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esterminio, risoluti di seppellirsi nelle rovine della loro città: e in quella rabbia febbrile un branco di essi, corso alle carceri ov'erano serrati alcuni delatori e mezzani dell'austriaca servitù, trascinatili all'aperto (orrendo a dirsi), li massacrava [1]. Mentre così la cieca ira dei popolo si sfogava nel sangue, tutto era nel palazzo municipale trambusto e desolazione: spalancati gli archivj, gli uffici a discrezione dei primo che v'entrasse. Ma il cappellajo Marchesini, sedutosi in sullo scanno presidenziale, stettevi a guardia, segno allora agli scherni della ciurmaglia, due giorni dopo alla gratitudine di tutti noi.

Crescevano frattanto gl'incendj e le rovine. Gl'imperiali vantaggiavano, ed irrompendo dai viottoli di s. Desiderio, d'Ogni Santi, di s. Urbano, pigliavano Broletto a viva forza, mentre agli spaldi, a porta s. Nazzaro e lungo il borgo della Mansione ingrossavano gl'inimici. Da s. Barnaba a s. Afra, da questa alle porte di s. Alessandro tutta era invasa la povera Brescia. Le cose ormai volgevano alla peggio: parecchie volte fu dispiegata bandiera bianca, ed altrettante la sua comparsa ridestava il grido: morte ai pacifici . I capi dei combattenti, radunatisi allora nel palazzo Bargnani, ov'erano gli uffici del Comitato, fermi in ciò che nel sognato armistizio dovessero i Tedeschi abbandonare la terra lombarda, risolvevano di rannodare gli armati loro, e fatto impeto contro una porta della città, raccorsi alle montagne per ivi serbarsi alla patria indipendenza. Occorreva denaro; fu chiesto al Comitato, ma il Comitato era sciolto. Infranti allora gli scrigni, vi ritrovavano da trentamila lire, date in parte al sacerdote Moro, l'uno appunto di que' duci, parte ad un Cattaneo, e parte

  • Secondo il PORCELLI, p. 104, le vittime di quel cieco furore erano intorno a ventidue, compresovi un Giovanni Marinoni impresario di opere stradali chiamato Bruto , un Imiotti ed un Sambrini.

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