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fatale in cui L'esercito italiano già vinto e sgominato sperperavasi pei canipi novaresi, giunti in Brescia due calessi, n'escono i fratelli Cigola [1], il conte Giuseppe Martinengo [2], Giuseppe Borghetti, Luigi Chizzola e Bortolo Maffei nostri emigrati, che per la via di Magenta, seguendo la brigata Solarolo avevano guadagnato il confine. Ci parlavano d'armi e di munizioni già prossime ad arrivare da Iseo, di una forte colonna di emigrati accennanti a Bergamo, guidati dall'intrepido Camozzi, e del campo che gl'insorti avrebbero fra poco intorno a Brescia radunato: sacramentavano la vittoria dell'armi nostre in sul Ticino omai compiuta, e i reggimenti piemontesi, varcato il fiume, procedere trionfatori sulla terra lombarda. Il plauso, le grida, l'entusiasmo dei nostri, come torrente soperchiò; mille coccarde apparvero in un punto, ed un tripudio feroce e tempestoso ruppe di mezzo a quel vasto commovimento.

Or la pugna incomincia. Aveva il Leshke da cinquecento soldati, che dentro la rocca, grave arnese di guerra a sovraccapo della città, s'accrescevano di quattrocento fra gendarmi, che lasciato s. Urbano si rintanavano in castello, ed i fuggiti dagli spedali. Quattordici grossi cannoni avea disposti ed appuntati contro di noi: nè munizioni da guerra per valida resistenza, nè vittovaglie d'ogni fatta gli venivano meno. Non difettavano che l'acque. E il popolo? Sassi, bastoni e qualche arrugginito fucile da sette mesi guardato a rischio della vita.

Suonata la mezzanotte dei 23, sotto no cielo annubilato e nero come l'inferno, un colpo di cannone scoppiava d'un tratto per l'ampia oscurità, segno che la tragedia principiava,

  1. Vincenzo ed Alessandro. Di questi nulla dice il racconto del Porcelli, dove non è ricordo che dei Martinengo, dei Maffei e dei Borghetti.
  2. Già colonnello della guardia nazionale.


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