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cente, e non vinta affatto se non colle insidie. Caso unico forse negli annali guerreschi, se si pensa che la città, non popolosa di più di trentacinquemila persone d'ogni sesso e d'ogni età, aveva come un brulotto confitto ne' fianchi il castello incendiario, e di più in sulle porte e padrona della campagna l'oste nemica, che crescendo man mano, in sull'ultimo toccava le venti migliaja di soldati stanziali. A questi appena è che si potessero opporre due in tre migliaja di fucili in mano di cittadini e di valliggiani, nuovi tutti alla guerra, se ne togliamo le bande dei disertori: il resto sassi, tegole e coltelli. Lontani i patriotti più autorevoli, lontana tutta la gioventù più animosa e più esperta dell'armi, scarso l'erario, le mura indifese, non un cannone, nè un nodo di milizie regolari, nè, un ufficiale d'esperienza, col quale consigliarsi. E nondimeno o sul campo, o di ferite negli ospitali, morì un migliaio e mezzo di nemici; e fra questi un tal numero di ufficiali (che a nostra notizia furono 36), da provarci qual fosse l'accanimento del combattere e il terror del soldato, a muovere il quale, dopo ch'ebbe assaggiato di che sapessero i Bresciani, bisognarono stimoli di fieri castighi, d'insolita emulazione e d'infami promesse. Fra i morti tre capitani, un tenente


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