gl’indigenti d’ambo i sessi sono accolti, esercitati nelle arti meccaniche: ed hanno ricambio di pane, ricovero, insegnamento.

S. Gaetano.

Chiesa e cenobio già dei pp. Teatini che lo abitarono nel 1691, dopo che quelli di S. Filippo Neri, lasciato

(1) Murat. Ant. Ital. M. Aevi, t. II. col. 167 a. 761 vel circa.


S. Gaetano da loro stessi fabbricato un secolo prima, si trasferirono alla Pace. Ora vi stanno i pp. Cappuccini Riformati. Le volte sono dipinte dal Cossali e dal francese Luigi Vernansol

S. Barnaba - Pio Istituito Pavoni.

Monastero posseduto un tempo dai pp. Eremitani di S. Agostino, probabilmente fondato intorno al 1298 dal vescovo di Brescia Berardo Maggi, che a quei padri lo diede (1); i quali riconoscenti al beneficio, gli collocavano una statua sedente in atto di dar loro la benedizione (2). La chiesa fu ricostrutta nel 1675, ed ora soppressa più non serve al culto.

In una sala superiore dell'ex convento (l'attuale tipografia dell'Istituto Pavoni) si veggono affreschi del Foppa il vecchio, sepolto in questi chiostri nel 1492,e indubbiamente bresciano, come lo era quel Vincenzo Foppa, che suo figliuolo o nipote qual fosse, fu da lui stesso ammaestrato nell'arte propria, e nella quale riuscì con uno stile assai più largo e pastoso: noi abbiamo distinto col nome di Foppa il giovane (3),

Alla solitudine, al silenzio, alla vita claustrale degli Eremitani qui vediamo sostituirsi la vita socievole, ope-

(1) Gradonicus, Brix. sacra, pag. 289, ma più ancora il Doneda nelle citate Notizie delle Chiese di Brescia. Diar. 1774.

(2) Rossi, Elogi, pag. 103.

(3) Sala, Guida di Brescia, pag. 76. - Zamboni, Fabbriche di Brescia pag. 32.


rosa, educativa di un altro istituto, che ai figli del povero offre scuole, ricovero, officine; qui si accolgono, se ne informano i cuori al dovere del cristiano e del cittadino; e mentre vi ritrovano pane ed asilo, imparano quell'arte che, fatti adulti, li tolga alle angustie dell’avvenire. E quest'opera generosa noi dovemmo all'anima soave del canonico Pavoni, che tutto il suo vi spese a porla in atto e che di porta in porta cercò sussidio, e n'ebbe, al nobile divisamento.

S. Afra.

È tradizione, che nel luogo istesso del sotterraneo sacello di S. Afra fosse un cimitero dei primi cristiani e dei martiri nostri dei tempi d’Adriano, dei quali è ricordo negli atti del SS. Faustino e Giovita (1). Parlano di questo luogo il Boldetti (2) lo Stella (3) il Papebrocchio (4), il Doneda (5), e l’ab. Brunati (6). Vuolsi ancora si denominasse il cimitero di S. Latino, o perchè dal medesimo eretto (secolo, IV), o perché ivi sepolto. Chiamavasi questa chiesa ab antico di S. Faustino ad sanguinem; ed era, chi sa forse, la stessa che S. Gregorio (secolo VI), nei suoi dialoghi ricorda siccome dedicata in quel tempo a S. Fau-

 

(1) A. Bulland. 15 febb. pag. 812 e 18 apr. pag. 525.

(2) Osservazioni sopra cimiteri, lib. II. c. 17.

(3) Risposta ai PP. Enschenio e Papebrocchio ecc. Brescia 1687.

(4) Acta SS. 15 febb.

(5) Sacro Pozzo dei SS. Mm. di S. Afra. M. S.

(6) Leggendario di Santi Bresciani. Brescia 1834. S. Flavio Latino,

pag. 3. S. Angela Merici, pag. 18 not. 14.


stino martire (1), e secondo altri congettura si derivato il nome ad sanguinem per lo martirio elle si terrebbe qui sostenuto dai SS. Faustino e Giovita, le cui ceneri si vogliono nel VII secolo trasportate al tempio nomato allora di S. Maria in Silva (2).

Circa il 1221 S. Domenico stesso per quanto dice il Malvezzi, vi collocava i suoi proseliti, che poscia l’abbandonavano ai chierici, e questi ai canonici Lateranensi.

Si visiti il chiostro dell’unito cenobio pel castigato suo stile; una sala terranea, già coro iemale dei monaci, con pregevoli affreschi, e il sotterraneo sacrario, ov'ha un pozzo nel quale si conservano assai reliquie dalla tradizione attribuite ai martiri bresciani.

Il tempio fu ricostrutto intorno al 1580 e Pietro Maria Bagnadore disegnò la fabbrica e vi dipinse i fregi e le figure qua e là sparse per le pareti del tempio, meno i puttini dei pilastri e gli affreschi della navata di mezzo, che sono di Gerolamo Rossi bresciano.

Alle due prime lesene a destra ed a sinistra stanno appesi due quadri in tavola attribuiti al Civerchio.

PRIMO ALTARE. - La natività di M. Vergine, dipinta del Bagnadore, ed imitazione d'una tela di Cesare Aretusi in S. Giovanni di Bologna.

(1) Dialog. lib. IV cap. 52, in cui parla della morte di un Valeriano patrizio di Brescia sepolto nella chiesa di S. Faustino martire. Lo storico Carlo Troya dubita della data attribuita dal Biemmi (a. 594) a quella morte.

(2) Brunati, Leggend. cit. pag. 26. - Biemmi, Storie Bresciane t. I. libro V.


SECONDO  ALTARE. - Il battesimo di S. Afra, o la primitiva nostra Chiesa lavoro di Francesco Da-Ponte detto il Bassano, mirabili per l'accorta disposizione delle figure, e per l'artificio con cui vedi giuocata la scarsa luce delle faci in quella notturna scena (1)

TERZO ALTARE. - L'Assunta di Bortolo Passerotti. Sulla porta minore alcuni martiri del Brusasorci(?). Il Salvatore tra la Giustizia e la Misericordia è lavoro del Bagnadore.

QUARTO ALTARE. - La Vergine coi SS. vescovi Latino e Carlo Borromeo; forse il più insigne lavoro di Giulio Cesare Procaccini. Ma se qui la disinvoltura e diremmo grandiosità di pennello , se grazia e gentilezza notava il Sala nella composizione che tanto ammira, noi lamenteremo la pecca inescusabile del grande artista, che vescovi, ed angeli, e madonne, e anacoreti tutti piegava a un abbandono di pose, di movimenti molli, uniformi, convenzionali. Bella cosa è la grazia: ma la testa di S. Latino che si volge col fare svenevole di un Adone, benchè stupenda, annuncia nel Procaccini un difetto di estetica non saprei se più dei tempi, o suo (2) .

ALTARE MAGGIORE. - La Trasfigurazione del Tintoretto, che pose in questa tela diligenza ed amore (3), vuolsi dipinto della sua ultima maniera. I due quadri laterali coi santi Faustino e Giovita sono di Palma il giovane;

(1) Pubbl. dal Sala nelle pitture scelte di Brescia, pag. XLVII

(2) Sala, pitture cit. pag. LXVII.

(3) Op. cit. pag. XLI.


l’Annunciata, di Gerolamo Rossi; il Redentore estinto è fra l'ultime cose del Barocci; il Presepio( di facciata all’organo) di Carlo Cagliari nipote di Paolo Veronese.

SESTO ALTARE. - I SS. Faustino e Giovita di Francesco Giugno (mezzaluna), e un Redentore del nostro Gabriele Bottini.

Sulla vicina porta è l'Adultera di Tiziano, uno dei più vaghi e splendidi suoi dipinti. Le carni sono vive, e vita e sentimento è in questo lavoro quanto ne seppe infondere quel sommo nelle più vantate opere sue. Due tipi, due bellezze incantatrici del pari, ma quanto diversamente! qui si trovano a fronte. La divina ed incontaminata; la terrena e peccatrice. Qual celestiale soavità, nella prima, quanta seduzione è ancor soffusa nella seconda in mezzo al pentimento!

OTTAVO ALTARE. - Il martirio di S. Afra. Grandiosità nella composizione, movimento ed anima nello spettacolo, di una martire, che dal palco di morte, fra le mani del carnefice, già vede aperto il cielo. Accuratezza insolita di esecuzione, venustà di colorito, e nerbo d'intonazione sono pregi grandissimi che pongono questa tela di Paolo Veronese fra le più singolari e accreditate di quel valentuomo.

NONO ALTARE. - Martiri bresciani di Palma il giovane.

Se il tempio di, S. Clemente noi dicemmo sacrario dell'arti bresciane, questo a diritto può delle venete chiamarsi. Perchè non so qual altra chiesa delle città vicine possa vantare, siccome questa, capolavori del Bassano dei Tintoretto, di Paolo Veronese e di Tiziano Vecellio.


S. Alessandro.

Parrocchiale antica sovvenuta di benemerenze dal vescovo Manfredi verso il 1135 e della quale è memoria nei secoli consecutivi. Di un ospitale appo S. Alessandro è ricordo fino dal 1153, per asserzione del Doneda (1), che lo dice fondato da un Lafranco prete, ed è accennato in un documento del 1292 (2). Nel 1430 Marerio vescovo di Brescia diede il tempio ai Serviti ai quali fu riconfermato col monastero da papa Eugenio IV (1432), che poscia riconobbe l'ospitale. Nel secolo trascorso rifabbricavasi dai padri stessi la chiesa; ma tuttavia ne rimane incompiuto il prospetto.

PRIMO ALTARE. - L'Annunciata. Il nostro Sala dicea quest’opera, di squisita diligenza, venuta, secondo una tradizione, coi Serviti da Firenze. Or godiamo annunciare, la scoperta dell’autor suo - il celebre Frate Angelico da Fiesole. La tradizione si è fatta certezza pei registri medesimi della parrocchia (3), recanti alcune anticipazioni al pittore per quella tavola, che da Firenze ci venne il 1433, e le spese del trasporto.

(1) Doneda, nelle citate Notizie. - S. Alessandro. - Oltrechè tanto risulta dall’atto 12 mag. 1219, col quale Alberto vescovo conferma i privilegi lasciati dal vescovo Manfredi un secolo prima (1135?) alla chiesa, di S. Alessandro, e sommette alla medesima il contiguo spedale di quel nome Quell' atto è presso l’archivio parrocchiale, e mi fu esibito dall’ab. sig. Deruschi.

(2) Astezati, Indice cronologico dell'Arch. di S. Giulia. Cod. Quir. cit.

(3) Comunicatimi dal compianto ab. Zambelli.


Alle quali registrazioni aggiungeremo le parole del’annalista dei frati Serviti Arcangelo Giano, ove dicendo come fr. Francesco praeclaram sacratissimae Virginis Annunciatae Imaginem ad eccl. S. Alexandri transmitti curavit, aggiunge: hanc spectatae formae et conspicuae magnitudinis Florentiae delinearat vir religiosissimus et in arte pictoria nulli secundus F. Joannes ille de Fesulis ordinis praedicatorum (1).

SECONDO ALTARE. - La Pietà, di Vincenzo Civerchio.

QUARTO ALTARE. - Ecce-Homo, affresco del nostro Lattanzio Gambara, già sulla porta minore.

ARA MASSIMA. - Martirio di S. Alessandro; Pietro Moro.

SETTIMO ALTARE. - S. Filippo Benizzi, di Grazio Cossali.

NONO ALTARE. - I SS. Rocco, Lodovico e Sebastiano; lavoro di quel Sebastiano Arragonese, che a sommo studio lasciavaci raccolte ed incise le lapidi dell’agro e della città di Brescia (2).

Sulle porte del tempio sono istorìe dei Ss. Alessandro e Filippo Benizzi, di Gerolamo Rossi.

Nel terzo altare a destra è una graziosa immagine di Maria, del Gregoretti; dono dell'egregio sig. Antonio Pilozzi.

 

(1) Ann. Frat. Serv. t. I. a. 1433.

(2) Mon. ant. Urbis ed Agri Brix. a Sebastiano Arragonensi pictore brano summa cura et diligentia collcta MDLXIIII


S. Luca.

Già dei padri Umiliati fino dal 1235 (1), nel qual anno vi tenevano un loro convento (domus). Avevano questi molta parte allora nei paratici dell’arti cittadine, architetti e finanzieri talvolta del nostro comune vigilavano alle porte urbane ed alle nostre manifatture.

Il Presepio del primo altare vi fu trasportato dall’antica chiesa.

Da questo tempio venne denominata la bella via apertasi colla distruzione del traslocato spedale.

Ospitale.

Convertito ad altri usi lo spedale antico di S. Luca, altro se ne costrusse a grave spendio ov’era già il convento di S. Domenico, serbatine in alcun luogo gli spartimenti: ma sepolto in una fondura tra gli spaldi ed il declivio di una piazza, parve luogo tutt’altro che adatto al grande scopo della pubblica salute. Qual contrasto fra quel greve edificio e le svelte proporzioni di un’allegra sala del monastero architettata dal Bagnadore, e serbata nello spedale come un rimprovero all’arti nostre!

Uno de’ più insigni archivi, per quanto riguardi la storia patria, e quasi inesplorato, gli è quello del L. P. ricchissimo di documenti antichi.

Fino dal 761 era in Brescia uno spedale, un senodochio (2), il che ci apprende quanto antico sia ne’ petti bre-

(1) Tiraboschi, Monum. Hamiliat. t. I. pag. 101.

(2) Et de Senodochio cauta quoddam Peresindo qui permanet ditioni Pontifici etc. Murat. Ant. It. M. Aevi, t. II col. 407 a. 761.


sciani il sentimento della beneficenza; e se l'ospitale dí S. Nazzaro, citato in un documento dell'841 (1) non si voglia urbano, lo sono indubbiamente i molti che troviam ricordati nei secoli XII e XIII, avvegnachè assai chiese bresciane avessero di que’ secoli un ospizio, come quasi ogni Arte, ogni Collegio il suo.

Dicemmo già di quello di S. Alessandro (1135). Notìssimi pur sono il Giuliano di S. Daniele (2), quello di S. Matteo (1245) (3), e il maggiore di tutti, chiamato il Consorzio di S. Spirito, al quale in quell’anno il Comune di Brescia decretava elemosine (4). Quattordici ne trovo tra cittadini e suburbani dal 1300 al 1400 registrati negli annali di quello di S. Spirito da me posseduti (5), gli statuti del quale venivano confermati nel 1364 da Barnabò Visconti (6).

Il 25 settembre del 1429 si riunivano le rappresentanze di tutti gli ospizi cittadini per fondarne un solo appo S. Luca, il quale, a più riprese ampliato, durò fino a’ dì nostri. Ora è sostituito dall’altro di S. Domenico, per la cui fabbrica, oltre alle 230 mila lire che la nob. Chizzola avea destinate per pubblica beneficenza, fu impiegato assai patrimonio del L P.

 

(1) Gradonicus, Brixia sacra, pag. 141.

(2) Astezati, Indice ricord. Cod. Quir. Sembra esistesse dal sec. XII

(3) Statuti Municip. del 1200 depositati presso la Quirin. carte 10.

(4) Stat. cit. a. 1245.

(5) Annali istorici dell’Ospitale di S. Spirito di Brescia dal 1300 al 1600, scritti da un confratello di quell'ospitale MS.

(6) Anno cit.


S. Domenico.

Al giugnere fra noi dei PP. Domenicani si pensò ad erigere loro un tempio: tanto avveniva sul cominciare del secolo XIII.

Intorno a quattro secoli dopo (1611) que’ padri stessi lo rialzarono dalle fondamenta sul grandioso disegno del Bagnadore. Il Doneda asserisce incominciata la costruzione antica nel 1235, terminata vent’anni dopo: ed erano quegli stessi padri Domenicani che lasciarono S. Afra per collocarsi qui. Di fatti nel dicembre del 1234 alcuni periti estimavano un prato di Bonapace da Castello per darlo ai frati predicatori juxta Garziam de suburbio S. Laurenti, nel quale fu poi eretta la chiesa ed il convento (1).

E fu in quel tempio, che poi venne distrutto, e precisamente sull'altare di Maria, che dei 1511 nove magnanimi bresciani giuravano sulla pietra santa (sono parole di un congiurato) di liberare la patria dall’insolente albagia dell’esercito di Francia (2): e fra Gerolamo Savonarola prima di loro gettava i semi da questo sacro asilo di un’altra rivoluzione (3). Religiosa questa, politica la prima, era fatale ch’ambo nel patrio monastero si proponessero.

(1) Luchi, Cod. Dipl. Brix. f. 160.

(2) Comino Martinengo, Della congiura dei Bresciani per sottrarre la patria alla francese dominazione (1512) pubbl. dal cav. Labus nel t. IV della storia di Milano del Rosmini. - Odorici, i Bresciani del 1512. - Valerio Paitone.

(3) Vita di fra Gerolamo Savonarola. Cod. Quir.


Ma ritornando al tempio attuale, il bresciano Tommaso Sandrini, che è quanto dire uno de’ più insigni prospettici del secolo XVII, ne copersele ampie volto co’ suoi capolavori, per modo che dall'alte cornici che le sostengono giuri elevarsi ed atrii, e logge, e sfondi interminati d'aeree colonne, che è un incantesimo. Non istà nel vero; e sia: ma noi facciam plauso a un non so che di fantastico e imaginoso, cui sommetteva il Sandrini a tutto il rigore la severità indeclinabile della prospettiva, ed a quell’ardue leggi dell’ombre e della luce, ch’esso giocava con un’arte tutta sua, traendone accidenti ed effetti maravigliosi.

Giammauro della Rovere, chiamato il Fiammenghino, dipinse gli affreschi. L’un d’essi però co’ SS. Pietro, Paolo e Domenico è di Francesco Giugno.

Grazio Cossali figurò nella gran tela sulla porta maggiore quaranta pellegrini liberati dal naufragio del Rodano e la cattolica vittoria ottenuta per intercessione del santo titolare nell’assedio di Tolosa.

La chiesa fu chiusa già da molti anni per essere adattata ad uso di infermerie e non andrà molto che della grandiosa fabbrica del Bagnadore e delle bizzarre prospettive del Sandrini non si avrà più ricordo.

La Pietà, ovvero la Spezieria dell’Ospitale.

Povera Pietà! Sì bella chiesa, elegante e palladíana idea del Bagnadore, vederla buttata a terra nel secol nostro, e infranti a colpi di martello gli affreschi con-


servatissimi di egregi artisti bresciani, per farne una spezieria! E come il suo stile, che è quello dell’unito P. L. per cui fu eretta, fa rilevare più ancora l'aggraziata sveltezza del vicin portico bagnadoriano!

Il nuovo Spedale, se nol dicemmo, fu disegnato dal sig. Giovanni Cherubini; il prossimo per le donne fu costrutto nel 1123 per cura del vescovo Zane; compiuto ne’ tempi a noi più vicini dal Bagnadore. All'altare è una S. Caterina del Gandini, ed una Immacolata è di Luigi Vernansal.

S. Lorenzo.

Antichissima chiesa, della quale non è per altro memoria a me nota che del secolo XII (1). Questa parrocchia, che dava nome ad un borgo, fu riedificata verso il 1751. Rimpetto alla minor porta a destra è un quadro del Cossali, col Salvatore in atto di salire il Calvario.

PRIMO ALTARE. - S. Biagio, di Lodovico Sigurtà.

SECONDO ALTARE. - Un crocifisso, del Lucchese.

TERZO ALTARE. - B. V. di Santo Cattaneo, del quale è l'Angelo Custode, nel rimpetto altare, una delle migliori opere sue.

ALTARE MAGGIORE. - Il martirio di S. Lorenzo, di Giambettino Cignaroli.

QUINTO ALTARE. - Sacra famiglia, del Lorenzi. Si osservi la mensa e la custodia, per la preziosità dei marmi cui si compongono.

(1) Nel cit. Elenco delle chiese Bresciane del 1150.


Le Ospitaliere.

Filantropica introduzione della nob. Paolina Rosa, che a sollievo dell'indigenza languente nel pubblico Spedale tra noi chiamò quelle pie claustrali. Sia quindi lode alI' egregia istitutrice.

La chiesetta fu recentemente rifabbricata sopra disegno dell’architetto Arcioni. La pala dell’altare maggiore ed i dipinti a tempera delle pareti sono opera del pittore Luigi Campini.

Corso del Teatro.

Lodovico Beretta architettò queste case coperte degli affreschi del Gambara, come quelle del corso dei Parolotti, ora corso Palestro, e dei portici a levante di Piazza Nuova. Gli affreschi delle case del Gambaro si dissero allogati al Romanino, il quale, come in dote della figlia che Lattanzio Gambara aveva sposata, lasciava al genero con alcuni suoi cartoni l'esecuzione dell’ampio lavoro. Così narra la tradizione (1): certo è per altro che le prime figure in istrada larga sono del Romanino.

Noi daremo, copiando il Sala, un cenno degli argomenti di quegli affreschi, non per indicarli al forestiero, del che ci assolve il progrediente deperimento loro; ma perchè non ci parve indarno recare la loro serie qual era pochi anni fa, come se tuttavolta esistessero, onde almeno ce ne resti la memoria (2).

 

(1) Nicoli-Cristiani, Vita di Lattanzio Gambara.

(2) Sala, Guida cit. pag. 80.


Nei tre primi compartimenti osservasi il ratto delle Sabine; negli altri, combattimenti tra Greci e Troiani; e nell'ultimo sono raffigurati i due Aiaci che difendono il corpo morto di Patroclo dall’armi nimiche. - Viene in seguito Enea e Didone; poscia quattro trionfi di satiri, ed altre fantasie. Termina la facciata Europa seduta sul toro colle compagne. Sopra vi è la fecondità con bambinì e fanciulli. Il rimanente dei freschi più alti dell’una e dell’altra facciata sono immaginazioni capricciose e bizzarre dell’inesauribile cervello di questo nostro grande artista.

Nei piccioli fregi vi ha rappresentato trionfi militari e bacchici; sotto, ed a canto delle fenestre, maschere, animali, trofei e cariatidi mostruose, impiegandole nelle parti architettoniche.

Dal lato sinistro con egual ordine ripartite veggonsi le seguenti istorie: 1.° La continenza di Scipione. - 2.° Curzio, che si precipita nella voragine. - 3.° La Vestale , che in dimostrazione di sua pudicizia, porta avanti i Pontefici l’acqua del Tevere in un vaglio. 4.° Muzio Scevola s’abbrucia volontario la mano. 5.° Giuditta consegna alla fantesca il teschio d’Oloferne.- 6.° Il fratricidio di Romolo. - 7.°Il suicidio di Lucrezia. - 8.° Orazio uccide la sorella .

In istrada larga: - 9° Asdrubale, a’ piedi di Scipione, che domanda salvezza della vita. - 10.° e 11.° La moglie, udito salvo lo sposo, corre a precipitarsi coi due figliuoli nell’incendio di Cartagine.


Teatro.

Ricostrutto nel 1810 su grandioso disegno dell’illustre Canonica, fu ricoperto di affreschi dal nostro Teosa , di cui ricordasi ancora il gentile velario. Ma, scorsi dieci lustri, fu sentito il bisogno di un ristauro generale e che le antiche tenebre venissero dissipate dalla corrente avvivatrice del gas: due progetti cui nel 1864 fu da una patria commissione alacremente provveduto. Le nuove decorazioni venivano affidate allo scenografo Magnani, ed era ben naturale che le classiche forme ornamentali del Canonica e del Teosa cedessero il campo alle sbrigliate fantasie del moderno stile.

Teatro Guillaume.

Eretto nel 1850 dal Cavallerizzo Luigi Guillaume ad imitazione del circo Olimpico di Parigi. Alla spaziosa arena per gli spettacoli equestri sono aggiunte le scene pei drammatici. Fu costrutto sull'area del cessato monastero della Maddalena.

B. V. di Mercato del Lino.

Ideata dal Bagnadore nel 1608: ristaurata non ha molti anni.

La marmorea fontana della prossima piazza dell’Erbe è disegnata da Luigi Donegani; la sovrastante statua fu scolpita da Gianantonio Labus.