2 (Aprile)

Il due aprile, allo spuntar del giorno, i croati che aveano serenato per la città, uscirono carichi di bottino, per lasciar luogo ad altri che più tardi entravano smaniosi di preda, e che al pari degli altri si accamparono per le vie principali e per le piazze.

Prima cosa dei nuovi ospiti fu al solito di saccheggiare altre case e di spogliare quanti incontravano per via sotto pretesto che celassero nelle vesti o polvere o palle, ma in fatti per cavarne danari, orioli od almeno pezzuole. Chi prontamente non dava era percosso. Tutte le botteghe, le osterie, i caffè (tranne il "bottegone" per uso dei militari) stettero chiusi quel giorno. I fornai, i salumieri e gli altri venditori di commestibili dovettero tenere aperte le loro al croato che ne usciva senza pagare. Guai se al passaggio di esso, qualche porta era rimasta socchiusa! Molti negozi furono rubati. Tra gli altri quello dei Sigg. Capretti, fuori di porta Pile, i cui formaggi, trasportati sovra carri militari in città si vendevano per le vie a pochi soldi il peso! A prezzi vilissimi si vendevano parimenti mobili d'ogni maniera, letti, biancherie, stoviglie ecc. Ogni cosa si concedeva ad una soldatesca sfrenata, che gli ufficiali superiori si confessavano inabili a frenare dopo la vittoria.

Preso possesso della città, si ordinò di riaprire botteghe e di fregiare i pubblici edifizi e le case private di bandiera bianca! alcuni male avvisati con bianche pezzuole si fecero incontro al croato!

Appel, rientrato appena in Brescia, il due aprile fece da un aiutante sbarbatello, rinfacciare, con minacce, al Sangervasio, gli editti firmati da lui ne' giorni della rivoluzione. Il perché dovette anch'esso fuggire da Brescia. Il relatore Anelli divenne allora padrone del Municipio.

Da ciò che si è narrato fin qui di leggeri abbiamo potuto scorgere quanto eroismo fosse nella nostra città! chi scrisse queste memorie protesta di non aver raccontato che fatti veri e di sua piena conoscenza, senza amore di parte, od esagerazioni municipali.

Si aggiungono le cose seguenti.

Un giovinetto, di appena quattordici anni, era stato tamburo delle nostre guardie nazionali nella prima rivoluzione del '48. Tornati gli austriaci nell'agosto, e riposta in luogo sicuro cassa ed assisa, allo scoppiare della nuova rivoluzione cavò fuori il nascosto tesoro e tutto solo si mise a percorrere le vie della città battendo la generale; non restando mai dal picchiare n'è giorno n'è notte. Faticosissimo ufficio che gli costò dolori non lievi alle braccia ed alle dita. Ma ciò non bastava all'eroico fanciullo! dopo aver percorso più volte le vie, le piazze, le barricate, nella sortita che fecero i nostri per inseguire gli austriaci sino a S. Eufemia, volle essere con loro e gli accompagnò battendo la carica. Una palla nemica avendogli traforata una coscia e non potendo più reggersi in piedi, il prode giovinetto depose il suo tamburo e postovisi a cavalcioni i nostri se lo caricarono in ispalla e lo portarono all'ospitale ove rimase oltre un mese.

Si narra che una giovine (cortigiana), che abitava nella via di S. Barnaba, scaricò alcuni colpi di pistola sui nemici, i quali ne invasero la casa; che difesasi disperatamente con arma bianca e uccisi due croati, mori da ultimo sbranata da quei vili che ne saccheggiarono la povera casa.

Molte bresciane intrepidissime seguivano nei combattimenti i loro mariti, i fratelli, i padri, recando munizioni, caricandone le armi, incoraggiandoli colla loro presenza. Molti cittadini addestrati al tiro della carabina, dall'alto delle case vicine al Castello e dalla torre del popolo andavano uccidendo i soldati ed i cannonieri Austriaci che si affacciavano sulle mura del castello.

Il medico condotto di Roncadelle che nella ritirata degli Austriaci del '48 avea combattuto valorosamente contro di loro, riportandone più di trenta colpi di sciabola, ed avendone arsa la casa, appena rimesso dalle sue ferite, quando scoppiò l'ultima rivoluzione, corse a Brescia con alcuni compagni da lui ammaestrati e vi combattè sino all'ultimo da eroe.

Fra tante vittime della crudeltà austriaca alcune, vedendosi in procinto di sicura morte, forzarono gli assassini ad incontrarsi con loro.

Grande fu ovunque in queste dieci giornate l'eroismo bresciano, più grande la crudeltà degli oppressori.

L'Haynau parlando dei Bresciani disse che con trentamila di cotesti briganti avrebbe tolto in un mese di conquistare Parigi.

in una pua notificazione li chiamò sconsigliati perché, sordi alla paterna sua voce, osarono resistere alle sue valorose truppe.

Ricordiamo che questo generoso padre aveva ordinato alle valorose sue truppe di non dar quartiere ad alcuno degli armati suoi figli. Affermava per altro che quantunque la nostra città, dopo una ostinata difesa, fosse stata presa d'assalto, i suoi soldati non si erano valsi del diritto di guerra ed aveano risparmiata Brescìa ed i suoi abitanti! Chi conosce le nostre sventure giudichi della veracità del generale austriaco.

( Haynau ) ordinò la consegna di ogni arma, il subito disfacimento delle barricate, l'immediato accomodamento delle vie per opra degli stessi cittadini. Impose multe di sei milioni alla provincia; taglia alla città per mantenimento di tre giorni e paghe di dodici a' suoi soldati; poi indennità e pensione alle famiglie degli ufficiali rimasti feriti o morti, e per altro, che sommarono a più di un milione.

I Bresciani morti combattendo furono pochi, raffrontati con quei del nemico, cioè non più che sessanta. Trenta circa furono passati per l'armi nelle vie o sugli spalti, altri trenta in Castello. Oltre cento, la maggior parte infermi o impotenti a fuggire, furono trucidati per le case od arsi vivi! Settanta feriti furono condotti allo spedale, due terzi dei quali perì per ferite mortali o trascurate dai medici, o incancrenite per tarda cura. Anche le amputazioni riuscirono male perché protratte.

Variano le relazioni sul numero dei morti nemici. La meglio vera sembra quella che li f a ascendere a mille e seicento, oltre un generale, due colonnelli, due maggiori, un aiutante di ( Haynau ), creduto suo figlio naturale ed una trentina di ufficiali di diverso grado. I feriti si dissero cinquecento, molti dei finirono agli spedali.

Nessuno veramente fu capo o guida del movimento di Brescia. Universali erano l'intelligenza e il coraggio; l'amor di patria ardeva ogni petto. I nostri combattenti avuto riguardo all'armi che furono distribuite o si rinvennero nelle case private, non raggiungevano i tre mille, cittadini i più, salvo un centinaio di Valtrompia; altrettanti di Chiari e paesi vicini; vari di S. Eufemia, Rezzato e luoghi adiacenti alla città. Il resto della provincia abbandonò obbrobriosamente al suo destino la povera Brescia. Per dovuti rispetti si tacciono i nomi di chi somministrò armi, munizioni ecc.

Non è di chi scrive queste memorie il dar giudizio sugli uomini che si succedettero al potere, ma la verità esige che si conosca su quali persone stia il carico di non avere a suo tempo fatto conoscere la sventura dell'esercito Piemontese.

Il Sangervasio, l'ultimo che, elettosi a compagno l'avvocato Pallavicini e l'ingegnere Borghetti, sostenne con zelo costante la direzione del municipio, fu da taluni accusato di avere ascoso al popolo il vero stato delle cose. Lo scrittore di queste memorie che nel tempo della rivoluzione fu sempre vicino a lui, può asserire il contrario; anzi attestare la sua buona fede nel credere le notizie che si spacciavano, perché confermate da persone che si dicevano venute da Cremona, da Bergamo e da altri luoghi, e che a lui si conducevano.

Si censurava in Brescia la nomina del comitato di difesa perché di repubblicani. Ma desso fu una necessità. Quando si passò a questa nomina erano presenti, oltre il Sangervasio e i due suoi colleghi, Giacinto Passerini, il Dottor Gualla, il prof. Contratti, lo scrivente e pochi altri. La nomina cadde sovra un prete, un praticante legale ed il Contratti. I due primi non accettarono per ragioni riconosciute giuste, da che inconsideratamente si elesse il prete a funzione di cui non era capace, ed il secondo doveva recarsi fuori di Brescia per servizio pubblico. Sulle prime parve rifiutare anche il Contratti, ma dopo accettò a condizione che gli fosse dato a compagno il Dottor Cassola.

Ecco schiettamente come andò la bisogna del comitato. Non si può negare ch'ei non agisse con molta energia, ma sua è la colpa di avere ingannato la città ascondendo il vero e spacciando menzogne. Dei sette espressi spediti dal Piemonte, cinque ne erano giunti al comitato ed ei poteva risparmiare a Brescia le sventure piú gravi.

Prima di chiudere, osserva chi scrive che non tutte le spie vennero immolate dalla così chiamata giustizia popolare e che molte ne rimangono in vita, senza contare chi per sete di denaro si fece accusatore dei propri concittadini. Fra le spie va citato lo …….. che arrestato nei primi giorni della rivoluzione da una pattuglia di cittadini e condotto al quartier generale dei ronchi potè sottrarsi... e vendicarsi… Già si è detto di chi mandò al patibolo i dodici appiccati...

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